Editoriale 320: Musica da masticare

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(Credit: chiamamicittà)

Di Rossano Lo Mele

“Accade” un paio di volte al giorno. Si manifesta durante la stagione estiva in due sessioni quotidiane, alle 11 e alle 17. Si chiama Publiphono (sottotitolo “la voce della spiaggia”) ed è il fenomeno audio tranquillizzante per antonomasia, per chi è in villeggiatura. Sull’Adriatico. Chi non è pratico della riviera può essere che ne sia a digiuno, ma chi bazzica quella costa – descritta con così tanta melanconica giustezza dai nostri Francesco Farabegoli e Maurizio Blatto solo un numero fa – familiarizza da tempo con la voce distante di Publiphono. Un formicolio nell’altoparlante della spiaggia e poi una mezz’oretta scarsa di musica che accompagna i bagnanti. Pubblicità, canzoni del passato e successi del momento. Il villeggiante deve essere a suo agio dentro quel pacchetto all inclusive di 30 minuti: dentro c’è posto per l’ieri (gli indimenticabili anni 60!), consigli per gli acquisti (l’outlet del divertimento a soli cinque minuti dal centro di Rimini!), per l’appetenza (ristorante, apericena con DJ set a seguire, pub, pizzeria, piadineria). E, soprattutto, c’è l’oggi: i grandi successi del presente. Un meccanismo innocuo, eterno, normale, tranquillizzante. Siamo (stati) in vacanza del resto.

L’estate sta finendo e faccio mente locale sulle sedie dove mi son ritrovato, ci siamo ritrovati, a rispondere a riti sociali, alla fame, alla sete. In pieno quartiere hipster di una qualsiasi città metropolitana del centro nord, un locale in zona aperitivo trasmette una playlist di Spotify. Tutta roba italiana, tutta contemporanea, di successo e non. Alzo il telefono non per imprecare ma solo per shazammare. Sono tutti autori di età diverse, operativi oggi. Scrivono tutte canzoni con beat uguali, con strofe uguali, parlano di dentifrici e pornografia minimalista. Cambio locale, al bar cripto rock del borgo dove vado in vacanza dal ’91 anche la musica è cambiata. Una volta c’erano Litfiba, Whitesnake, Guns N’Roses e spruzzi di hair metal. Non il top della sofisticazione, ma una direzione almeno, il trend dell’epoca. Ora la playlist di Spotify non suona diversa da quella di cui sopra. Intendiamoci: non c’è nulla da rimproverare a Frah Quintale o Gazzelle e compagnia. Fanno la loro cosa per un pubblico che personalmente non sono (né posso essere) io. Ma quella musica è già onnipresente nelle nostre vite, nei montaggi televisivi, nei servizi, nei telefoni degli adolescenti, nei cartelloni di ogni festival. Publiphono funziona perché dopo mezz’ora finisce, lascia il bagnante alla sua quotidianità fatta di creme solari, beach tennis, chirurgia plastica in bikini e inclinazioni del lettino. Sono finestre che non masticano tutto il nostro tempo. Chi realizza quel dispaccio sa bene che entrare come un inviato del divertimento per tutto il giorno nella vita delle persone, in modo invadente e troppo ordinario, non sortirebbe alcun effetto (commerciale). Quella musicallamoda gode già di una visibilità talmente ampia da non necessitare di ulteriori altoparlanti, anche in luoghi “altri”. Per dirla con il compositore Ryuichi Sakamoto: se vado a spendere dei soldi in un locale per mangiare o bere qualcosa di buono, allora mi aspetto che anche la musica sia tale. E non tappezzeria. Avrete forse letto la notizia, scritta dal “New York Times” e riportata di recente in Italia anche sul nostro sito. In quanto cliente abitudinario di un ristorante nel West Village newyorkese (Kajitsu), Sakamoto ha deciso di far presente la cosa al titolare. Per risolvere questo suo problema si è proposto di confezionare apposta una playlist per il locale. Detto fatto. Si dirà che questi sono capricci di una ricca, annoiata e vetusta (66 anni) star occidentalizzata della musica di origine orientale.

Sarà anche vero, ma: proviamo allora a metterla così: forse neanche a chi segue da tempo la scena punk hardcore o in generale alternativa americana dirà molto il nome di Brooks Headley. Questo batterista cominciò suonando con gli Universal Order Of Armageddon. Ha suonato col leggendario chitarrista avant metal Mick Barr degli Orthrelm, ha passato un po’ di tempo negli iper politicizzati Born Against. Ma ha prestato un po’ del suo tempo anche a band come (Young) Pioneers, Men’s Recovery Project, The Great Unraveling, Skull Kontrol, Wrangler Brutes, Oldest. Non ha mai mollato, ma nel frattempo si è dedicato alla ristorazione. Dapprima come pasticciere di gran successo. Infine, da poco, come titolare della catena di hamburger vegetariani chiamata Superiority Burger. A un certo punto si è posto il dubbio di che musica trasmettere nella sua attività. E ha scelto di fare così: far girare il suo iPod fra gli amici, in modo che lo riempissero loro della musica che volevano. Per sua stessa ammissione, gli piace che nel suo locale si ascolti musica che lui neanche conosce; benché l’intero album di Fats Domino – Rock and Rollin, 29 minuti di durata – sia un must tra i suoi tavoli. Ecco un modo di lavorare con la classicità. Dei piatti, del tempo e del rock.

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