10 brani rap che altereranno la tua percezione

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Alla ricerca di brani rap che con i loro versi e beat
altereranno la vostra percezione.

di Davide “Deiv” Agazzi

CYPRESS HILL

Hits From The BongBlack Sunday (Columbia – 1993)

“Plug it, unplug it, don’t stray… I love you Mary Jane!” Banale? Banale, sì. Certo. Ma non per questo meno efficace, anzi. Se c’è un inno rap alla fattanza (in realtà, ce ne sono decine) questo non può non essere che questo. Dopo un ottimo disco di esordio, grazie al quale il trio losangelino si mette in mostra, è col secondo celebratissimo lavoro, Black Sunday, che la crew di South Gate porta il rap latino in cima al mondo. E le ‘cime’, in questo disco, non mancano affatto, ma vengono regolarmente tritate nel grinder per dar da mangiare a questo insaziabile bong, il cui suono – per non farsi mancare niente – viene anche campionato nel pezzo stesso, costruito su un campione di Son Of A Preacher Man di Dusty Springifield (sì, esatto, proprio il brano della colonna sonora di Pulp Fiction). Sempre dallo stesso disco, imperdibili anche l’opener I Wanna Get High e l’imprescindibile Insane In The Brain: il catalogo dei Cypress Hill in tema di tracce “fumose” non è secondo a nessuno e infatti..

D’ANGELO

Brown Sugar – Brown Sugar (EMI – 1995)

 

Ok, questa forse è meno banale. Che ci fa quel figaccione di D’Angelo in questa lista di bad boys dal polmone d’acciaio? Non ci crederete, ma è proprio un’ode alla ganja a dare il via alla carriera del nostro, nella forma di Brown Sugar, singolo di lancio dell’omonimo album di debutto di questo stracciacuori. Brown Sugar non è il nome di una ragazza, e neanche (come suggerito da qualcuno) un inno all’eroina (ma vi pare?! quella roba lasciamola a Mick Jagger), bensì un riferimento ai blunt, i sigari da riempire di erba che sono, appunto, di colore marrone. E il fatto che questa ragazza l’abbia incontrata a Philadelfia vi dice nulla? I Phillies sono la marca di sigari preferita per questo genere di sport alternativa mentre la Chocolate Thai a cui allude più avanti nel testo, è sì la sorella maggiore della ragazza, ma intesa come una ganja con un tasso di thc più elevato. Allo stesso modo, sarà sempre l’erba a mettere un forte stop nella carriera del nostro: nel 2005 verrà arrestato per possesso della sostanza e per rimettersi in sesto gli ci vorranno quasi dieci anni. Il disco di ritorno, però, valeva tutta l’attesa del mondo.

THE PHARCYDE

Pack The PipeBizarre Ride II the Pharcyde (Delicious Vinyl – 1992)

Restiamo in California, ma cambiamo completamente atmosfera: mentre il gangsta rap di Stato polverizza qualsiasi record di vendite (N.W.A., Snoop Dogg, Dr. Dre, giusto per citare gli imprescindibili), nelle retrovie va in scena una rivoluzione sonora e solare, che tenta di recuperare in parte i temi dell’afrocentrismo, sulla scia di quanto già fatto dalla posse Native Tongue sulla costa opposta. Lo stile dei Pharcyde è incredibile: funky, allegro, intelligente ma anche gioiosamente fumoso. Praticamente il contrario di quel che vuole il pubblico in quel preciso momento storico e infatti il successo dei colleghi rimatori citati in precedenza, i nostri non riusciranno a vederlo neanche fumandosi l’intero parco di Yellowstone. Questo non toglie che non ci si possa divertire: Pack The Pipe è l’ennesimo omaggio al bong, decisamente più salutare sia della birra (“the bud, not the beer, ‘cause the bud makes me Weiser”) che dell’odiatissimo crack (“why does your mother smokes pipe.. with crack on the inside?!”), che del solo tabacco (“if I wanted to smoke tobacco I’d get a skinny white bitch”). Anche perché, se qui ci sono dieci mesi di sole all’anno, com’è che vi mettere tutti a fare i gangster?

DR.DRE FEAT SNOOP DOGG

The Next Episode2001 (Aftermath – 1999)

Avete presente quella storiella sui dieci mesi di sole all’anno in California? Ecco, questi sono gli altri due. Dr Dre motherfuckers! Indubbiamente uno dei brani più celebri della storia del rap, conosciuto praticamente da chiunque si sia anche solo vagamente affacciato sul mondo delle rime, rappresenta la consacrazione della combo artistica, iniziata circa un decennio prima, tra Dr. Dre e Snoop Dogg. Il primo, dopo aver terminato la corsa coi cattivissimi N.W.A., produrrà lo storico album The Chronic e andrà a lanciare un paio di carriere “importanti” come quelle di 50 Cent e di un noto biondino di Detroit, oltre a mettere una fondamentale zampata in quella di tale Kendrick. Il secondo, invece, costruirà una carriera trentennale, compresa di grottesca parentesi pseudo-rastafariana, sulla triade di valori ganja/ donne/ California. Brano praticamente imprescindibile per ogni jam/party/bbq rappuso degno di questo nome, è uno degli anthem definitivi del binomio ganja e rap. L’inevitabile ed ultraesplicito ‘smoke weed everyday’, messo lì al termine della canzone, a mo’ di pubblicità progresso anni ’80, è un pezzo di storia del rap. Ma pure il la-la-la-la che funge da incipit non è da meno. La ciliegina sulla torta? Nate Dogg. Praticamente IL pezzo perfetto.

SNOOP DOGG FEAT WIZ KHALIFA

This weed iz mineDoggumentary (Doggy Style – 2011)

Due pezzi dei Cypress Hill, due pezzi con Snoop. Era inevitabile. Dieci anni dopo il successo di The Next Episode, Snoop è sempre sulla cresta di una gigantesca onda verde fatta di successo e popolarità. Mollate le vesti da gangsta che hanno caratterizzato la sua prima parte di carriera, Snoop è ormai un personaggio per famiglie: in tv dalla mattina alla sera, partecipa o conduce programmi tv, quiz a premi, pubblicità di ogni genere. Ecco allora farsi avanti Wiz Khalifa, alfiere di una nuova generazione di giovani polmoni pronti al massacro, praticamente il compagno di merende (chimiche) del buon Snoop. Una sorta di mini-me, di Austinpowersiana memoria, ma devoto alla ganja, invece che al male. Lo strafatto duo artistico, oltre a non provare alcuna pietà per le povere piante di cannabis, regolarmente tritate senza rimorso, si è poi musicalmente ripetuto nella hit Young, Wild and Free ed ha portato i propri svarioni anche sul grande schermo, nel non esattamente riuscitissimo Mac And Devin Go To High School.

METHOD MAN & REDMAN

How HighHow High – The Soundtrack – (1999)

Avrei potuto fare una lista di dieci pezzi solo con questi due mc. Method Man e Redman sono praticamente un unicum artistico, prima che un binomio. Inscindibili compagni di botta, sono il filtro e la cartina, la ganja e il bong, il blunt e i Phillies, insomma, ci siamo capiti. Originario di Staten Island il primo, e dall’assai più pacifico New Jersey il secondo, si sono costruiti una carriera – un po’ come Snoop Dogg sull’altra costa – a colpi di rime ed erba. La vicinanza di stile e di vizi non poteva che portarli a collaborare, a più livelli. Gustosissimo il connubio musicale, nello strepitoso Blackout, vero e proprio capolavoro anni ’90, e nell’assai più dimenticabile Blackout 2. Ma è al cinema che i nostri realizzano il sogno bagnato di tutti i fattoni della rima: How High, l’omonimo film, è infatti una riuscitissima commedia black, con i nostri rappusi alle prese col college, ed un amico morto che torna in vita dopo averne fumato le ceneri. Quanto dovremo aspettare, ancora, per il pluri-annunciato seguito?

SANGUE MISTO

La Porra SxM (Century Vox – 1994)

“Si può giocare a flipper. Si ascolta musica. Si possono comprare accessori vari, per confezionare spinelli e fumare.” Se non avete mai sentito queste parole, intro al monumentale pezzo del più celebrato gruppo rap italiano della storia, vi siete persi la cosa migliore mai uscita dal mondo della rima tricolore. Tranquilli ragazzi, zero paranoie, si fuma anche in Italia. E che fattanza! I livelli di classe e di thc sono altissimi in questa bomba: l’attacco di Neffa (“con la mia ballotta fumo porre in quantità”) è scolpito nella corteccia cerebrale di ogni guaglione della doppia h, è praticamente un coro da stadio mancato, andrebbe studiato nelle scuole. Sono semplicemente troppe le barre epiche di questa traccia, davvero, non so neanche da parte cominciare. Il rifiuto ostentato delle altre droghe, la sincera e gioiosa celebrazione della magia del cilum (quest’ultima, praticamente, la quinta arte dell’hip hop italiano anni ’90), gli omaggi al Santo Padre da veri e prori Re Magi della botta. Livelli insuperabili e, infatti, insuperati. “Io resto affezionato al dado Knorr/cartina, filtro, paglia, fumo, uguale amor.” Questa è storia.

ASSALTI FRONTALI

Un cannone me lo meritoHsl (Believe Music – 2004)

Altro inno nostrano all’erbetta gioiosa, ha lo stesso fine del pezzo citato in precedenza, ma un approccio completamente diverso. Tra i pionieri del genere in Italia, prima nella formazione Onda Rossa Posse, poi rinati col monicker attuale, gli Assalti Frontali sono letteralmente inossidabili. Sopravvissuti a mode e stili, sempre uguali – nel bene e nel male – a se stessi, sempre in prima fila, sempre dall’altra parte della barricata. La costanza stilistica è un’arma a doppio taglio, perché fidelizza una parte di pubblico e ne aliena inevitabilmente un’altra: insomma, coerenti per alcuni, superati per altri. Quando parte questo pezzo, però, un vero e proprio classico dei concerti dal vivo della crew romana, tutti gli scazzi e le divergenze passano in secondo piano: rimane solo da scassarsi sotto il palco che, in fondo, un cannone ce lo meritiamo tutti.

MADVILLAIN

America’s Most BluntedMadvillainy (2004)

Avete passato la notte a rovinarvi di blunt con gli amici, guardando vecchi cartoni animati e oscuri quiz televisivi, finendo per mangiare tutto quel vi stava intorno, in preda alla fame chimica. Ecco, il perfetto contraltare sonoro per questa notte da fattoni potrebbe essere assolutamente questo pezzo semi-oscuro e delirante dell’altrettanto folle progetto musicale che vede assieme l’antieroe del rap americano per eccellenza, il mascherato Mf Doom, e l’uber-producer Madlib qui presente – per non farsi mancare proprio niente in questa scheggia di follia – col suo alter ego dalla voce pitchata Quasimoto. Se rileggendo quest’ultimo periodo state pensando che i blunt me li sia fatti io, vi assicuro che è tutto vero. Perchè il rap americano non è solo piscine e cadillac, c’è anche chi sceglie una via in direzione contraria, chiudendosi in camera e rappando su beat costruiti su filastrocche del secolo prima. Ricordate bambini: m-a-r-i-j-u-a-n-a.

AFROMAN

Because I Got HighBecause I Got High (T-Bones – 2000)

Vi vedo, eh? Che c’è da ridere? Afroman, sì. Quello lì. E allora? Sarebbe facile prendere per il culo il povero Afroman, e con lui la sua divertente (e ad oggi unica) hit, uscita a cavallo fra i due millenni. Ma la verità è che tutti siamo stati Afroman, almeno una volta. Dovevo fare la spesa però.. sai com’è, dovevo pure rispondere a quella mail, che poi la macchina dov’è che l’avevo parcheggiata? Esatto, fate poco i fenomeni, che due ore di live dopo 18 blunt le fanno solo Method Man e Freddie Gibbs. Oltretutto, con questo brano, la carriera del nostro inizia e finisce. Il resto deve esserselo scordato, evidentemente. Beh, non che siano mancati i dischi, è il successo che non è più tornato. Afroman ricompare infatti attorno al 2014, indovinate come? Esatto, con un remix di questa traccia, inserendosi furbescamente nel dibattito sulla legalizzazione dell’erba. Il giochino del rilancio artistico non riesce ma, hey, almeno ci ha provato. Come dite? Non esiste chiudere la classifica con questo brano? Avrei dovuto fare più ricerca? Avete ragione ma non ne avevo più voglia. Perché? Because I Got High, Because I Got High, Because I Got Hiiiiiigh.

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Qua sotto la playlist da ascoltare su Spotify con i brani reggae/dub e rap che altereranno la vostra percezione.
Leggi l’articolo sui 10 brani reggae/dub.
Leggi l’articolo sui 10 brani stoner e psych.


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