Editoriale 310: La Cina non è mica tanto vicina

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di Rossano Lo Mele

Solo questo mese, fra poche pagine, ospitiamo le storie di: un rapper di Chicago che ha scritto un concept album sulle case popolari dove è cresciuto. Una giovane autrice brasiliana ricollocatasi col marito a Lisbona. Una sua collega, praticamente coetanea, mezza francese, mezza israeliana, trasferitasi prima in Alto Adige e poi lungo la via Emilia. La musica rimane un osservatorio privilegiato per sbirciare cosa accade nel mondo. Le similitudini, le differenze, i mondi lontanissimi che collidono. Da anni sogno qualcosa (una rubrica? Un giornale? Un sito?) che ci racconti quello che non sappiamo, tipo le storie di cui sopra.

Ricordo l’entusiasmo, anni fa (17 giusti giusti, era il novembre del 2000), all’uscita di un piccolo, prezioso, misconosciuto, ormai dimenticato album. Si chiama Monochrome Plural e all’epoca venne pubblicato dalla britannica Domino Records. Gli autori erano tre anonimi tizi di San Pietroburgo, si facevano chiamare Fizzarum. Autori di un’elettronica docile e vagamente slabbrata, sembravano imparentati con quell’ondata nordica che all’epoca la faceva da padrona anche dalle nostre parti (la cosiddetta scena norvegese di Bergen per capirsi, Röyksopp e compagnia). Ma non era quello il punto: la notizia consisteva nel fatto che un progetto apparentemente così distante dal nostro “mondo” era autore di qualcosa assai più vicino. Sappiamo tutto o quasi di consumi e costumi di americani, inglesi, francesi. Ma già solo la Germania (e Austria) coi suoi 100 milioni di abitanti rimane un territorio largamente inesplorato. Figurarsi il resto dell’Europa. Sogno qualcuno che ci racconti cosa accade di interessante in Lettonia, Bosnia, Bulgaria, Ucraina. Abbiamo smesso da tempo (per fortuna) di utilizzare categorie grossolane e saporitamente razziste come world music o – peggio – infilare interi suoni dentro il recipiente generico dell’africanismo (dalle nostre parti dobbiamo molto a firme come quelle di Paolo Ferrari e Andrea Pomini). Anzi, alcune scene si sono fortificate commercialmente grazie alla discografia occidentale (Mali, Nigeria, Senegal etc.) Ma dove non arrivano mouse, dollari, media e polpastrelli dell’Ovest, tutto rimane nascosto. Ignorato. Da anni spero che qualcuno ce lo racconti, ché noi per primi abbiamo le nostre responsabilità, sempre allineate su modelli inevitabilmente “vincenti”, inoppugnabilmente statunitensi (il rock l’hanno inventato loro) o inglesi (sì, ma prima in verità c’erano loro), per non dire italiani (almeno si capisce cosa cantano, parlano di noi).

Questo mese ho familiarizzato per conto mio con un album che si chiama Before The Applause. Gli autori si chiamano Re-Tros. Sono in tre, vengono dalla Cina. Che dire Cina significa dire tutto e niente: la band arriva da Pechino, sono in giro da quasi dieci anni e suonano una specie di marmellata motorik che sta tra Stereolab, kraut rock, Hot Chip, wave, electroclash. Non originalissimi, ma formalmente impeccabili. Giusto un paio di mesi fa, Brian Hamam sul “Guardian” ha pubblicato un’inchiesta sull’emergente (anzi, ormai emersa) scena shoegaze nell’estremo Oriente. Il titolo era qualcosa del tipo: “Come lo shoegaze ha conquistato l’Asia”. Non parliamo solo di Giappone (la cui fascinazione culturale è da noi evidente da decenni), ma proprio della Cina. Intervistata sulla fecondità di questa scena/suono, una band locale – i Rubur, di Shangai – spiega così la faccenda: “Nelle storie d’amore classiche in Cina due persone non si dicono mai ‘ti amo’. Per noi quindi il suono aspro e le voci nascoste tipiche dello shoegaze sono un veicolo perfetto per comunicare tutto ciò che riguarda i sentimenti”. Dall’altra parte del mondo c’è qualcuno che la pensa così. Ma non ha un ufficio stampa abbastanza interessato o potente da farcelo “arrivare”.

Ho fatto un esperimento, possibile che mi sia sbagliato. Ho provato a digitare su Google “Re-Tros Before The Applause recensione”. Zero risultati. Se alla parola recensione sostituite “review” piovono schermate. L’hipsterissimo sito Line Of Best Fit, recensendolo di recente, gli ha appioppato 8.5 su 10. Eh, ma sul web si trova tutto. Anche il fatto che i Re-Tros saranno la spalla dei Depeche Mode (nostra copertina a marzo 2017) nell’imminente tour asiatico ed europeo (Italia esclusa, va da sé). I Fizzarum, invece? I russi, ricordate? Stanno bene, hanno da poco pubblicato un disco nuovo. E no, non abbiamo recensito manco quello. Mancava l’ufficio stampa che ci spedisse il promo a casa. O sarà mica la voglia di separatismo che affligge il mondo a limitare la nostra curiosità?

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