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Intervista: Ministri

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di Elena Rebecca Odelli

È il novembre 2006 quando Federico Dragogna, Davide Autelitano e Michele Esposito passano da Ministro del tempo a Ministri e pubblicano per Otorecords e Maninalto! records dei Vallanzaska, I Soldi sono finiti. In copertina viene inserita una moneta da 1 euro e nel booklet la nota Spese della produzione dell’album, un tentativo provocatorio di sensibilizzare i consumatori di musica sulla crisi discografica degli anni. Un’anomalia rock per il tempo, in un panorama dominato da hip hop e musica elettronica. Sono passati dodici anni da I Soldi sono finiti e , malgrado il numero di dischi pubblicati e di palchi calcati, si è gridato ad un affrettato ritorno alle origini quando Fidatevi è stato lanciato come primo singolo. Nato sicuramente come eco del decennale del loro primo album, festeggiato nel 2016 con una serie di concerti, Fidatevi, pubblicato sotto Woodworm Publishing Italia, ha dimostrato di non essere un mero ritorno al passato. La produzione, oltre che ai Ministri stessi, è stata affidata a Taketo Gohara. Registrato e mixato alle Officine Meccaniche vede il contributo di Mauro Pagani ai violini su Fidatevi, Stefano Asso, Quartetto Torino, Stefano Nanni e lo stesso Taketo al tamburello e shaker. I Ministri hanno dimostrato che negli anni, non hanno mai perso l’attitudine alla provocazione ma anche al contraddittorio per i tempi correnti, non perdendo mai la centralità della parola. Ispirato dal concetto della fiducia, le dodici tracce che compongono il settimo disco in studio della band meneghina virano tra suoni cupi e dimensioni più ariose. Fidatevi è un disco autobiografico che parte dalle consapevolezze raggiunte e dagli spettri dentro gli armadi, ponendo l’accento sul dissidio di una generazione che è diventata ormai adulta. Una gestazione, quella di Fidatevi, che ha portato la band a scomparire dalla scena e dai social dal gennaio 2017, subito dopo la pubblicazione di Locandine, il libro che raccoglie il meglio della loro distintiva poster-art. La chiacchierata che trovate qui nasce dalla necessità di mettere a fuoco un disco che è stato giudicato in fretta, prima ancora di esser stato masticato e capito.

(Ministri – Fidatevi, 2018)

Fidarsi, non è un concetto anarchico per i tempi contemporanei?

Federico Dragogna: “Sostanzialmente, in questo momento storico per rompere il discorso di chi parla di qualsiasi tipo di droga e qualsiasi pratica sessuale, per dire qualcosa di rivoluzionario a suo modo dovevamo perseguire questa direzione. Fidatevi è uno slogan da boy scout tutto sommato e ne siamo fieri. Continuiamo a fare una battaglia che è la nostra che prevede una strada un po’ più lontana, rispetto agli altri”.

Qual è stata la gestazione di questo vostro settimo lavoro in studio, in termini di suono e arrangiamenti?

Davide Autelitano: “Il tour per il decennale de I Soldi Sono Finiti ci ha permesso di capire meglio la genesi di quel nostro primo album e comprendere anche l’urgenza di esprimerci che avevamo. Volevamo congelarci un po’ di più rispetto a questo anno sabbatico lontano dalle scene, seppur ci fosse già un buon songwriting, poi ha preso il sopravvento il metter di nuovo le mani in pasta. Non avevamo previsto di fare un disco con queste tempistiche, ci siamo trovati anche con l’urgenza di farlo ad un certo punto. Il tutto è stato accomunato dal tema della fiducia, che di certo non è stato scelto a tavolino, ma in itinere. Abbiamo dovuto selezionare le canzoni, erano una ventina all’incirca. Una volta individuate quelle che piacevano, abbiamo pensato a chi farlo produrre”.
Federico: “Seppur ci fosse una pre-produzione già ben definita”.
Davide: “In teoria poteva esser pubblicato da noi tre, come una grande autoproduzione artistica. Però cercavamo comunque un parere esterno. Abbiamo trovato Taketo Gohara che ci ha portato alle Officine, un posto che conosce molto bene e ha dato quel valore in più, con suoni che non pensavamo di poter raggiungere”.

Dopo Fidatevi, il singolo, qualcuno ha detto “i Ministri sono tornati alle origini”.

Davide: “Per me l’ha detto uno e poi si sono accodati gli altri. Personalmente non ci vedo tanto quello. Se davvero c’è un ritorno alle origini puoi dirlo una volta ascoltato il disco per intero. Come struttura è anche vero, ci sono delle ballate intervallate a brani in cui si sentono forti le influenze emo e rock’n’ roll”.
Federico: “Credo che c’è una buona quota di persone che dicendo “sono tornati alle origini”, lo stanno dicendo a loro stessi, in realtà. Siete voi che volete tornare alle origini. Ci sono persone della nostra età che ascoltando alcune note o risentendo la voce di Divi esposta in un certo modo, pensano a dieci anni fa quando si suonava al Bloom e loro avevano meno responsabilità. Sono contenti nel dirlo”.
Davide: “In realtà se fai un pezzo per pochi, loro pensano che sia una figata perché si sentono speciali. Facendo la canzone meno pop, meno mainstream si sentono a loro agio. Se invece fai la canzone più aperta anche come papabili ascoltatori a cui ti rivolgi, si sentono traditi. Questo disco aveva anche voglia di stuzzicare l’ascoltatore. L’abbiamo sempre fatto anche con la pubblicazione della foto con Emma Marrone, poco prima”.
Federico: “La cosa buffa è che essendo noi gli ascoltatori di noi stessi, siamo noi i primi sfigati. Noi siamo ancora qua a fare rock nel 2018, se mi vedo arrivare un ragazzino di tredici anni che mi mette in faccia ciò che viene trasmesso o ascoltato oggi, effettivamente va bene. Siamo usciti da tutti i licei possibili della vita. Siamo in quella situazione in cui scegli di fare una cosa serenamente al di là di qualsiasi cosa ci venga detta. La serenità deve essere raggiunta dal confronto tra noi tre”.

Più che ritorno alle origini, mi sembra un disco di presa di coscienza e responsabilità.

Davide: “È un disco di trentacinquenni. Un disco di chi non è più un ragazzo, ha un passato che ingombra la sua vita e si sente responsabile di quello che ha fatto, fa e di quello che potrà dire. Sicuramente quando abbiamo esordito la voglia era di far sentire al mondo la nostra esistenza. Adesso, dopo tanti anni di militanza nei Ministri, abbiamo bisogno di avere più consapevolezza di noi come persone, piuttosto che come progetto musicale”.
Federico: “Il passato è una cosa strana e questo è un argomento ben toccato in Memoria Breve, ad esempio. Il passato di cui così spesso parliamo è un altro spettro. In quel brano partiamo dall’immagine dei parcheggi dei supermercati, in cui chiunque ha preso la patente è passato . Il problema che si pone è la memoria a breve termine, perché i mezzi di comunicazione e informazione che abbiamo a disposizione sono velocissimi, incominceremo ad avere una memoria storica e delle nostre vite sempre più breve anche noi. Riuscire ad essere gli stessi senza rielaborare tutto quello che siamo stati, ma valutando solo il nostro presente, è complesso.
Michele: “È tutta questione di equilibri. Devi sapere calibrare e conoscere molto bene te stesso”.
Federico: “Per conoscere davvero te stesso devi scendere in cantina, aprirla, vederla piena di merda e cominciare a fare ordine senza spaventarti per ciò che trovi. Quando è davvero sistemata puoi tornare su”.
Davide: “Bisogna togliersi anche la paura di esser diventati uomini. La tendenza è quella, non dico del bamboccione di Brunetta, ma della paura di ammettersi che siamo uomini di trentacinque anni, con un passato ingombrante, seppure la coscienza della propria storia sia importante”.

Nell’epoca del super-uomo, il disco ripropone la necessità di esser salvati o qualcuno che ti metta in ordine la vita.

Federico: “In Spettri, scendi in cantina, vedi i tuoi mostri e l’unica soluzione che vedi è solo pagare una persona. Hai ancora quel meccanismo per cui vuoi risolvere le cose, pagando. Pian piano nei brani successivi ti accorgi che non basta. Devi affacciarti al mondo e devi dimostrare di esser forte. Dopo che hai raggiunto questa forza non vuol dire che sei solo contro tutti, vuol dire saper stare vicino, saper dare e saper ricevere che è complicato. È saper cambiare paradigma. Il diventare uomini fa paura. Abbiamo un mondo di prodotti che dice l’opposto, resta un ragazzino, un consumatore. Continua a restare dipendente dai desideri, così sei nostro. Il problema non è il tredicenne che ascolta la trap, ha tredici anni che ascolti quel cazzo che vuole. Il problema è il trentenne che ascolta la trap. Il fatto di non riuscire a staccarti dalla moda del momento è correlato al problema di non riuscire a svincolarsi dalle pressioni esterne”.

In Due desideri Su Tre si vede anche una sorta di scollamento generazionale. Cosa vedete oggi nelle nuove generazioni?

Davide: “Sicuramente una generazione che avrà delle skills diverse dalle nostre, perché vive in un mondo che le è già stato apparecchiato. Noi avevamo un mondo che veniva apparecchiato. Loro sanno cosa c’è sul tavolo. Sono nati dando per scontato che le cose sono sempre state lì. Noi ce le siamo viste arrivare e abbiamo dovuto imparare ad adeguarci. Loro hanno la fortuna di poterci stare. Il problema che nel momento in cui gli è mancato il momento in cui la tavola è stata apparecchiata, non sanno il prezzo che si è pagato in termini di libertà di acquisire. C’è stato un bel combattere per poter dire certe cose nella musica. Adesso lo si dà per scontato, lo vedo anche nelle nuove generazioni musicali. Le correnti della trap, la voglia di dire dei dodicenni certe cose senza assumersene la responsabilità. Si eccede senza accorgersene. Noi dovevamo combattere per dire molto meno e molto poco”.
Federico: “È un po’ come avere dei genitori che non ti danno limiti. Dopo un po’ la paghi. Ciò detto, le nuove generazioni hanno dei talenti mostruosi visivamente e in generale. Il punto sarà riuscire a usarle e darsi dei limiti”.
Davide: “Noi vivevamo pregiudizi per ciò che era lontano da noi. Loro lo possono vedere senza scomodarsi, anche in modo facile, senza compromettersi poi molto. Hanno tra le mani un tesoro che devono saper custodire”.

Com’è l’Italia che vedete oggi?

Federico: “Impaurita. Ha delle potenzialità grandiose. Rimane il posto in cui, se dovessero darmi un mappamondo, deciderei di vivere sempre e comunque, poi l’Olanda come secondo. Io trovo che ci sia ancora una mancanza di rispetto. Questa grande tifoseria che ci portiamo dietro dalla seconda guerra mondiale, che poi è stata anche guerra civile perché ad un certo punto ci siamo ammazzati tra italiani, potremmo anche superarla. Questo litigio perpetuo che tira fuori ancora Mussolini, è una cosa da scuole medie. È una cosa che è ancora adolescente”.

Il tema della sacralità. Ci sono dei rimandi, a qualcosa di superiore a noi umani.

Davide: “Fidatevi che diventa fede. Quello che volevo che si evincesse da Un dio da scegliere è la ricerca spasmodica spirituale individuale che poco si armonizza con l’aridità dei rapporti umani che si vivono. Tendere a uno spirituale dovrebbe portarci a elevarci a qualcosa di superiore un’armonia di anime e spiriti, mentre invece si genera l’opposto. Credere sembra più un esercizio di stile.. La necessità di praticare qualcosa, forse legato alla paura di non avere la risposta di quello che c’è oltre la morte. Pensiamo al presente, ci feriamo costantemente, ci discriminiamo, poi però siamo il paese per eccellenza che guarda il cielo e ci si chiede se si avrà un posto nei cieli”.