Intervista: Ypsigrock Festival

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Se alcune parti d’Italia le abbiamo riscoperte ed amate, è sicuramente anche per merito della musica, e dei festival, nello specifico. Castelbuono non avremmo mai immaginato dove posizionarla su di una cartina geografica. Forse a malapena – e con qualche incertezza – in Sicilia, perché qualcuno ci aveva portato in dono a Natale quella meraviglia di panettone che è prodotto da Fiasconaro, la storica pasticceria-gelateria del paese. Oppure per merito di quell’Oro Verde che è la crema di pistacchio, pari solo all’ambrosia per gli dei greci. Se adesso io, ma anche voi, sappiamo esattamente dov’è questo piccolo centro abitato in provincia di Palermo – nel Parco delle Madonie più precisamente – e arroccato a poco più di 400 m.s.l., lo dobbiamo molto probabilmente al festival Ypsigrock, giunto alla dicianovesima edizione che quest’anno si svolgerà dal 6 al 9 agosto. Il fulcro centrale della manifestazione è Piazza Castello, sulla quale, non a caso, si affaccia il Castello dei Ventimiglia che crea con la piazza e il panorama circostante un incontro di piani verticali, orizzontali e spazi infiniti che tolgono il fiato. La line up è sempre stata il fiore all’occhiello del festival, che con una certa astuzia ha cercato di andare a scovare artisti che, dopo qualche anno, sarebbero divenuti delle certezze nel panorama musicale. Altri, invece, scelti già quando certezze le erano da tempo. Belle and Sebastian, Moderat, Editors, Alt-J, Primal Scream, Mogwai, Anna Calvi, The Drums, Fuck Buttons, Pere Ubu, Motorpsycho, Dinosaur Jr, Gang Of Four, Caribou, Kula Shaker, dEUS, Jon Spencer, Bonnie ‘Prince’ Billy, Mount Kimbie, Apparat, Jon Hopkins, Erol Alkan, Django Django per citarne solo alcuni. In quest’intervista abbiamo cercato di analizzare, con alcuni degli organizzatori e fondatori del festival, le difficoltà e le criticità che affrontano da quasi vent’anni.

belle_sebastian_ypsigrock2014    (Belle and Sebastian – foto di Patrizia Chiarello)

Al giorno d’oggi non è facile organizzare un festival musicale. Organizzarlo con una programmazione oculata e con band che hanno un certo taglio indipendente, è un’altra difficoltà che si va ad aggiungere. Voi però lo fate al sud, in Sicilia, in provincia di Palermo, dove i problemi grossi sono tanti, e non sono solo “il traffico”, come si diceva nel film Johnny Stecchino. Quali sono le maggiori difficoltà che riscontrate? 

Gianfranco Raimondo (fondatore e direttore artistico): “Le distanze. Spesso, con alcune band, tipo i Ride quest’anno, non si riesce ad incastrare l’ultimo e più spassoso step di trovare voli adeguati per arrivare in tempo da e per la Sicilia, senza considerare gli elevati costi dei voli in agosto in piena stagione turistica e ciò vale anche per gli appassionati che devono in qualche modo organizzarsi in largo anticipo. Ogni volta che sento la battuta ‘volare per Londra è più conveniente’ rimpiango i servizi su come combattere l’afa nei vari telegiornali.”

Vincenzo Barreca (fondatore e direttore artistico): “La prima cosa che mi viene in mente è la grande differenza di budget con i nostri competitor europei. Ci confrontiamo con colossi che possono offrire cifre stratosferiche per costruire la line up e con i quali spesso condividiamo i gusti. Dalla nostra abbiamo un posto unico, una storia ventennale e tanta determinazione.”

Marcella Campo (comunicazione e ufficio stampa): “Dal punto di vista dell’interazione con la stampa le difficoltà maggiori che riscontriamo sono date proprio dalla somma dei problemi di cui sopra, un mix letale di distanze poco agevoli e budget molto limitati, condito da una buona dose di snobismo da parte degli addetti ai lavori per tutto ciò che sta aldilà dei comodi circuiti cittadini di riferimento.”

In quanti siete attivi nell’organizzazione e in quanti in fase di esecuzione del festival?

Vincenzo Barreca: “L’organizzazione generale durante tutto l’anno è seguita da una decina di persone che, con impegno costante, costruiscono i vari aspetti di Ypsigrock. Mentre in fase di esecuzione ci avvaliamo di più di sessanta preziosi collaboratori.”

Col passare degli anni cosa è rimasto inalterato in voi che seguite l’organizzazione e cosa, invece, è cambiato e avete imparato col tempo?

Gianfranco Raimondo: “I rapporti di base, quelli interni, sono sempre basati sulle solite cialtronate, in cui il Festival occupa il posto più complesso e articolato e questo in qualche modo si riflette sull’approccio organizzativo a mo’ di simpatiche canaglie. Nel tempo però abbiamo imparato, assimilato e curato l’aspetto festival in sé, insistiamo sempre di più su tale formula ancora pochissimo metabolizzata in Italia, e questo vale purtroppo per tanti, quasi tutti i settori con i quali ci interfacciamo.”

Vincenzo Barreca: “Gli effetti dell’adrenalina sono sempre presenti e inalterati, per il resto il tempo ci ha regalato varie esperienze formative che oggi ci permettono di gestire meglio gli aspetti critici della manifestazione.”

Maurizio Turrisi (ufficio stampa): “Con il passare degli anni è inevitabile che il bagaglio delle tue esperienze cresca. Quindi se ritieni di aver fatto un errore cerchi di non ripeterlo più. Cerchiamo di essere sempre più professionali nonostante nessuno di noi porti la pagnotta a casa con il Festival. Ognuno cala la propria esperienza di vita professionale nella realtà ypsina per cui come nella vita reale anche ad ypsi becchiamo qualche tipo ‘stizzoso’. Nessuno è perfetto.”

Marcella Campo: “In noi di inalterato è rimasto l’amore per la causa, che difendiamo sempre con forza, ognuno a proprio modo. Sono aumentate le preoccupazioni e diminuite le ore di sonno. Per il resto oggi il Festival ha raggiunto una rilevanza notevole ed è normale che nel tempo chi si occupa di musica live nel nostro settore si sia incuriosito e abbia stretto rapporti più o meno forti con noi. Ma siamo in Italia, in Sicilia, a Castelbuono. Questo significa che raramente capita che testate nazionali mandino referenti non siciliani a coprire l’evento. Sarebbe bello ascoltare qualche voce in più da fuori, diventerebbe un’occasione per un confronto costruttivo e stimolante in quest’Italia che lamenta l’assenza di eventi di qualità. E invece in linea di massima l’italiano medio ‘addetto ai lavori’ preferisce andare dieci anni di fila a Barcellona, pagare (lì sì) ticket, viaggio, vitto e alloggio, tornare, scrivere l’ennesimo illuminante report del Primavera Sound e alimentare la credenza diffusa che in Italia di Festival non ce ne siano, piuttosto che farsi un viaggio Milano-Castelbuono per togliersi il dubbio che esista una formula festival diversa da quella urbana da duecentomila spettatori e assolutamente godibile.”

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Una foto pubblicata da Rumore (@rumoremag) in data:

Il festival ha avuto una crescita graduale, coi giusti tempi, senza azzardare troppo e fare “passi più lunghi della gamba”. Solo al quinto anno, coi Blonde Redhead, ci si è ritrovati un nome con una certa rilevanza internazionale. Come avete ragionato in termini di crescita del festival?

Gianfranco: “Graduale certamente, ma non senza azzardo. L’esserci imposti fin dall’inizio la Ypsi Once ha costretto il Festival a percorrere costantemente strade parecchio rischiose e accidentate. In realtà, la scelta internazionale arrivò al quarto anno, con i Venus subito dopo l’edizione col botto di pubblico targata Marlene Kuntz e articoli al vetriolo su di noi. Da leccarsi i baffi. Abbiamo osservato alcuni modelli internazionali cercando di comprenderli da perfetti profani facendoci via via un’idea sempre più precisa su quale prodotto realizzare, un prodotto con caratteristiche ben definite alle quali puntare con i dovuti passi di crescita.”

Vincenzo: “Il festival si è evoluto proporzionalmente alla consapevolezza del nostro gruppo sui complessi temi organizzativi, tecnici, logistici, amministrativi legati a una manifestazione di forte richiamo. Il coraggio di certe importanti scelte economicamente è arrivato col tempo, grazie al supporto dei collaboratori che con grande professionalità ci permettono di costruire ogni anno un modello funzionante.”

Maurizio: “Alla crescita artistica del livello della line up è cresciuto automaticamente il profilo di tutto quello che ruota attorno. Di anno in anno abbiamo aggiunto sempre qualcosa in più, coerentemente con il profilo che negli anni ha fatto di Ypsigrock un festival con le proprie peculiarità e con una propria storia. Questo festival ha una propria immagine, plasmata nel tempo e il fatto di essere anche spettatori a pagamento di altri festival ci porta a non cadere nel ridicolo dell’onanismo. Cerchiamo di calare nella nostra realtà tutte quelle cose che ci possono permettere di continuare quel percorso di crescita. Lavoriamo sempre più “nei particolari” l’immagine del festival per sgrezzarlo sempre di più. Accomodarsi sulla poltrona del successo di questi anni sarebbe la fine di questo gioiellino. E nessuno di noi vuole questo.”

Marcella: “Vent’anni di storia non si inventano, nè si improvvisano. Noi, semplicemente, cresciamo con il Festival e il Festival cresce con noi, attraverso noi. Dico sempre che Ypsi è come un figlio, e come tutti i figli da un lato ha bisogno di cure e dall’altro ti apre prospettive inesplorate. Abbiamo contezza delle nostre virtù e dei nostri limiti. Ci conosciamo bene e conosciamo bene la nostra creatura. Sappiamo perfettamente quali sono i suoi pregi e quanto è perfezionabile. Spesso ci tocca lavorare in estrema emergenza, in condizioni critiche che scoraggerebbero davvero chiunque, ma l’esperienza e la conoscenza dei singoli meccanismi di questo ingranaggio complicato che è la nostra collaborazione ci permette di incastrarci e mantenere presa ed equilibrio, nonostante le vertigini.”

Dai La Crus – primi headliner del battesimo del festival –  fino a Editors, Belle and Sebastian, Moderat e quest’anno Sonics, Future Island, Notwist, Metromony. In mezzo ne sono passate di band e di estati. Come vi coordinate per la scelta degli artisti? C’è qualcuno che vi ha colpito e che avete voluto a tutti i costi a Castelbuono?

Vincenzo: “La composizione della Line up è un esercizio entusiasmante. Siamo sempre alla ricerca di band che ci emozionano e quando ne troviamo qualcuna facciamo di tutto per ospitarla al Festival. Ad esempio, dopo esserci impressionati al concerto dei Future Islands al SXSW ci siamo mossi per averli come headliner e vi garantisco che chi li vedrà ad Ypsigrock vivrà un’esperienza unica.”

Gianfranco: “Parliamo molto, spesso e volentieri in chat, in macchina, al bar, sperduti sui monti, tra tini di vino, insomma ogni occasione è buona non per comprare un disco, ma per vedere un live in casa propria. I Motorpsycho furono il primo audace sfizio tolto a tutti i costi, ne valse la pena ma non la tasca.”

Un festival come il vostro, come riesce a mantenersi economicamente, oltre che con i biglietti e gli abbonamenti venduti? Siete supportati dalla pubblica amministrazione? E la Regione Sicilia?

Vincenzo: “L’unico supporto pubblico che ad oggi riceviamo è quello che ci viene generosamente concesso dal Comune di Castelbuono che però rappresenta solo il 5% dell’intero costo della manifestazione, per il resto tutto viene coperto in autoproduzione con biglietti, camping, somministrazioni e sponsor privati.”

Gianfranco: “Puntiamo principalmente sull’autoproduzione, con la gestione diretta di parecchi servizi connessi al Festival. Con la pubblica amministrazione abbiamo un rapporto controverso. Economicamente ormai i comuni non possono fare molto, però è importante averne il sostegno morale, cosa che in qualche modo oggi accade, anche se per strada trovi sempre qualche poltronista politico pronto a brillare con i propri egoismi. Il discorso è invece diverso con gli altri enti per i quali si è vincenti con degustazioni di carrube, vino, scorfani accompagnate dai Tinturia in una delle loro rarissime date in Sicilia. Incentivare anche altro no? Niente da fare, bisogna avere fiuto per disincentivare il turismo, oppure l’ennesima, identica proposta, per meritarsi qualcosa. È quasi inutile affermare un concetto ormai chiaro per quasi tutte le realtà simili a Ypsigrock, solo i sacrifici personali garantiscono la sostenibilità del progetto.”

Ho notato che per la direzione artistica vi muovete anche molto sul campo: siete andati al SXSW ad Austin, a Glastonbury e al Primavera Sound. Ma date un occhio a festival più ridotti e in crescita come l’ottimo Field Day. Cosa avete imparato da questi “colossi”? Quando avete iniziato c’era qualche festival che vi ha ispirato? E ora quali sono i vostri preferiti?

Gianfranco: “Per capire il tuo cliente devi essere un cliente. Giriamo tanti festival da spettatori, pagando tutto e confrontando i servizi, ci facciamo un’idea delle legittime oppure sconclusionate argomentazioni di chi commenta Ypsi. Preferiamo frequentare ogni anno un festival nuovo, senza abituarci a qualcuno in particolare con un occhio di riguardo a quelli che propongono anche la formula camping per ragioni di affinità. All’inizio, sicuramente, il modello di riferimento fu Arezzo Wave e la grande incompiuta finora è stata l’esperienza ATP. Siamo reduci da Glastonbury, inimitabile al 100%, ma musa ispiratrice certamente sì.”

Vincenzo: “Evitiamo fortemente qualsiasi area dedicata agli operatori del settore o qualsivoglia area lounge. Ci piace vivere i concerti così come il nostro pubblico vive Ypsigrock in modo da poterci rendere conto meglio di ciò che serve per migliorare la vivibilità e il divertimento del nostro festival.”

Marcella: “Non facciamo i turisti da festival, ma gli ospiti, perché i primi veri ospiti di un festival non sono gli accreditati, ma gli spettatori. Ci piace guardare lo stesso piano prospettico del pubblico e lo facciamo in tutto e per tutto, pagando il ticket all’ingresso e facendo la fila che fanno tutti per la birra. Poi, certo, quando andiamo in giro ci accorgiamo di dettagli organizzativi di cui il pubblico avverte solo gli effetti e traiamo le conseguenze del caso, ognuno a seconda del proprio ambito di riferimento. Per le situazioni più istituzionali ci sono convention e meeting in occasioni precise come il Reeperbahn ad Amburgo, dove si ritrovano gli organizzatori dei principali festival d’Europa. In quel caso l’approccio è differente, di live magari non ne vediamo nemmeno uno, ma abbiamo modo di confrontarci personalmente con lo staff di Glasto, del Primavera, dello Sziget e via dicendo. Dal punto di vista della comunicazione amo moltissimo il Field Day che hai menzionato, perché è semplice, lineare, diretto, potente e apprezzo molto il Roskilde, per l’aspetto social. Quest’anno sono stata al Field Day, è stato bellissimo, ma non senza piccoli nei (com’è normale che sia). Per il futuro mi piacerebbe vivere il Festival Number 6, un evento che trasuda bellezza.”

Un festival, oltre che una ricaduta culturale, ha anche una ricaduta economica non sottovalutabile. Quanto siamo indietro rispetto all’Inghilterra, ad esempio, sulla concezione di festival e sulle opportunità che crea per una cittadina, un paese e per tutti i commercianti? Come mai è così difficile far capire che può essere una risorsa e non un disturbo?

Gianfranco: In Inghilterra sono avanti quanto noi lo siamo con le processioni sacre rispetto a loro. I festival anche in Italia fioccano ogni dove, ma il punto fondamentale è l’approccio culturale al prodotto da ogni punto di vista lo si consideri: pubblico, cittadini, pubblica amministrazione, burocrazia, stampa. Si campa ugualmente senza un festival, si campa più ricchi con uno fatto bene.

Vincenzo: “Purtroppo in Italia siamo ancora parecchio lontani dall’applicazione del modello economico Festival. In Spagna già da anni si è capito che le ricadute turistico-economiche che una manifestazione internazionale può donare a un territorio sono troppo importanti e tangibili per essere sottovalutate. Ypsigrock è un’esperienza importante perché da diciannove anni prova a dimostrare che anche in Italia questo modello è possibile e che i vantaggi che Castelbuono ne ottiene sono concreti poiché una fetta del PIL estivo deriva proprio dalla ricaduta economica del Festival.”

Invece, a livello culturale e sociale, avete visto negli anni una crescita? La gente ha piano piano acquisito interesse per cose che anni fa, in Sicilia, sarebbe stato difficile vedere? Che riscontro avete avuto?

Gianfranco: “Il nostro pubblico è cresciuto notevolmente e si è spalmato su ogni fascia di età e provenienza geografica. La Sicilia era ed è il regno delle processioni sacre e delle carrube, per un festival come il nostro era come trovarsi nella terra di nessuno tra le trincee della prima guerra mondiale. La qualità ha pagato e ci ha evitato qualche pesante colpo di mitraglia.”

Vincenzo: “Oggi chi viene ad Ypsigrock è consapevole che vivere un festival significa vivere un’esperienza a 360 gradi.”

Marcella: “Gli Ypsini, siciliani e non, sono un pubblico fidelizzato ormai, che crede nell’evento, compra l’abbonamento al buio e vive l’esperienza Festival al 100% come fosse in una vera e propria famiglia allargata. Ma non tutti i siciliani colgono il senso e il valore di Ypsigrock.La Sicilia è una terra diversamente furba. Avrebbe una quantità enorme di risorse preziose da valorizzare e invece spesso si perde in provincialismi che la abbandonano a se stessa. Questo è un peccato. Nel nostro piccolo noi, come altre pregevoli realtà, cerchiamo di combattere la miopia di queste ritualità da cortile, ponendoci come unico obiettivo quello di una qualità senza compromessi, anche quando non è capita o apprezzata dagli isolani. E devo ammettere che rispetto a dieci anni fa le cose sono molto migliorate. Ciononostante, quando oggi ci vengono mosse lamentele ingiustificate, nel 99% dei casi queste provengono da siciliani. E il rischio di leggere ingratitudine in questi atteggiamenti è fortissimo. Ma noi tiriamo dritto con determinazione, sperando che a poco a poco diventi lampante ciò che per alcuni è ancora oscuro.”

Maurizio: “Nel dettaglio, invece, all’interno di Castelbuono è bella la passione musicale crescente che si respira tra gli abitanti e l’interazione che si crea. Fino a poco tempo fa molti non conoscevano le band in line up ora invece ti senti dire ‘ma perché non portate la band X? Ho ascoltato dei live sono davvero pazzeschi’. A Castelbuono c’è sempre tempo e modo per parlare di musica e del Festival, e questo credo che sia una grande vittoria culturale dei giovani castelbuonesi.

Quanto siete cresciuti negli anni come numero spettatori?

Gianfranco: “Da quando Ypsi è a pagamento è stato in lenta ma continua crescita, ormai siamo su cifre vicine al sold out per ognuno dei tre giorni, ma non abbiamo ansia da prestazione o di risultati, vogliamo adeguare il Festival in linea con il resto del mondo, è più eccitante così.

Vincenzo: “Riteniamo l’incremento del numero degli spettatori un dato importantissimo, specie perché si presenta in un periodo storico così difficile, ma siamo consapevoli che è un bene da tutelare e da confermare.”

Voi però avete un limite fisico invalicabile: la capienza di Piazza Castello. Se voleste crescere come numero di spettatori la cosa immagino sarebbe impossibile.  Come vivete questo limite? Avete mai pensato a soluzioni alternative?

Gianfranco: “Riconosciamo i limiti di piazza Castello e li apprezziamo esaltandoli con ciò che rappresenta Ypsi nell’immaginario collettivo. Del resto, Castelbuono non offre soluzioni alternative all’anima di Ypsi e l’anima di Ypsi è di Castelbuono.”

Vincenzo: “Ypsigrock è troppo legato a Piazza Castello. Ma come dire mai dire mai.”

Marcella: “Ypsigrock, per una sorta di conformazione fisiologica, era già uno splendido esempio naturale di boutique festival quando ancora la moda dei boutique festival, oggi così tanto in voga, nemmeno esisteva. La forza di Ypsigrock sta proprio nella sua genuina e spontanea formula esclusiva, che è forse imitabile ma di certo non duplicabile. Ypsigrock non è stato impiantato in un corpo estraneo, tutt’altro; ha radici che affondano nel proprio territorio, sia da un punto di vista sociale che morfologico e le mura di Piazza Castello abbracciano non solo idealmente, ma proprio visivamente e fisicamente, il pubblico. Quell’abbraccio quasi materico, sicuro e intimo durante i live si trasforma in puro romanticismo, rendendo il momento unico ed irripetibile. Chi viene ad Ypsi affronta, nel migliore dei casi, quantomeno un viaggio piuttosto articolato, organizzato nei dettagli degli spostamenti, facendo uno sforzo che i ‘prezzemolini delle situazioni giuste’ di solito non amano fare. In un certo senso possiamo dire che questo non è un evento per tutti i palati. Ypsigrock e il suo pubblico si scelgono, attraverso un processo di selezione naturale reciproco. Quindi inevitabilmente non è destinato ad una fruizione massiva. Chi indugia ancora in inutili paragoni tra i festivaloni e Ypsi non ha capito che la prerogativa di Ypsigrock non è mai stata quella di essere un festival grande, ma di diventare un grande festival. E un grande festival non è determinato nè dagli headliner nè dalla capienza. Un festival è molto più che la somma di live e spettatori.”

In 19 anni ve ne saranno successe di qualsiasi tipo. Ricordo che due anni fa persero gli strumenti dei Metz in aeroporto. Ci sono altri episodi particolari che vi sono successi?

Gianfranco: “Rimpiazzare gli Spiritualized a dieci giorni dal Festival ha il suo misticismo paragonabile a Mino Damato sui carboni ardenti.”

Vincenzo: “Ricordo le risate di Bonnie Prince Billy per aver frainteso uno dei nostri collaboratori intento a spiegare che dentro la Cappella del Castello è conservata una reliquia di Sant’Anna (parte del Teschio) ed aver capito che era presente una reliquia di Carlos Santana, con il quale tra l’altro sono amici.”

Avete mai avuto momenti di sconforto e che magari vi sia anche passato per la testa il pensiero di non fare il festival?

Gianfranco: “Chiaro, la pressione del festival è fortissima e l’idiozia dell’uomo non ha limiti, cattiveria e opportunismi sono bocconi difficili da digerire specie quando tutto il mondo è in spiaggia ad agosto, compresi i poltronisti, e tu chiuso dentro in una tetra stanza ti danni la vita con l’orrore di non avere nemmeno una birra fredda.”

Vincenzo: “Sì, in vent’anni ci sono capitati periodi difficilissimi e qualche volta abbiamo pensato pure di abbandonare, ma sono stati sentimenti momentanei e subito dimenticati.”

Marcella: “Uno dei nostri, raccontando del classico dopofestival, una volta scrisse questa piccola grande verità: È a quel punto che spariamo il primo proposito per il prossimo anno: “mai più Ypsigrock”. Ehi, gente, chiunque non ha mai detto questa frase non ha niente da raccontare su Ypsi. Sicuro che non abbia niente da raccontare e basta. Cristallino, non trovi? All’epoca correva l’anno 2010. Nel frattempo il Festival è cresciuto e con esso le difficoltà e le responsabilità. “Mai più Ypsigrock” sotto stress diventa un vero e proprio mantra giornaliero, ma come vedi siam tutti ancora qua.”

A livello di comunicazione siete sempre molto attivi. Avete una cura oltre che dei contenuti, anche dell’aspetto: ogni anno un illustratore internazionale vi disegna la locandina. Come è nata l’idea e come si sviluppa?

Gianfranco: “La qualità e l’originalità sono costi ben ripagati, abbiamo mutuato la filosofia dell’Ypsi Once altrove (NdR – una band può suonare solo una sola volta nella sua vita all’Ypsigrock), in coerenza con l’interezza del prodotto festival. Il rinnovamento creativo può considerarsi una tradizione e un’arma efficace contro i copioni e la loro noia.”

Vincenzo: “L’idea di affidare l’artwork del festival a un’illustratore diverso ogni anno è nata nel 2011. Ci divertiamo a cercare illustrazioni interessanti che in qualche modo possano sposarsi con l’estetica del festival. Quando ci innamoriamo, contattiamo l’artista e chiediamo di rappresentare il Festival e ciò avviene senza che l’illustratore abbia mai vissuto Ypsigrock.”

Marcella: “Sì, questo è l’aspetto più delicato (ma divertente) dell’operazione. Una volta scelto l’artista, a suon di briefing dettagliati, cerchiamo di farlo entrare nel mood del Festival. Non ci interessa avere una rappresentazione estetica delle location fine a se stessa, ma una interpretazione d’artista originale e del tutto personale che celebri lo spirito amusant di Ypsigrock in quanto esperienza festival totalizzante, con tutte le sue mille peculiarità. Vai a spiegare ad un artista che sta in Cile il significato di quell’ ypsi & love che muove tutto il microcosmo ypsino, in un paesino siciliano di cui non conosceva nemmeno il nome fino a due secondi prima. Non dimentico mai di aggiungere qualche chilo di apprensione alla curiosità che mi accompagna ogni volta che apro le bozze che mi inviano gli illustratori, però i risultati finora hanno sempre ripagato sforzi e tensione.”

Ogni anno ci sono novità o si perfezionano idee sviluppate in passato. Quest’anno quali novità ci sono?

Gianfranco: “Chi verrà, vedrà musica e pennelli. Da adesso in poi sono previste edizioni con tante e grosse sorprese.

Vincenzo: “La novità a cui tengo di più quest’anno è la creazione del Cuzzocrea Stage di San Focà. In primis perché siamo fortemente legati alla figura di Stefano Cuzzocrea e poi perché un nuovo palco ci pone davanti nuove sfide e nuovi scenari.”

Quali obiettivi si è prefissato nei prossimi anni l’Ypsigrock?

Gianfranco: “Organizzare serenamente con l’offerta di servizi sempre più ampia con una birra fredda fuori da una tetra stanza.”

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