Intervista: The Cribs

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Di Tommaso Tecchi

Ad undici anni di distanza dall’eponimo album di debutto della band, The Cribs continua ad essere un nome molto importante nella scena alternative rock britannica. Esplosi durante il periodo di massimo splendore dell’indie rock, insieme a gruppi come gli Strokes, i tre fratelli Jarman sono riusciti a creare un suono inconfondibile con contaminazioni punk e sonorità lo-fi, anche grazie alle collaborazioni con il grande produttore Steve Albini. I primi tre dischi The Cribs, The New Fellas e Men’s Needs, Women’s Needs, Whatever sono usciti nel giro di quattro anni ed hanno portato gli addetti ai lavori del Q Magazine a definirli “la più grande band di culto del Regno Unito”. Dal 2008 al 2011 oltre a Ryan, Gary e Ross ha fatto parte dei Cribs, per la registrazione del quarto disco Ignore the Ignorant, anche Johnny Marr, storico chitarrista di Smiths e Modest Mouse. Dopo la pubblicazione di In the Belly of the Brazen Bull nel 2012 e del best of Payola l’anno successivo, il gruppo originario di Wakefield è tornato con For All My Sisters, uscito il 23 marzo e anticipato dagli estratti An Ivory Hand, Burning for No One e Different Angle. Quest’ultimo album sancisce il debutto della band per un’etichetta major: il disco è infatti uscito via Sony RED UK e Sonic Blew (quest’ultima etichetta personale dei Cribs), a differenza degli altri cinque LP usciti tutti per la casa discografica indipendente Wichita Recordings. For All My Sisters è stato prodotto da Ric Ocasek, frontman dei Cars e già al lavoro con artisti come Weezer, Bad Religion e No Doubt.

Ho avuto l’occasione di fare una chiacchierata con Ryan James Jarman, cantante e chitarrista della band, che mi ha raccontato, tra le altre cose, del cambio di etichetta, delle difficoltà che ha dovuto affrontare durante la sua carriera e della sua concezione di musica pop. Noi vi ricordiamo che For All My Sisters è già disponibile nei negozi di dischi e che lo troverete recensito nel nostro numero di aprile di Rumore.

Qui sotto, il primo video ufficiale dell’album, Burning for No One

Hai definito il vostro ultimo album For All My Sisters un disco pop, mentre molti artisti hanno una certa paura ad usare questa parola. È stata semplicemente una scelta stilistica o è la conseguenza di una vostra maturazione rispetto agli altri album?

La questione è che quando parliamo di pop intendiamo sempre cose differenti. Molte persone vedono la parola pop come una parolaccia e lo capisco, perché molti pensano a questo termine come qualcosa che riguarda la musica da classifica. Noi decisamente non intendiamo musica da classifica. Quando dico pop mi riferisco più che altro la mentalità che sta dietro la musica. Ad esempio i Ramones, io li considero una pop band, avevano un fan club di teenager, ma non avevano niente a che fare con le classifiche pop o di elettronica. Mi sono riferito a For All My Sisters usando il termine poppy perché credo che noi abbiamo due lati: uno più orecchiabile con ritornelli e singoli e uno più punk rock, e ci sentiamo in parte colpevoli per questo. Così quando abbiamo scritto questo disco abbiamo deciso di concentrarci e scrivere canzoni che fossero il più orecchiabile possibile. In For All My Sisters ci sono dodici brani che potrebbero tutti essere singoli, quella era l’idea.

For All My Sisters è il vostro primo disco a non essere stato prodotto dalla Wichita, ci puoi spiegare cosa è successo e cos’altro è cambiato per voi dopo l’uscita di In the Belly of the Brazen Bull?

Sono ancora un po’ confuso riguardo a quello che è successo. Siamo stati alla Wichita per 10 anni e ci siamo trovati bene da subito, è stato uno dei motivi che ci ha spinto a firmare un contratto discografico. Abbiamo iniziato una bella relazione con loro, ma non so cosa sia successo negli ultimi due anni. Dopo l’uscita di In the Belly of the Brazen Bull il nostro legame ha raggiunto un punto morto, non so perché. In quel momento tutto ciò che volevamo era avere del tempo libero, avevamo bisogno di un po’ di pausa. Non sapevamo cosa stesse succedendo con quelli della Wichita, non li abbiamo sentiti per molto tempo e dopo è arrivata la Sony RED, che voleva che firmassimo per loro. Noi abbiamo risposto: “ok firmeremo per voi ragazzi, ma avremmo bisogno di fondare una nostra etichetta personale” e la Sony ci ha dato la possibilità di creare la Sonic Blew.

Eravamo interessati a firmare per una major perché, beh, siamo stati sotto contratto per un’etichetta indipendente per così tanto tempo; ma volevamo comunque avere il pieno controllo creativo sul nostro materiale. Ora siamo con una major ma loro non hanno niente a che fare con i nostri album; in realtà non sembra così diverso da quando eravamo con la Wichita, dato che usiamo gran parte dello stesso staff. Le nostre vite personali, quelle sono totalmente diverse adesso: quando abbiamo realizzato In the Belly of the Brazen Bull siamo stati in tour per dodici anni, non abbiamo mai avuto pause, io avevo molti problemi personali. Non avevo una vita al di fuori della band, vivevo in tour senza neanche una casa, adesso vivo a New York e la mia vita è diventata un milione di volte migliore. Dopo questo momento di pausa in cui abbiamo un po’ sistemato le nostre vite private abbiamo iniziato il nuovo album come una band più felice. Mi è sembrato un nuovo inizio.

Come ci si trova a suonare in una band con i propri fratelli? Voglio dire, se siete rimasti insieme per tutti questi anni significa che non deve essere così male dopotutto, ma questa convivenza ha anche qualche aspetto negativo?

Non riesco a trovare aspetti totalmente negativi. Io e i miei due fratelli siamo una band molto unita, perché siamo cresciuti insieme e siamo tutti dentro la stessa cosa. Ora viviamo tutti in posti diversi: io a New York, Gary a Portland e Ross a Wakefield. A volte è un po’ difficile, però in un certo senso è anche una cosa positiva; siamo tutti e tre persone abbastanza distanti, ma ci sentiamo ancora molto legati. Quando siamo insieme scriviamo in maniera molto istintiva e, cosa più importante, nella band non c’è nessun problema di ego: non puoi avere un ego quando sei in una band con i tuoi fratelli. L’unica cosa negativa forse è che tendo a prendere le cose molto sul personale, quando c’è un attacco alla band mi sembra sempre un attacco anche alla mia famiglia. In ogni caso mi piace essere in un gruppo con i miei fratelli, lo trovo più facile che stare con dei completi estranei, non credo mi piacerebbe. Non so se la band sarebbe durata per così tanto tempo se non fossimo stati fratelli, è qualcosa che rende uniti, non puoi semplicemente andartene via.

Quanto vi ha influenzato, anche dopo la sua partenza, avere nei Cribs qualcuno come Johnny Marr, con più esperienza di voi e che viene da una band leggendaria come gli Smiths?

In realtà non sento che Johnny ci abbia influenzato. Mi sono sempre piaciuti gli Smiths e mi è sempre piaciuto come suonava Johnny, quindi forse ha avuto influenza su di me in passato; ma quando l’ho conosciuto ed è entrato nella band per me ha smesso di essere il leggendario chitarrista, era semplicemente un mio amico. Quando c’era lui non avevamo una vera e propria chitarra ritmica e credo che suonassimo veramente bene insieme, mi sono divertito molto a suonare insieme a Johnny. In ogni caso non credo abbia avuto una vera e propria influenza su di noi; avevamo già un’idea concreta di come volevamo fare le cose, facevamo tutto in maniera molto fai-da-te e quando lui è arrivato era d’accordo con noi. Quando se n’è andato siamo tornati ad essere la band che eravamo prima. L’unica cosa che ha cambiato, almeno per me, è che mi ha fatto iniziare a pensare a me stesso come il chitarrista. Prima non lo pensavo, mi sentivo più che altro il cantante che suonava anche la chitarra; dopo che Jonny è entrato nella band mi ha aiutato a considerarmi un chitarrista.

Tu hai anche un altro gruppo chiamato Exclamation Pony, con Jen Turner degli Here We Go Magic. Come è iniziato questo progetto con Jen? Avete in programma un seguito del doppio singolo Pseudo Individual/Mazes?

Spero proprio che ci sia un seguito, per come gli Exclamation Pony sono nati: dopo In the Belly of the Brazen Bull i Cribs erano in un momento di pausa e io sentivo di non avere niente al di fuori della band, dopo la registrazione del disco avevamo un momento di pausa e ho incontrato Jen in Giappone e siamo andati subito molto d’accordo, siamo diventati immediatamente migliori amici. Sono andato a New York per incontrarla e semplicemente non sono più tornato a casa. Quando sono arrivato, Jen era in studio e quindi abbiamo iniziato spontaneamente a scrivere canzoni insieme. Abbiamo scritto un album intero in un paio di settimane quindi, sì, in realtà abbiamo un intero disco già scritto. In realtà non avevo mai pensato prima di fare un album senza i miei fratelli, ma credo che io e Jen abbiamo una bella chimica quando scriviamo insieme.

Abbiamo cominciato a lavorare con Julian Casablancas degli Strokes,  che ha pubblicato il nostro singolo per la sua etichetta Cult. Julian è un vero perfezionista, vuole che tutto sia sotto controllo: anche se avevamo già scritto il singolo tempo prima, ci sono volute settimane per farlo uscire. Ora lui ha un nuovo progetto, i Voidz, io sono impegnato con i Cribs; quindi anche se l’album è pronto non so quando lo faremo uscire. Stiamo aspettando Julian, ma non so quanto a lungo posso attendere. Devo farlo uscire presto ed eventualmente troveremo un’altra etichetta per pubblicarlo.

In un’intervista per NME, Noel Gallagher ha detto che non ci sono più band che possano dare una voce alla classe operaia britannica, e ha anche aggiunto che è colpa di gruppi come gli Arctic Monkeys e i Kasabian se non hanno ispirato altri artisti dieci anni fa. Quello che vorrei chiederti è: parlando in generale e non solo del Regno Unito, agli inizi del 2000 c’erano band come voi, gli Strokes, gli Arctic Monkeys; dieci anni dopo l’uscita dei vostri primi dischi, a che punto pensi che sia la scena indie rock attualmente?

È cambiato molto da allora. Come hai detto tu, prima c’erano band come gli Strokes, che io trovo grandi, credo siano davvero un’ottimo gruppo. Era vero rock ‘n’ roll, e così l’indie ha iniziato a tornare ad essere molto popolare. Questo però ha creato il problema, perché molte band hanno iniziato a saltare sul carro del vincitore e all’improvviso tutto ha smesso di essere quello che era originariamente. Credo che band come gli Strokes abbiano iniziato a registrare in un modo davvero differente, erano molto lo-fi e diversi da tutto il resto; poi però quando si è formata una scena è diventata una cosa mainstream. Molte band che non erano così interessanti cercavano di ottenere successo e la gente ha iniziato a perdere di interesse.

Adesso non ci sono molti gruppi punk rock o indie rock in giro, cioè ci sono, ma non hanno più la stessa visibilità e il che è normale. È il problema che si crea quando alcune band vengono fuori e diventano popolari, appena diventano mainstream è sempre la fine. È semplicemente un ciclo, succede tutte le volte. Noi potremmo essere tra i pochi superstiti, ma non ci è mai interessato appartenere ad una scena specifica, volevamo essere indipendenti. La ragione principale è che se diventi parte della scena, una volta che la scena muore tu muori con lei. In ogni caso a me non è mai interessata la questione di cosa sia mainstream o no, non mi interessano le classifiche e non ascolto la radio. Credo che la nostra band sia al di fuori di tutto questo.

E quale pensi sia la maggiore differenza, tornando alle dichiarazioni di Gallagher, tra la tua generazione e quella degli Oasis e dei Blur?

Non so quali siano le differenze. Quando ero ragazzo ero sempre più interessato a quello che succedeva negli Stati Uniti negli anni 90, ero più interessato a band come Nirvana e Sonic Youth. Non ascoltavo il brit pop, perché per me era musica da classifica. Per cui credo che la differenza sostanziale tra la mia band e quelle che hai citato sia semplicemente che abbiamo sempre tratto più ispirazione da gruppi statunitensi che da quelli britannici.

Ho letto che gli One Direction vi hanno proposto di collaborare con loro e la notizia mi ha fatto abbastanza ridere. Avete davvero preso in considerazione la cosa? E inoltre, pensi che voi, come rock band, possiate avere qualcosa in comune con una boy band pop come loro?

Non credo che abbiamo niente in comune con loro. È nato tutto un po’ come uno scherzo: abbiamo sentito che gli One Direction sono dei nostri grandi fan, che al loro ultimo concerto a Los Angeles indossavano t-shirts dei Cribs e l’ho trovata una cosa divertente. Ci hanno chiesto di fare una sessione di scrittura con loro e ci siamo detti “beh, potremmo anche farlo”, ma l’unico motivo per cui avremmo potuto rispondere di sì è perché sarebbe stata una cosa divertente e stupida e strana. Alla fine però abbiamo pensato: “perché mai dovremmo fare una cosa del genere?”.

Parliamo di Steve Albini: ha lavorato con alcune delle band più influenti degli anni ’90 come i Nirvana e i Sonic Youth, oltre ad essere un vostro collaboratore da anni. Come sarebbero stati i Cribs senza di lui?

Sarebbero stati molto diversi. Quando ho ascoltato In Utero dei Nirvana per la prima volta ho pensato che fosse il miglior disco che avessi mai sentito, aveva un suono completamente diverso da qualunque altra cosa che ascoltavo in quel periodo. Credo avessi dodici anni quando l’ho scoperto. Quel disco e il lavoro svolto da Steve hanno influenzato da sempre la mia idea di suono, così ho fortemente voluto lavorare con lui per ricreare quella sonorità lo-fi. Quando abbiamo iniziato a suonare con i Cribs volevo che i nostri dischi avessero un sound sporco e per questo da qualche anno abbiamo iniziato a collaborare con Steve. Un paio di anni fa ci siamo messi in studio con lui per iniziare un nuovo disco e abbiamo intenzione di tornarci per finirlo. In più mi piace il modo in cui lavora: lui semplicemente entra ed inizia a registrare tutto allo stesso momento, mentre noi suoniamo. Ha mixato quattro canzoni in tre giorni, fa tutto molto velocemente e questo è esattamente il modo in cui mi piace lavorare. Il suono e l’approccio al lavoro di Steve per me sono stati davvero influenti.

Toglimi un’ultima curiosità: agli NME Awards del 2006 ti sei buttato sul tavolo dei Kaiser Chiefs e di conseguenza sei stato ricoverato. Ora, sono passati nove anni, hai avuto il tempo di alzare l’asticella e di fare di peggio o è ancora la cosa più pericolosa che hai fatto in pubblico?

No, è decisamente la cosa più pericolosa che ho fatto in pubblico; ma è successo molto tempo fa, ora mi sento una persona completamente diversa. Per tutta la carriera della mia band, specialmente durante i primi anni, ero frustrato ed arrabbiato tutto il tempo, e di conseguenza ero anche sempre intossicato. Sono cose che succedono spesso, la gente ci fa l’abitudine. Però non riesco neanche ad immaginarmi di fare qualcosa del genere adesso, perché sono molto più felice in questo momento; in quel periodo non avevo una vita al di fuori della band, non avevo niente, ero praticamente un nomade, costantemente in viaggio. Ora invece è tutto diverso, ho una vita privata oltre al lavoro e sono più soddisfatto.

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