Rumore 327 | Aprile 2019 – Apparat, Berlino a 30 anni dal Muro

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Sascha Ring è uno dei più talentuosi produttori di musica elettronica al mondo. Tedesco, attivo ormai da molti anni con il suo progetto/alter ego chiamato Apparat (ma anche con un altro denominato Moderat, assieme ai colleghi Modeselektor), Ring è da almeno un decennio una delle figure di riferimento del suono digitale planetario. Ambizioso, visionario, autore di colonne sonore (pure per il regista partenopeo Mario Martone per il quale ha appena vinto un David di Donatello), contaminatore a cavallo tra musica suonata e produzione elettronica, Apparat ritorna con il suo lavoro più compiuto, LP5. Che porterà in tour nei prossimi mesi proprio partendo dall’Italia. Da profondo conoscitore della realtà berlinese gli abbiamo chiesto di ragionare sull’identità della metropoli che l’ha adottato da oltre 20 anni. Che città è diventata Berlino a 30 anni esatti dal crollo del muro? Alla luce dell’unione ormai conclamata tra la parte ovest e quella orientale della capitale tedesca. Apparat, nella storia di copertina di aprile 2019, ci porta in giro per la sua città, attraverso le parole di Giorgio Valletta. Ma non è l’unico. Perché Ercole Gentile, nostra firma che da tempo abita ormai nella capitale in questione, ha riassunto in un reportage slanci e contraddizioni della città che fa rima con libertà. Infine, un altro straniero in città di lusso, un altro berlinese adottato: stiamo parlando di Daniel Miller, mente operativa dietro l’etichetta discografica Mute, che da tempo ormai si è trasferito a Berlino e lì ha di fatto spostato i suoi uffici. Francesco Vignani l’ha intervistato. Facendo parlare non solo un berlinese acquisito, non solo un professionista illuminato che ha scritto la storia musicale degli ultimi 40 anni (Depeche Mode, Nick Cave & The Bad Seeds etc.), ma anche, guarda caso, il discografico proprio di Apparat. 

Da un’etichetta di origine inglese alla fuga dall’italiano verso la lingua inglese. Una fuga particolare messa in atto dai Virginiana Miller, da sempre campioni nel mettere assieme parole in italiano dentro le canzoni. Fra i migliori di sempre, in Italia. La band livornese ha però deciso per il nuovo disco di scappare dall’Italia e affidare le nuove composizioni all’idioma inglese. Così ecco un album nuovo distante dalla lingua di Dante. Il perché lo raccontano a un “italiano d’America” quale è il nostro Mauro Fenoglio. Da sempre in fuga dall’Italia e dalla sua lingua sono pure i romani Giuda, con un album nuovo in uscita e tante parole da spendere, affidate alla penna di Andrea Valentini. Così come, spostandoci in Emilia grazie ad Arturo Compagnoni, incontriamo Ferruccio Quercetti (ieri con i Cut, oggi Ferro Solo) e Jonathan Clancy, che mezzo di lingua inglese lo è davvero (oltre a gestire l’etichetta Maple Death e oltre ad aver creato nel tempo band come His Clancyness, A Classic Education, Settlefish e Brutal Birthday). C’è vita oltre la lingua e la musica italiana? 

Claudio Sorge e Mario Ruggeri hanno invece compiuto un viaggio dentro il “cuore nero del Brasile”. Si sono concentrati su un paio di band di San Paolo. I Basalt e i Deafkids, entrambi intervistati. Suoni apocalittici che incrociano il black metal con la new wave, il punk e il doom, per una visione dell’America Latina distante dagli stereotipi a cui siamo abituati.

I Franti sono stati una band leggendaria per l’underground nazionale. Torinesi, ancora attivi, sebbene in altra forma, hanno da poco deciso di rendere disponibile tutto il loro catalogo, in download gratuito, online. Occasione per noi per ripercorrere le vicende della band anarchica torinese fondata più di 40 anni fa, a cavallo tra rock e antagonismo, jazz e poesia. La formazione che fu di Stefano Giaccone, Massimo D’ambrosio, Lalli e Vanni Picciuolo si confessa in una lunga intervista rilasciata al concittadino e amico Paolo Ferrari.

Fra le interviste di approfondimento ci sono quelle a progetti freschi come gli “italiani d’esportazione” Malihini; oppure l’asiatica “occidentalizzata” Bonnie Li, l’indie di Fews e Boy Harsher, il pop britannico e malinconico di The Japanese House e quello italiano, ma dal respiro soul, di Ainé. Il cantautore di origine siciliana Dimartino ci ha invece raccontato quali sono i sue dischi preferiti della vita. Siamo andati a vedere dal vivo una delle prime date del tour dei Massimo Volume, reduci da un album nuovo da poco pubblicato. Raccontiamo la parabola artistica ed esistenziale di Josh Sanfelici, musicista al servizio (fra i tanti progetti che lo hanno visto protagonista) di band come i Mau Mau e i Fratelli Di Soledad. Molte come sempre le ristampe in uscita: in tema di riproposizioni discografiche diciamo anche delle riedizioni di Franco Battiato, Third Ear Band, New Order, Assalti Frontali, Manic Street Preachers, Asian Dub Foundation, The Zen Circus etc. 

Sezione recensioni: il disco del mese è quello dei britannici Housewives. Per la sezione italiana denominata “treecolore” ci concentriamo invece sull’album dei romani La Batteria.

Analizziamo inoltre le nuove uscite di Sangue, Weyes Blood, Solange, These New Puritans, Backyard Babies, Floating Points, Beth Gibbons, Avey Tare, Dream Theater, The Drums, Cosey Fanni Tutti, Uochi Toki, Bibio, Deproducers, Sunn O))), Fennesz, Willie Peyote, A Toys Orchestra, Brant Bjork, Band Of Skulls, Sick Tamburo, The Chemical Brothers, Soak, Nouvelle Vague, Lamb, Bruno Dorella e tantissimi altri. 

“Rumore” 327, aprile 2019, è in edicola di 6 euro. Disponibile anche la versione digitale da scaricare. Buona lettura!

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