La triplice vita di Mark Ronson: produttore, dj e musicista

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Riconoscere immediatamente un suono o un gusto è un riflesso automatico e quotidiano. “Rumore”, in collaborazione con Jameson, vi porta a scoprire ciò che li rende riconoscibili.

Di Letizia Bognanni

Cose che si possono fare con la musica: suonarla – scriverla – ascoltarla – farla suonare – farla ascoltare – ballarla – farla ballare. Lavorarci. Solitamente, chi ci lavora fa una o due delle cose sopra dette. Non se ti chiami Mark Ronson, però. Se ti chiami Mark Ronson (già nostra cover story qualche anno fa) la musica la fai suonare. Come produttore di quelli dal tocco magico, e anche qualcosa di più: perché di produttori bravi, bravissimi, unici, geniali più di te ce ne sono, sì, ma di produttori che passano da Nikka Costa a Macy Gray ai Duran Duran a Paul McCartney ai Queens Of The Stone Age e ultima ma solo in questo elenco e solo per sottolinearne la rilevanza, Amy Winehouse – se qualcuno (ma davvero?) non lo sapesse, si parla della produzione di Back To Black, altrimenti detto l’album della consacrazione), e oltre, non ce ne sono tantissimi.

Fare l’elenco completo è impervio, facciamoci bastare i numeri, 50 album e più o meno altrettanti singoli, dal 1998 ad oggi, sempre senza nessuna barriera stilistica, e il tutto punteggiato dalle produzioni proprie, perché poi naturalmente se ti chiami Mark Ronson la musica. Se ti chiami Mark Ronson, la musica la fai ascoltare e ballare. Come DJ, nei locali più hip della Manhattan anni novanta, dove sparigli i generi come può fare solo chi è cresciuto con Mick Jones, il chitarrista dei Foreigner, come patrigno e compagni di scuola come Sean Lennon. A mescolare con tanta sapienza, istinto e lungimiranza hip hop, funk, rock, pop (e le giuste connessioni social – prima dei social: l’amicizia con Aaliyah e la conseguente apparizione nella campagna di Tommy Hilfiger, per esempio) è normale che a un certo punto qualcuno abbastanza in alto, abituato a scovare talenti, si interessa a te. Nello specifico, il manager di Nikka Costa, che ti porta a produrre una canzone della sua assistita – Everybody Got Their Something, titolo piuttosto significativo e vagamente profetico in questa storia, fra l’altro –, dando così ufficialmente il La alla tua nuova carriera di produttore.

Infine, se ti chiami Mark Ronson, la musica la suoni. E non così, tanto per passare il tempo. Se l’esordio non è un successo travolgente infatti – nonostante il coinvolgimento di gente tipo Jack White –, il percorso da artista in proprio è una relativamente lenta, ma inesorabile, ascesa verso l’inevitabile superhit. Che arriva insieme a un altro che di hit ne sa qualcosa, Bruno Mars, e al singolo spaccatutto dell’album del 2015 Uptown Special, Uptown Funk: multidisco di platino, oro e diamante un po’ ovunque, pluripremiato a dispetto delle controversie, un successo che potrebbe anche fare paura, se non fosse che ti chiami Mark Ronson e con la musica sai farci tante di quelle cose che il successo non ti mancherà mai. Al massimo prenderà altre forme.

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