Rumore 340 | Maggio 2020 – The 1975, l’enciclopedia del pop

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La storia del rock, fra le varie cose, ha fra i suoi tratti dominanti anche una forma di incontinenza creativa. Ossia quegli artisti che, sentendosi ispirati, hanno deciso di pubblicare due album a stretta distanza. Un fenomeno che non nasce certo oggi e che abbiamo provato a indagare, passando da John Lennon a Tom Waits, dagli Outkast a Frank Ocean, dai Deerhunter ai Bright Eyes. In questa categoria – per quanto distanti tra di loro – rientrano di sicuro The 1975 e Moses Sumney. I primi, dopo quasi un decennio di carriera, rappresentano ormai la band britannica più popolare di questi anni. Il nuovo disco (Notes On A Conditional Form) era già praticamente pronto al tempo del penultimo album, fine 2018 (A Brief Inquiry Into Online Relationships). Ma esce solo ora, andando a cementare lo status della band. Una band, in senso letterale, in grado di assemblare in modo personale e credibile qualsiasi forma di influenza. Dalla black music degli inizi all’elettronica più introspettiva e radicale, dal dub all’indie rock, dal neo folk all’R&B. Forte dei contributi di Greta Thunberg, Cutty Ranks, Phoebe Bridgers e FKA Twigs (nostra copertina solo qualche mese fa, novembre 2019, da qualche tempo anche compagna di Matt Healy, cantante della band), il nuovo album rappresenta uno dei punti di svolta, discograficamente parlando, di tutto il 2020. Nella lunga intervista esclusiva per l’Italia rilasciata da Matt Healy al nostro Mauro Fenoglio, ritrovate tutta la ricostruzione di questo articolato percorso che ha portato la band, tra le altre cose, sulla copertina del nostro nuovo numero.

L’americano di origini ghanesi Moses Sumney mastica invece una forma di R&B molto evoluto e sensuale, ma ha sfruttato lo stesso timing: una prima infornata di canzoni verso l’inizio dell’anno e una seconda adesso: due puntate di uno stesso album “esteso”, che lui stesso ci ha descritto a voce. Da qui parte il numero di Rumore di maggio 2020

Stessa firma per un servizio multiforme a cui teniamo molto: Mauro Fenoglio ha fatto gli straordinari questo mese per consegnare un mammut editoriale. Si tratta di uno speciale sulla nuova elettronica che, invece di nascondersi, mette in primo piano l’aspetto ideologico. Ci siamo così concentrati su due uscite molto attese, come il nuovo album di Yves Tumor e il sostanzioso antipasto del prossimo Arca. Produttori diversi, certo, ma creatori di quelli che abbiamo chiamato “gospel della nuova specie alla fine del mondo”. Impossibile poi non includere nel discorso anche il cileno Nicolas Jaar. Ben due nuovi album praticamente in contemporanea per lui, che per l’occasione si è raccontato ai nostri microfoni da Palermo!?

Claudio Sorge ci porta in Giappone grazie a un gruppo di “cattive ragazze” che abbiamo definito “Japanese Black Girls”. Si tratta di Blacklab e di Viviankrist. Muovendosi da Tokyo a Osaka, ci soffermiamo sui nuovi lavori delle due formazioni tutte al femminile: che hanno un’idea moto rumorosa e poco ortodossa delle chitarre, viaggiando tra psichedelia e sperimentazione.

Diego Ballani è invece autore di una ricognizione in uno dei suoi soliti territori britannici. Ha infatti riassunto una lunga chiacchierata con Steve Diggle, lo storico chitarrista dei Buzzcocks. Dopo la recente morte del cantante Pete Shelley, il chitarrista ha dichiarato che la band sarebbe andata avanti comunque. Così è stato: oggi un box antologico (Sell You Everything: 1991-2014) celebra la seconda parte della carriera della formazione di Manchester: il gruppo forse più romantico, ma di sicuro più pop fra quelli che hanno edificato il concetto di punk inglese sin dalla prima ora. 

E ancora: focus su The Wants, spigoloso trio newyorkese, incarnazione vivente del nuovo post punk. E poi approfondimenti sugli italiani A Lemon e Tenue. Oltre all’austriaca Avec, i romagnoli “meticci” Unoauno e Fadi, e i vicini di regione, bolognesi, Chow. Rievochiamo pure la storia di Stefan Betke, in arte Pole: il produttore elettronico che durante gli anni 90 ha portato il dub in Germania, facendo della sperimentazione la sua cifra stilistica.

Oltre alle consuete rubriche e colonne redatte dalle nostre firme di punta, recensiamo come sempre moltissime nuove uscite discografiche; fra cui svetta l’attesissimo ritorno di Nick Hakim: statunitense di origini sudamericane che dal punk è giunto all’R&B, mischiando di tutto un po’. La palma di disco del mese italiano se l’aggiudica invece il produttore elettronico Lorenzo Senni: dall’Italia alla conquista del mondo, grazie al suo talento e al supporto dell’inarrivabile Warp Records. Fra i dischi più rilevanti del mese figura di sicuro quello omonimo dei Wylde Ratttz: supergruppo composto nel 1997 da gente come Thurston Moore, Sean Lennon, Ron Asheton, Mike Watt, Mark Arm e Steve Shelley. Tre generazioni di musicisti a confronto che solo oggi diffondono quanto inciso 20 e più anni fa.

Analizziamo inoltre i nuovi lavori di Sparks, Laura Marling, Blue Öyster Cult, Viagra Boys, Roger & Brian Eno, Ghostpoet, Joan As Police Woman, Liberato, Childish Gambino, Pearl Jam, Flavio Giurato, Fink, Austra, Witchcraft, Ritmo Tribale, Einstürzende Neubauten, Tim Burgess, Lowlow, Throwing Muses, Black Rainbows, The Magnetic Fields, Four Tet, Nine Inch Nails, Perfume Genius e tanti altri. Tra le ristampe invece si segnalano tra gli altri Frank Zappa, Nina Simone, Pere Ubu, David Bowie.

“Rumore” 340, maggio 2020, è in edicola di 6 euro. Disponibile anche la versione app da scaricare. Buona lettura!

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Redazione Rumore
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