Backdoor Antivirus: 7 consigli a settimana di Maurizio Blatto per questi giorni solitari

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Il nostro Maurizio Blatto ha iniziato a dare dei consigli giornalieri sul sito del suo negozio di dischi, vista la pausa forzata tanti di noi dalle classiche attività quotidiane. Per chi ancora non lo sapesse, il negozio si chiama Backdoor, ed è a Torino, in Via Pinelli 45.

I suoi sono brevi flash, incursioni musicali quotidiane: una citazione, un video, una cover, un concerto, un aneddoto, un disco o qualsiasi altra cosa. Giusto per alleggerire questo periodo decisamente pesante che vede alcuni di noi chiusi in casa. Non uscite, ve lo raccomandiamo ancora, così potremo presto tornare a comprare dischi nei negozi, guardare concerti, festival e tutto che facevamo prima e che pensavamo che nessuno ce lo avrebbe potuto portare via.  Ecco la settimana di Maurizio Blatto riassunta qua sotto. Se vi foste persi le altre, le trovate quaquaquaquaqua e qua.

di Maurizio Blatto

Backdoor Antivirus – Lunedì, 20 aprile 2020

Da qualche parte bisognerà pur cominciare, quindi sappiate che sono partite ufficialmente le opere di sanificazione di Backdoor.

Aiuto.

Ok, facciamo le pulizie, è giusto, ci mancherebbe, anche se so quella certa patina desertica (nel senso di polvere ovunque) vi piaceva, dite la verità…

Tiriamo via qualcuno di quei simpatici tumbleweeds (i cespugli rotolanti desertici, appunto) che ogni tanto solcavano il pavimento a scacchi, buttiamo nella carta i volantini dei concerti a El Paso del 1993 (saltano sempre fuori) e facciamo sparire gli scontrini accartocciati e buttati per terra due secondi dopo averli emessi (lo so, se vi beccano le mogli, sono conseguenze serie).

Su questo, nessun problema. Ma analizzando le direttive di massima (almeno quelle di oggi), emergono alcune difficoltà.

“I locali devono essere sanificati e poi la pulizia deve essere effettuata almeno due volte al giorno”.

Cristo, noi eravamo abituati a due volte all’anno. Prima della chiusura estiva e alla vigilia di Natale. Alterare il nostro ciclo biologico potrebbe avere delle ripercussioni, temo. Inizierà a piacerci la fusion?

“Il termoscanner non è ancora obbligatorio ma potrebbe diventarlo nella «fase 2» quando uffici e negozi saranno più frequentati. Rimane comunque la raccomandazione di misurarsi la temperatura prima di cominciare l’attività. Sopra 37,5 bisogna avvisare il medico”

A parte le battute sulla reale frequentazione dei negozi di dischi, bisogna ragionarci sopra. E poi dai, a tutti verrà la febbre se sapessimo che quel giorno magari uscirà la ristampa di “Rainy Day” o il nuovo dei DIIV. Come la mettiamo? Ma soprattutto, visualizzate questa immagine: il Signor Franco sulla porta che vi misura la temperatura come la Fata Turchina. Fatto? Ecco.

“Tutti devono avere «ampia disponibilità e accessibilità a sistemi per la disinfezione delle mani». In particolare, per le aziende e i negozi aperti al pubblico, i dispenser di gel disinfettante «devono essere disponibili accanto a tastiere, schermi touch e sistemi di pagamento».

Qui siamo partiti in anticipo. Vi ricordo che già prima dell’Apocalisse, sul bancone era disponibile un bottiglione stile Vinavil con liquido detergente dal contenuto alcolico degno di Shane MacGowan. Che poi non si dica…

«Le mascherine dovranno essere sempre utilizzate nei luoghi o ambienti chiusi e comunque in tutte le possibili fasi lavorative laddove non sia possibile garantire il distanziamento interpersonale».

Come da foto già postate, sono dotato di un buon numero di affascinanti mascherine Bauhaus Post Punk. Ho già segnalato che puzzano di cammello, ma non è un problema vostro. Resisto e prevengo. Tranquilli.

“Nei locali fino a 40 metri quadrati può accedere un cliente alla volta e possono essere presenti due lavoratori.  Per i locali aperti al pubblico più ampi di 40 metri quadrati «l’accesso è regolamentato in funzione degli spazi disponibili, differenziando, ove possibile, i percorsi di entrata e di uscita».

Qui cominciano i guai. A occhio e croce direi che se il Signor Franco e io siamo dietro al bancone, ci sarebbe posto per un solo cliente. Un po’ poco, ne converrete. Ma io credo che metrando forse l’area libera dai vinili, e rimanendo noi due a distanza di sicurezza dietro il bancone, potremmo ampliare le presenze ammissibili. Però il sabato sarà un bel casino. Come faccio a fare il mio show? Il giro turistico delle novità? Dovrò inventarmi uno spettacolino stile medicine show, da imbonitore d’inizio secolo scorso, in piedi sul bancone con la tuba e il nuovo Rolling Blackouts Coastal Fever in mano? Da dietro la vetrina mi faranno un cenno di assenso per gli acquisti? Stabiliremo degli orari? Si potrà prenotare come sui tabelloni dei circoli di tennis?

Tutto da inventare. Ma ce la faremo, ne sono sicuro.

Backdoor Antivirus – Martedì, 21 aprile 2020

L’aruspice esercitava la sua arte divinatoria esaminando fegato e intestino degli animali sacrificati. Lì individuava eventuali segni divini e conseguenti norme di comportamento per il futuro.

Il Polpo Paul (2008-2010) prediva i risultati della Nazione di calcio tedesca durante i Mondiali del 2010 direttamente dal suo acquario a Oberhausen.

Io mi affido all’autoradio.

Mi spiego meglio. Quando ho dei dubbi, faccio partire una mista di Classic Rock e metto la funzione random.  L’avevo preparata quasi per caso e messa in una chiavetta USB (possiate essere maledetti voi progettisti di automobili che ci avete privato del lettore cd) da portarmi dietro nell’ultimo viaggio fatto in America. Andavamo a trovare mia figlia, nello Stato di Washington. Durante gli spostamenti, nella mia bella Chevrolet azzurrina, guidavo sereno tra le conifere con “Brown Eyed Girl” di Van Morrison o “Pale Blue Eyes” dei Velvet Underground. Non un clacson o un pirla che tagliasse la strada, nulla disturbava il dolce scorrere di “It’s Too Late” di Carole King. Un paradiso.

Tornato a casa, ho un po’accorciato il numero di canzoni, ma lo scrigno Classic Rock è sempre rimasto a rassicurarmi. Quando ho dei dubbi, ripenso a quel periodo felice e faccio partire a caso la mia mistona. Se ho delle domande, lì dentro trovo sempre le risposte. Sempre.

Così, mentre diluvia sul tettuccio della macchina e in giro non c’è ne nessuno, mi attanaglia un filo di tristezza e cerco conforto.

Play.

Ecco, esatto. Cosa sta succedendo? Bè, le cose non vanno benissimo, direi. Cioè, sono migliorate, certo. Ma è sempre difficile rassegnarsi al fatto che questa cosa sia successa davvero. E poi il futuro? Il fatto che fosse da inventare, una volta era una garanzia di libertà, di possibilità. Ora un po’ meno. Mette ansia.

Play.

Esatto. Sembra di “correre nel vuoto”, è vero. La sensazione di andare avanti, ma senza regole, di guardar dritto e non domandarsi, sperando che vada bene, che non ci si sfracelli. Funzionerà? Per quanto?

Play.

Capisco. Io all’inizio ero così. Mi sono barricato dentro. Sarò uscito due volte in sedici giorni dal mio “Rifugio”. Mi dicevo “Se sto qui, se stiamo tutti qui, andrà bene. In fondo è facile, su questo non si sbaglia”. Silenzio, fiato trattenuto, attesa. Ma per quanto poteva durare?

Play.

Così ho iniziato a uscire, ogni tanto, a lavorare un po’, ho preso confidenza con la mascherina, con i guanti, con il mondo svuotato. Ma un riparo non c’è. Bisogna accettare il rischio? Per fortuna la vita morde. Quando ascolto questa canzone degli Stones sento la pelle bruciare, un desiderio incontenibile di essere là, fuori, da qualche parte. Devo ignorarla? O invece assecondarla con rabbia?

Play.

“Non sai dirmi come”. Ok, speravo in qualcosa in più. Avrei dovuto assoldare una medium e interrogare il Polpo Paul? Nessuno ha la risposta, bisogna provarci, capito. Però questa mi uccide sempre, l’organo e la ritmica felpata potrebbero tenermi qui dentro tutta la vita, fossilizzato al volante. AOR, musica per adulti, lo so. Ma non è che io sia ormai qualcosa di diverso, è solo che certe volte vado in apnea nella malinconia, scendo, scendo…

Play.

Che non ci fosse il sole me n’ero accorto anche io. Ah, vuoi dire che è la pioggia a tenere il morale sotto la soglia di guardia? Mahh, a me la pioggia non dispiace. Anzi, spesso mi rassicura, mi autorizza a fare le cose che, ok ho capito, le cose che stiamo facendo già da due mesi. Casa, tè caldo, dischi preferiti, naso sulla finestra. Comunque anche il povero Bill se n’è andato in questi giorni. Tutto cambia, anzi, tutto sfila via, scivola sotto gli occhi. Certezze?

Play.

Ecco, questa l’hai centrata. “Non riusciamo a trovare la strada di casa”. Difficile tornare indietro, a quell’indietro che eravamo noi, insieme. Questa è un’altra canzone che mi stende. Penso a quando saltava fuori in “Fandango”, a Kevin Costner giovane, a quella voglia di andare, la polvere in faccia, gli occhi stretti, a me che esco dal cinema. Quella frase sul poster: “in ogni specie vivente c’è una fase di crescita tra l’infanzia e l’età adulta. In molte specie animali capita durante il primo anno di vita…nell’uomo succede subito dopo il college”. Forse è andato tutto troppo veloce.

Play.

Bè, oddio. Non proprio. E poi quante canzoni degli Eagles ho ficcato qui dentro? Disperato no, ma abbiamo visto tempi migliori, questo ce lo puoi concedere anche tu. Diciamo che una piccola dose di ottimismo gratis non guasterebbe. Anche solo la percezione più netta di poter fare le cose comunque. Bisognerà accontentarsi, ma qualche minuscola sicurezza in più sarebbe la benvenuta.

Play.

Ah, bè. Così siamo capaci tutti. Comunque va bene. Ed è un buon modo per finire. Inizio ad avere freddo e non smette di piovere. Brian Wilson mi basta. Se ha tradotto in quel disco i suoi demoni e le sue meraviglie inarrivabili, c’è speranza per tutti. La bellezza è ancora dentro di noi, ci toccherà tradurla in qualche modo.

Stop.

Backdoor Antivirus – Mercoledì, 22 aprile 2020

Tedeschi, non fate così.

Mi rivolgo a Voi, perché di olandesi, austriaci, danesi, svedesi e finlandesi so poco. Siete i Paesi Frugali, ho imparato in questi giorni la Grande Metafora. Ecco noi no, “Italiani Sempre Manciare”. Vero. Ma la convivialità a tavola è una delle gioie più grandi al mondo. E so che siamo l’unico popolo che parla di cibo mentre mangia. Ma siamo anche i migliori in questo campo e abbiamo le cose più buone di tutti. Potreste dire lo stesso dell’Inghilterra, tanto per dire?

Tedeschi, non fate così.

Provate a volerci bene davvero. C’è quell’adagio “L’Italia stima la Germania, ma non la ama e la Germania ama l’Italia, ma non la stima”. Credo ci sia poco da aggiungere. Ma dietro a un grande Stato c’è sempre uno Stato così così. Ecco, quello siamo noi. Qualcuno dovrà pur farla quella parte, no? Provate a prenderci singolarmente, uno per uno. L’effetto cambia. Tutti insieme, non ce la potremo fare, mai. Arrendetevi anche voi. Il senso di società, di bene comune, è latitante. Ma non esattamente in quella modalità che ci affibbiate sempre addosso sulle copertine delle vostre riviste. Insomma, non del tutto.

Tedeschi, non fate così.

Vi abbiamo sempre suonato a calcio, ai Mondiali e agli Europei. Tranne l’ultima volta. E come è andata? Non abbiamo semplicemente sbagliato i rigori, tirandoli a lato e lasciando alle riprese video una faccia disperata. Potevamo andare direttamente negli spogliatoi e dirvi “In tema di “rigore”, Voi siete imbattibili. Noi andiamo a fare la doccia”. Invece no, li abbiamo sprecati come dei pagliacci, danzando, da sbruffoni, facendo gesti di cui non sembravano preoccuparci le conseguenze. Non è uno sforzo da poco. Abbiamo consolidato i luoghi comuni su di noi con due belle pallonate da circensi. Converrete, ci vuole impegno.

Tedeschi, non fate così.

Pensate al Mare Adriatico. Ai menù mirati nelle pensioni, al conforto dello Zanza (qualcuno sa perché), alla Romagna che vi versava la birra nei boccali. A quando vi guardavamo baffuti e con i capelli lunghi dietro, i sandali con le calze corte bianche (banale, ma vero, quindi), le camicie finto floreali dei supermercati di Amburgo. Vi abbiamo lasciato essere padroni qui. Vi abbiamo fatto ballare con “Life Is Life” degli Opus, sbevazzando e urlando nella vostra lingua gutturale. Siete stati i benvenuti, qui.

Tedeschi, non fate così.

Ho sempre amato la vostra musica. La meravigliosa Neue Deutsche Welle. I D.A.F., i Palais Schaumburg, gli Einsturzende Neubauten. L’indietronica di Notwist e Lali Puna. Il kraut poi, come avrei fatto senza Neu! e Can? Ho sempre comprato i vostri dischi, questo è un dato di fatto.

Tedeschi, non fate così.

La vostra cultura è Cultura, per carità. Lo sapevo anche quando uscivo dal cinema dopo i film della Von Trotta e sentivo crescere un desiderio inconfessabile di Jerry Calà. Ne ero comunque conscio. Tutti quei filosofi, complimenti. E avete fatto anche i conti con la vostra Storia, e io so bene quanto avremmo da imparare anche noi su quel versante. Quindi non prendetevela se mio nonno, sulla spiaggia di Spotorno, nei primi anni 70, sputava per terra quando sentiva parlare qualcuno di voi tra gli ombrelloni. Aveva fatto la Guerra, aveva visto cose. Ma bisogna andare avanti, riporre fiducia.

Tedeschi, non fate così.

Abbiamo un paio di cugini che vivono da voi, e stanno bene. Sono andato a Dusseldorf e ho declamato un testo di Nick Cave al matrimonio di mia cugina. Siamo stati a Berlino e l’abbiamo trovata affascinante, civile e con tutto il Novecento, gloria e ferite, esposto sotto i nostri occhi. Mia moglie e io abbiamo pranzato almeno tre volte in un ristorante, qui a Torino, di specialità tedesche. Mi è piaciuto il sedano rapa, quel wurstelone lungo come un avambraccio e la birra bianca. Non sono mai stato all’Oktoberfest, ma non mi piacciono nemmeno le giostre. Insomma, spero possiate capire che abbiamo fatto la nostra parte. Quindi.

Tedeschi, non fate così.

Danke

Per quanto assurdo e incongruente, anzi forse proprio per questo, l’Antivirus di oggi è dedicato a Pancho. Abbiamo saputo stanotte che il Coronavirus se l’è portato via. Un pezzo di Backdoor sgretolato. Non potremo mai più ascoltare un disco di James Brown senza pensare a lui.

Addio amico. Con te se ne va, per sempre, anche il Piastrellista Funky.

Guess I gotta cry, cry, cry
People, let me cry, cry, cry
I’d feel a little bit better
If I cry, cry, cry

(James Brown)

Backdoor Antivirus – Giovedì, 23 aprile 2020

E quando ci vedremo, che cosa mai potremo dirci?

Proibiti gli abbracci, le strette di mano vigorose, gli spintoni e i calci in culo (forse questi no), saranno le parole filtrate dai tessuti più o meno regolamentari delle nostre mascherine a rimetterci in relazione tra di noi.

Come stai?

Diciamoci la verità, con quelli che ci interessavano, siamo sempre rimasti in contatto, è facile ormai. Sappiamo perfettamente cosa mangiavano, se lo avevano preparato loro, i voti assegnati alle serie televisive, i dischi ripescati negli scaffali, i libri finalmente portati all’ultima pagina. Ma a loro, come a noi, non è successo sostanzialmente nulla. Pausa assoluta. Se non sono dei lavorati lignei, il grosso del traffico emozionale sarà stato interiore e, come tale, non sempre condivisibile. Pensieri incerti, ansie, programmi per il futuro, se un futuro non così appannato si potesse intravedere.

E quindi cosa ci racconteremo?

Ogni telefonata o video ammucchiata finisce sempre con un “non vedo l’ora di vederti”. Che è un augurio sincero e vero. Ma non avremo nulla da dirci, se non che con i nostri capelli impazziti, il colore grigio della faccia e gli occhi incomprensibilmente stanchi per l’immobilismo, siamo per ora sopravvissuti a tutto questo. E che speriamo di non ammalarci, noi e i nostri cari. Applicheremo una sanatoria sulle banalità, perché sara improbabile non cascarci dentro. Mischiarle a caso.

Ma quindi, come stai?

Se fosse finito davvero tutto, avrebbero dovuto spedirci singolarmente altrove, catapultarci da soli in un angolo di mondo che non conoscevamo, e poi riportarci a casa dopo un po’, tutti insieme. A raccontare qualcosa di nuovo e sorprendete. Sorridendo sulle parole, felici di poter testimoniare che la vita esisteva ancora, là fuori.

Backdoor Antivirus – Venerdì, 24 aprile 2020

Ovunque vi troviate ora, non siete più lì.

Ma qui.

Fate partire il video.

Che ore sono? Poco dopo le sette, davvero? La luce è meno forte. Usciamo insieme a vedere il tramonto? Prendo io da bere, non alzarti.

Avvertite che la vostra pelle si sta distendendo. Il sole addosso, abbandonato dalla doccia. Sciolto da quelle creme che vi spalmate lentamente solo per il piacere di sapere che potete farlo. Che il tempo è vostro. Che potete dedicarvelo. Fuori c’è un po’ di vento.

Cin! alla tua. Sorridete.

Questa canzone è bellissima, chi sono ? I Saxophones, marito e moglie, californiani, non li hai riconosciuti? Hai ragione, ora me li ricordo.

L’alcool scende lento, tracciando una geografia sotto pelle di piacere e necessità. Avevate bisogno di questo. I rumori sono ovattati, ma solo perché il mondo si sta prendendo cura di sé, esattamente come voi. Non parlate molto. Il silenzio è un’offerta di comunanza. Guardate avanti, ma in nessun punto preciso. Vi accorgete dei profumi. Il suono della canzone vi scivola addosso, la batteria a piccoli tocchi, quel ritornello dolce e sospeso. Siete leggeri.

Vi piace?

“Ho visto che il futuro non era così diverso
Non è strano?
Come mi sforzo così tanto di essere lo stesso
Come potrei non notare la profondità del dolore?
Come potrei non cambiare?
Quando la visione è così chiara
Non dovresti aver bisogno di spiegare
Un taglio nella carne, un segno dei tempi
I misteri rivelati, ma non mi piace quello che trovo”

Backdoor Antivirus – Sabato, 25 aprile 2020

Quando andavo alle scuole elementari, la maestra mi dava sempre e irrevocabilmente da leggere dei libri sulla vita dei partigiani. Edizioni per ragazzi. Non è che mi appassionassero molto, mi sembravano troppo simili alle vite dei santi, che mi piacevano ancor di meno. Passavo buona parte delle mie giornate in camera, da solo, a giocare a Subbuteo, ascoltando il doppio rosso dei Beatles. Quelle canzoni le adoravo, ma i Beatles, umanamente, non riuscivo a inquadrarli. Voglio dire, sentivo anche un sacco di disco music, ma mentre Donna Summer e Cerrone, vagamente, ce la facevo a collocarli, i Beatles mi sembravano ultraterreni.

Crescendo, ho iniziato a capire sia i Beatles che i partigiani.

I Beatles avevano scritto quelle canzoni meravigliose, ma era anche gente che si incazzava e aveva delle paure. Litigavano fra di loro, sentivano la mancanza delle madri, magari si annoiavano. Quando lo compresi, li sentii immediatamente più vicini. Presi le loro figurine e le infilai nel mondo, insieme a tutti noi. Quindi comprai anche il doppio blu e li amai con più forza.

Per i partigiani non fu troppo differente. Iniziai ad avvicinarmi alla loro età e li pensai così, gente che abbandonava i propri vinili di Siouxsie e Joy Division per andare a ghiacciarsi le vene sulle  montagne dove io passavo le vacanze, che pensava che non avrebbe mai più letto Carver o riso con John Belushi quando passava attraverso i controlli lungo le strade. Ragazze e ragazzi che mettevano in conto di morire. Li pensai mezzi ubriachi nella notte, con i fucili, che pogavano cantando, con i vestiti stracciati e l’insolenza punk, immaginai che pedalassero forte in bici per scacciare le paure. Avvicinandoli, li pensai “kids”, orgogliosi e magari felici. Lessi altri libri su di loro e iniziai a volergli bene.

Quindi, direi di finirla con questa faccenda che ci sono molti tipi di liberazioni e sulle opportunità dei giorni disponibili nel calendario.

Perché è bene che il 25 aprile rimanga per sempre quello che è.

La liberazione dell’Italia dall’occupazione nazista e dal regime fascista

Backdoor Antivirus – Domenica, 26 aprile 2020

Com’è ovvio che sia, iniziano ad affiorare segnali non trascurabili di insofferenza.

Ci apprestiamo a una settimana complicata, forse l’ultima di vero lockdown (???), e toccherà attraversarla a denti stretti, mantenendo la rotta e facendo un bel respiro.

Ma qualcuno, non ce la fa più.

In piazza Barcellona, la piazza antistante Backdoor, direi che la Fase 2 è iniziata da tempo. Io arrivo in negozio a orari da Bela Lugosi, nel deserto urbano più assoluto, ma quando ficco timidamente la testa fuori dalla serranda, vedo una miriade di persone che deambulano smarrite e con movimento ondulatorio, spesso senza mascherina e con lo sguardo vitreo. Poveri loro, senza dubbio, ma a qualcuno la faccenda non deve essere andata giù e, da un anonimo balcone, è stata sollevata qualche giorno fa una velata critica. Si è udito nettamente un “Tornate a casa, zombie del cazzo!!!”. Io l’ho interpretato come un moto di dissenso, ma non vorrei sbagliarmi. In ogni caso i destinatari dell’invito se ne sono fatte beffe e hanno continuato imperterriti a sobbalzare mestamente, in ciabatte, sedano e rotoloni di carta igienica.

Difficile tenere i nervi saldi, pensare al bene comune. Sono le esplosioni improvvise a far paura.

Venerdì sono andato a fare la spesa. Nel consueto balletto delle corsie “prego, venga lei-si immagini-prendo solo i carciofini sott’olio-ci mancherebbe- (ma magari levati dalle palle appena puoi)” ho sentito un brusio nell’area del banco gastronomia. Lesto come una donnola, sono sgusciato a lato della muraglia delle fette biscottate per buttare un orecchio. “Eh no, mi scusi, qui avete soltanto il Fontal e io volevo la Fontina d’Aosta. Capirà che non è la stessa cosa. No, non lo è davvero. Io vengo qui con una cosa in mente e ne trovo un’altra. Lo guardi (eleva il tocco di formaggio ad altezza occhi). Questo è Fontal! Spero sia d’accordo anche lei. Fontal, è un maledetto Fontal”. E poi, innervosito dal silenzio esausto dell’addetta al banco, il tipo (faccia da uno che se avesse avuto cinquant’anni in più sarebbe stato un dirigente FIAT) ha guardato una disgraziata che aspettava in coda e le ha detto “La vuole lei ‘sta merda?” e ha tirato il povero Fontal nella fossa comune dei formaggi in offerta. Avrei voluto dirgli “Senta buonuomo, la faccia finita, che io non ho trovato i Tuc e nemmeno i Ritz. Qui tutti abbiamo i nostri problemi, ma non è il caso di farne un comizio”, ma poi ho capito che cercava solo la rissa, era uno con la data di scadenza molto più vicina di quella del meschino Fontal.

Ho soprasseduto. Sono tornato a casa e mi sono bevuto il mio caffè della giornata affacciato alla finestra, sotto la quale, molto più in basso, è passato uno che che scandiva sulle note di “Yellow Submarine” la seguente filastrocca “Andrà bene, andrà bene, andrà bene un bel cazzo”, pausa di tre secondi e poi ”Andrà bene, andrà bene, andrà bene un bel cazzo”. E avanti così, fino a quando non è scomparso dalla visuale e dalle orecchie del circondario.

Insomma è difficile, ma fatevi un esame di coscienza, provateci.

Le scelte musicali di oggi, mai così azzeccate, sono offerte da Andrea Pomini, amico e collega di Rumore, uno dei pochi al mondo in grado di distinguere un brano di Fela Kuti da un altro, nonché autore dei migliori spaghetti di zucchine dell’intero pianeta.

e anche

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Backdoor riaprirà, si spera presto, e i vinili torneranno a girare

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Redazione Rumore
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