Le Guide Pratiche di Rumore 50 + 50: Radio libere… ma libere veramente (emittenti rock italiane in FM)

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Allegato a Rumore 372, gennaio 2023 trovate la guida “50 + 50: Radio libere… ma libere veramente (emittenti rock italiane in FM)” curata da Luca Frazzi con postfazioni di Eugenio Finardi, Luca De Gennaro e Arturo Compagnoni

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di Luca Frazzi

Quando ascoltavo Per Voi Giovani e PopOff insieme a mio fratello, lui in poltrona io steso sul tappeto, ero troppo piccolo per capire quanto ero fortunato. O meglio: capivo di esserlo ma non capivo il perché. Sentivo un riff dei Ten Years After e immaginavo capelloni barbuti che agitavano la chioma a tempo, un po’ storditi, così lontani dalla mia bolla familiare/sociale/ scolastica di provincia. Gente molto diversa dal gestore del minimarket di Largo Leopardi o dal cartolaio dove andavo con mia madre. Gente come mio fratello, appunto. Avevamo un enorme mobile radio degli anni 50 in salotto, un vecchio Grundig valvolare con giradischi, scomparto portaliquori e radio a onde medie, corte, cortissime e FM. Quel mobile che a lampadario spento illuminava la stanza era la mia finestra su un mondo diverso da quello in cui vivevo. Fuori c’erano i vicini, famiglie composte per lo più da operai
e casalinghe con un paio di figli (come la mia), padri che trascorrevano le ore libere in garage con la testa immersa nel cofano di una Simca armati di cacciaviti e chiavi inglesi, madri che dall’alba al tramonto curavano pentole in ebollizione e urlavano dalla finestra per richiamare in casa noi bambini quando faceva buio. Vita di cortile nelle case popolari del quartiere Luce a Fidenza. Poi c’erano gli extraterrestri, ovvero mio fratello e i suoi amici capelloni che andavano in giro fumando coi dischi dei Colosseum sottobraccio. A me che dei motori non fregava un cazzo (a differenza di molti miei amici che a otto anni sapevano far ripartire un’auto in panne) interessava l’altro mondo, quello che usciva dalle casse del Grundig piazzato in salotto.

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Se mio fratello non c’era (e succedeva sempre più spesso, col passare degli anni) mi arrangiavo da solo: spegnevo le luci della stanza, accendevo la radio, partiva In-A-Gadda-Da-Vida e io per un’ora ero a Woodstock o nella redazione di “Ciao 2001”, che per me era qualcosa di assolutamente mitico. Potere del Grundig e della radio in genere, che al compimento del mio decimo anno, di colpo, diventava “libera”. O meglio, lo era già da qualche mese, da quando il primo gennaio del 1975 Radio Parma, prima radio libera italiana in assoluto, aveva inaugurato le sue trasmissioni sui 102.000 MHz seguita di lì a poco da Radio Milano International. Prima c’erano stati gli esperimenti borderline di Radio Libera Partinico, l’emittente di Danilo Dolci nata nel 1970 in seguito al terremoto del Belice, di Radio Potenza Centrale (che trasmetteva da un’automobile!) nel ‘73 e di Radio Bologna Per L’Accesso Pubblico nel ’74, ma si era trattato di tentativi disorganici di impronta politico/sociale al di fuori di quel contesto che per un anno e mezzo circa (tra la riforma di fine ’74 e il decisivo pronunciamento della Corte Costituzionale del 28 luglio 1976, la storica sentenza n. 202 con cui veniva definitivamente liberalizzata la trasmissione locale via etere) avrebbe mantenuto le prime radio libere italiane in un limbo di illegalità più o meno tollerata. Da quel 28 luglio del 1976, la stura: centinaia, migliaia di radio libere (nessuno ancora le chiamava “private”, e non è un caso) spuntavano ovunque, dalla metropoli alla frazione di campagna, in tutta la loro ingenuità. Voci di paese, talvolta di quartiere, che per la prima volta raccontavano di un mondo che conoscevi, col linguaggio che conoscevi, di fatti che ti riguardavano da vicino. Un mondo più piccolo ma libero e soprattutto nuovo, svincolato dale convenzioni e dalle strutture rigide dell’informazione di stato, alla metà degli anni 70 ancora modellato su una logica arcaica della comunicazione. Di quella rivoluzione, il rock (e la musica “non commerciale” in genere, quella che sui canali Rai era tollerata a fatica) era l’arma vincente. Non l’unica (c’erano anche la canzone politica e il jazz), ma di certo la più dirompente. Chitarre, distorsori e suoni obliqui riempivano l’etere offrendo un’alternativa alla programmazione abbottonata della Rai democristiana dei vari Delle Fave, Finocchiaro e Grassi.

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I riff di Lou Reed finalmente non erano più relegati nei recinti delle rare trasmissioni specializzate Rai. Bastava smanettare un po’ sulla manopola delle frequenze FM ed ecco che spuntava Sweet Jane: mattina, pomeriggio, sera e notte. Roba da far girare la testa. Certo, su dieci radio libere solo una o due erano davvero “illuminate”, alle altre otto piaceva vincere facile a colpi di Baglioni e Bee Gees, ma parliamo di grandi numeri (stime della stampa di settore dicono che nei primi anni 80 in Italia le emittenti private sono quasi 4mila), e di conseguenza il rock, quello buono, lo trovavi senza problemi. Nel ’77 era più facile ascoltare White Riot in radio che non procurarsi il disco. E succedeva, per fortuna. Era la seconda metà degli anni 70, ovunque ti girassi trovavi Andreotti, John Travolta e le BR, ma la rivoluzione dell’etere finalmente offriva un’alternativa. E questo cambiava tutto. La voce delle radio libere ha salvato parecchia gente. Soprattutto, ha coperto spazi fino ad allora inaccessibili alla cultura “non istituzionale”, e di colpo la Rai è parsa vecchia, vecchissima. I primi anni sono stati quelli dell’euforia. Bastava un impianto di fortuna, un’antenna piazzata al punto giusto, un paio di piatti, un mixer e qualche disco in prestito dalla propria collezione personale per fare della musica di qualità un “veicolo” di arte e informazione. Tanti carli massarini si impadronivano di un microfono armati di dischi, competenza (a volte incerta, ma pazienza) ed entusiasmo. Da studi ricavati in cantine, garage e soffitte davano sfogo alla loro incontenibile voglia di “trasmettere”. E al netto della narrazione sulle radio libere e la loro epopea, sulla quale si è romanzato un po’ (ma non troppo, dato che la letteratura sull’argomento è tutto sommato scarsa), sono stati anni pieni e felici, di esplosione creativa spontanea “tutto compreso”. Sino ai primi anni 80 è stata un’escalation, nascevano radio ovunque, piccole (a volte piccolissime) e grandi, con portate che variavano dal quartiere all’intera regione a seconda della potenza dell’impianto, del posizionamento del ripetitore e della “forza lavoro”, nella maggioranza dei casi volontaria, che comunque non mancava mai, tanta era la voglia di esserci e contribuire a quella rivoluzione. Per la prima volta la comunicazione usciva dai recinti istituzionali. Spesso approssimativa, tecnicamente discutibile ma vitale.

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Redazione Rumore
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