Intervista a Fran Healy dei Travis: “Io odio scrivere canzoni”

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I Travis, gruppo scozzese dalla carriera ormai ventennale, sono ritornati alla carica con la pubblicazione della loro nona creazione discografica in piena crisi pandemica mondiale. Una scelta coraggiosa, una sfida, forse, ma anche la consapevolezza che in questo periodo in cui molte cose ci sono negate, siamo stati positivamente inondati da una produzione artistica intensificata. Il pubblico ha voglia di ascoltare, di digerire nuove melodie e gli artisti hanno il tempo di ascoltarsi e di creare. E quindi le innumerevoli pubblicazioni sperando che forse riusciremo a rivedere musica dal vivo alla fine del prossimo inverno. Molti artisti hanno fatto questa scelta o questo calcolo e i Travis non sono un’eccezione, e durante i mesi di lockdown più o meno intenso hanno iniziato a centellinare i primi malinconici singoli tratti da 10 Songs accompagnati da una serie di video pensati, disegnati, filmati e diretti dal leader del gruppo, il polivalente Fran Healy. Incontro Fran virtualmente durante la giornata dedicata alla promozione di 10 Songs, due giorni prima della pubblicazione prevista per il fatidico 9 ottobre. Fran indossa la stessa tuta rossa e lo stesso cappello che potete vedere nei vari video pubblicati da quando è uscito il primo singolo, A Ghost. Mi parla con franchezza e grande intensità e passione delle sue nuove creature musicali e visive, di John Lennon e Paul McCartney, dell’incontro musicale con Susanna Hoffs delle Bangles e di come vivrà l’inverno agli antipodi del mondo occidentale per sfuggire alla devastazione pandemica prevista per l’inverno.

Ciao Fran, come stai innanzitutto in questo stranissimo periodo che stiamo vivendo?

“Mi sento distrutto, sopraffatto”.

Deve essere una giornata intensa piena di interviste oggi per te.

“No, non è quello, alle interviste sono abituato. È tutto per colpa del Covid. Di solito il mio lavoro è semplicemente quello di andare in uno studio e suonare, invece adesso mi tocca fare tutto, preparare tutta l’attrezzatura e quando finalmente sei pronto e inizi a girare, una telefonata dello studio arriva e il video si interrompe e devi ricominciare il tutto. Ho un sacco di lavoro in più da fare e sono completamente scombussolato da questa esperienza!”

Eh sì, siamo tutti assolutamente sconcertati, non è esattamente normale quello che stiamo vivendo.

“Sì, sì è tutto ridicolo!”

Sicuramente viaggiare per fare la promozione del disco in questo momento deve essere un incubo. Ma dove sei in questo momento, Soho? E la blue plaque (ndr piastra di colore blu inserita dall’associazione English Heritage che segnala i posti in cui hanno vissuto artisti e persone famose) che vedo dall’altro lato della strada, cosa rappresenta?

“Te la leggo, dice: Thomas Hearne, artista acquerellista, ha vissuto in questa casa dal 1744 al 1817. E la cosa più interessante è che stavo leggendo la sua storia e a quanto pare una delle prime commissioni che ha ricevuto è stato un lavoro topografico, lo hanno mandato nelle Isole Sottovento nei Caraibi, sai la Guadalupe, St. Barth… e è proprio lì che stiamo andando per metterci in isolamento, in quarantena”.

Sì magari!

“No, no è verissimo! E in proprio adesso dicevo tra me e me, mio dio, è un segno? Perché l’idea era di partire per il Messico ma le statistiche covid in Messico sono salite a dismisura e abbiamo pensato, no, assolutamente no. Ho degli amici che vivono a Saint-Barthélemy e ho chiesto di trovarmi qualcosa e hanno risposto: ‘Oui, oui, oui!’ E allora stiamo partendo! Non vedo l’ora”.

Per un attimo non ti avevo preso sul serio. Che fortuna! Ma parlando di coincidenze, ieri mi sono resa conto che il vostro ultimo album, il nono nella vostra carriera, 10 Songs, sarà pubblicato nel giorno in cui John Lennon avrebbe compiuto 80 anni se fosse stato ancora in vita. È una coincidenza?

“Si, assolutamente è una coincidenza. Ma in realtà è veramente una coincidenza? Credo fermamente che nulla accada per caso, credo che esistano delle connessioni profonde nelle nostre vite. John Lennon… In realtà uno dei momenti fondamentali nella mia vita di autore musicale è successo quando durante il mio primo anno alla scuola d’arte (di Glasgow) sono andato al Museo di Storia Naturale o forse era il Victoria & Albert Museum di Londra durante un viaggio organizzato per il secondo anno. Ricordo che stavamo visitando questa sala piena di mummie e sarcofagi egiziani e ho visto quest’altra sala che sembrava un po’ una biblioteca piena di custodie in vetro e mi sono avvicinato a una di queste custodie attirato da questo taccuino molto discreto, quasi insignificante con delle note in una grafia quasi infantile. Era il tipo di artefatto che tutti ignorano per la sua modestia ma per un motivo a me ignoto mi sentivo attratto da quel taccuino. Nessuno si è avvicinato per vedere cosa fosse io invece ho letto le parole e mi sono trovato di fronte al testo di In My Life di John Lennon e qualcosa nella mia testa ha fatto click, tutto è diventato chiaro. Sai questa canzone è diventata enorme, ha aiutato un sacco di persone a superare delle delusioni, e tutti conoscono questa canzone, almeno le persone di una certa età. E anch’io conoscevo quella canzone e in quel momento fatidico mi sono trovato davanti la prima versione di quei versi, trascritta in un quaderno scolastico. John Lennon era un bambino, era nella fase adolescenziale quando l’ha scritta e, anche se la grafia era quella di un ragazzo, non ancora decisa, le parole erano quasi perfette, forse c’erano un paio di correzioni. Ho pensato: mio dio è nato tutto da questi versi scritti da un ragazzo! È una cosa minuscola che è poi diventata una canzone enorme, ma all’inizio erano soli pochi versi scritti da un ragazzo per sé stesso pensando alla vita che lo aspettava anche se leggendola ci si rende conto che contiene una saggezza incredibile per un ragazzo della sua età. Dà l’impressione di un eremita che ha vissuto su una montagna per 50 anni ed è tornato con queste parole sapienti e spirituali allo stesso tempo. Tutto questo per dire che ho visto quelle parole di John Lennon e in quel momento ho pensato: tutto è possibile, questo incontro inaspettato mi ha dato la fiducia in me stesso. Ho pensato: posso farlo anch’io, mi è concesso”.

Quindi ti eri già unito al gruppo in quel momento, avevi già iniziato a scrivere?

“Sì, mi ero appena unito al gruppo, se non erro da più o meno nove mesi. Ma avevo iniziato a scrivere canzoni forse a 13, 14 anni. È una cosa strana perché dopo questo episodio mi rendo conto che ho iniziato a migliorare nella composizione delle mie canzoni proprio a partire da quel momento. So benissimo che in realtà non tutto è collegato a quel momento fatidico, ma sicuramente quell’istante ha avuto la funzione di catalizzatore. Ed è vero che ci continuano a dire che John Lennon non era un personaggio molto simpatico ma io preferisco guardare all’arte creata da quella persona piuttosto che analizzare l’artista”.

Sì, sono completamente d’accordo.

“Perché queste canzoni mi appartengono, non sono solo le canzoni di John Lennon. Le parole, le melodie mi ispirano completamente. E poi in seguito ho avuto la grande fortuna di incontrare il suo migliore amico, Paul McCartney”.

Come lo hai conosciuto?

“L’ho incontrato varie volte, una volta eravamo entrambi in vacanza sulla stessa isola e ci siamo incontrati puramente per caso. Quando l’ho visto ho pensato: oh mio dio! E l’ambiente ha favorito una connessione molto più intima. Mi ha detto che stava ascoltando il nostro album The Invisible Band in continuazione nel periodo in cui George Harrison stava morendo e in quel momento ho capito che alla fine siamo tutti esseri umani. Paul McCartney scrive delle canzoni per aiutare se stesso e anch’io lo faccio e a volte quelle canzoni crescono e aiutano anche altre persone a superare dei momenti difficili e una di queste persone può essere uno dei Beatles oppure un dentista, un ragioniere”.

(Cover album 10 Songs dei Travis)

Che storia incredibile. Certo non ha importanza l’intenzione dietro la canzone quando viene composta, in ogni caso chi ascolta interpreta a canzone e la fa sue a seconda delle proprie circostanze. L’importante è arrivare a toccare in qualche modo delle altre sensibilità. Mi hai detto prima che hai iniziato a scrivere canzoni a 13 anni. Ti posso chiedere come è iniziato? Dalle parole o dalla musica? Come funziona il processo creativo per Fran Healy?

“La mia teoria a proposito della creazione delle canzoni è che il 95% del processo creativo non è per nulla creativo. È un processo molto dogmatico, molto manuale, molto umile e incredibilmente noioso perché cominci dal nulla. Prendi in mano la chitarra e inizi a suonare. Hai visto il film There Will Be Blood con Daniel Day-Lewis?”

Sì certo.

“Ecco immaginati la scena iniziale, lui solo nella miniera con il piccone, è tutto buio e le scintille volano e lui continua a scalfire la roccia, thump, thump, thump, ecco per me questa è la metafora perfetta per indicare il processo creativo per qualsiasi tipo di creazione, tu sei lì che continui a scavare sempre più in profondità. E nel film Daniel Day-Lewis continua a scavare fino a quando si crea un buco e lui prende un pezzo di roccia, ci sputa sopra (Fran fa finta di sputare sulla roccia immedesimandosi completamente nel personaggio), se lo strofina addosso e vede l’oro! La maggior parte del lavoro necessario per trovare quel pezzetto minuscolo d’oro è faticoso e maledettamente noioso. Io odio scrivere canzoni! Adoro il momento in cui trovi la scaglia preziosa, il diamante, quel momento è meraviglioso, finalmente puoi iniziare a creare ma il percorso per raggiungere quel risultato e decidere cosa è semplicemente un cristallo Swarovski e cos’è effettivamente un diamante a volte è estremamente difficile. In questo caso abbiamo avuto quattro anni che è un bel po’ di tempo per lasciare le canzoni sul davanzale per capire quali effettivamente brillano  quando le riprendi dopo una pausa di sei mesi. Ma per tornare alla domanda originale, di solito prendo la chitarra o mi siedo al piano e inizio (vocalizza delle melodie), faccio come i bambini, inizio con degli scarabocchi. E in alcuni casi come in Waving at the Window, non ricordo bene se ero al piano o alla chitarra, ma è venuta fuori così all’improvviso “I don’t want to see you waving at the window” e mi sono fermato e ho pensato, c’è qualcosa di speciale, mi piace. Perché prima o poi tutti ci ritroviamo a salutare qualcuno al di là di una finestra e adesso due anni dopo aver scritto questa canzone, ci possiamo salutare solo con una finestra che ci divide”.

Si, siamo tutti rinchiusi a guardare il mondo esterno dalle nostre finestre.

“Si, infatti. Joni Mitchell dice che i cantautori sono i canarini usati dai minatori ed è un ruolo che è stato svolto per migliaia di anni. Al momento c’è molta confusione perché la creazione è diventato un processo industriale e per quanto mi riguarda non sono più canzoni. Qualcuno è arrivato e ci ha detto: puoi fare un sacco di soldi. Ma ci sono ancora autori di canzoni che praticano questa arte oscura. Ed è come avere l’orecchio sui binari e sentire l’arrivo del treno anche se sei a dieci miglia di distanza. Ma sono convinto che noi tutti abbiamo questi poteri ma non lo sappiamo, ce ne allontaniamo. I bambini hanno questi poteri, gli animali li conservano, e chi scrive canzoni non li ha perduti”.

Ho visto che durante il periodo del lockdown avete girato e pubblicato un gran numero di video comprese le versioni in isolamento dei vari singoli e l’ideazione e la regia dei video ti appartengono, persino la creazione totale del fumettistico A Ghost ti appartiene. Il ruolo del filmaker, del regista è un ruolo naturale per te? Come ti trovi dall’altra parte della videocamera?

“Si, effettivamente ho diretto tutti i nostri video da un po’ di tempo. Per l’album precedente ho creato un film che accompagnava il disco. Ho creato dei video per otto delle canzoni e poi li ho messi insieme per creare un film completo. È stato molto interessante coordinare tantissime persone compresi noi, i componenti del gruppo. E dopo questa prima esperienza ho girato un documentario sul gruppo. Quindi ho già un bel po’ di cose al mio attivo. In realtà sono una persona con un’esperienza molto più visiva piuttosto che uditiva e mi sono reso conto che riesco a creare delle storie anche per creare dei film e semplicemente mi diverto a fare delle cose che si possono apprezzare con il senso della vista, mi piace fare dei film, amo disegnare. E mi sembra una cosa piuttosto unica, non conosco nessun altro gruppo in cui la stessa persona crei le canzoni, le copertine, scriva i content dei video e li diriga. E per quest’album è successo per forza di cose a causa del covid, ma mi sembra che si crei una sinergia particolare, tutto sembra avere una coerenza inaspettata”.

Deve essere un’esperienza incredibile ma allo stesso tempo è una grande responsabilità dover fare un po’ tutto. E gli altri componenti del gruppo a che punto entrano a far parte del processo creativo?

“No, per quanto riguarda la parte creativa, non ci sono per nulla. Si limitano a dire ‘grande’ oppure ‘ben fatto, Fran’. Io scrivo le canzoni poi preparo i demo e infine andiamo nello studio e registriamo il tutto insieme. Ecco questo è il momento in cui vengono coinvolti. Ma per questo disco per la versione “deluxe” del disco, perché sai (le case discografiche) cercano sempre di aggiungere qualcosa per far vendere i dischi, e queste tattiche commerciali non mi piacciono, ma questa volta ho chiesto la produzione di una versione del disco che è quella completa con la band e una seconda versione dal titolo 10 demos e i dieci demo sono la versione abbozzata delle canzoni, ed è interessante sentire le canzoni come sono nate e come sono diventate una volta registrate per la versione finale”.

Non è mai facile trovare un titolo che sia originale e interessante. Da dov’è nato il titolo: 10 Songs?

Ogni canzone finita nell’album è una canzone a sé stante, individuale tutto perché ho scritto queste canzoni in un periodo molto lungo di tempo. Tra l’altro sono convinto che comporre una canzone di questi tempi è un atto molto radicale. Come dicevamo prima, la persona che compone delle canzoni è una persona di un certo tipo, così come un giocatore di calcio è un certo tipo di persona, un ragioniere, un fisico o un dottore, siamo tutti dei tipi. E in questo momento la musica che viene creata è dominata dai cantanti e dai produttori e nessuna delle due categorie è un autore di canzoni. Ogni tanto succede che un cantante è anche un autore ma in quel caso non hanno bisogno dei produttori per creare le proprie canzoni. In questo momento ci sono un sacco di produttori che in 10 minuti riescono a creare delle cose incredibili con il loro computer e il suono raggiunge la perfezione musicale di un OK Computer perché hanno tutte queste meravigliose plugins. E sono delle produzioni perfette. Sono degli ingegneri del suono pieni di talento ma non sono autori di canzoni. Sono dei produttori. E ci sono poi i cantanti che arrivano sulla scena e renderebbero interessante l’elenco telefonico se lo cantassero. La scena è dominata da questo tipo di persone e si è persa l’arte della canzone. Non ci sono più i cantautori. Phoebe Bridgers è un’autrice incredibile e in Francia per esempio Claire Pommet, lei registra con il nome d’arte Pomme, è un’altra autrice eccezionale. Ci sono un sacco di nuove donne troubadour che stanno entrando nella scena e wow per me è molto eccitante, è meraviglioso. Quindi dare il titolo di 10 Songs al nostro nuovo album è un’affermazione importante, voglio dire: ecco dieci canzoni vere, ecco dieci melodie che non avete mai sentito prima. Non è un miscuglio di melodie preso dal catalogo esistente, un pezzetto di I Will Survive unito ad un altro pezzetto di qualcos’altro e poi suonato al contrario così la gente non la riconosce. Non è così per me. Queste dieci canzoni arrivano chissà da dove, sono completamente nuove, sono vere e sono state composte da un vero autore di canzoni. Ecco perché ho scelto il titolo 10 Songs”.

Wow. Parlando di donne eccezionali, è incredibile che abbiate coinvolto Susanna Hoffs delle Bangles in uno dei vostri singoli The Only Thing. Le vostre voci vanno benissimo insieme. Com’è nata questa collaborazione?

“Ho incontrato Susanna in maniera molto banale, su Twitter, la seguo. Non uso Twitter più di tanto. Quando Twitter è nato era molto bello ma adesso è diventato un posto virtuale terribile. Proprio ieri mi hanno detto di un nuovo termine che è stato coniato per esprimere al meglio cosa sia diventato Twitter, doom-scrolling, lo avevi mai sentito?”

No, non ci credo!

“Quindi non lo uso più di tanto ma più o meno tre anni fa ho visto che Susanna aveva messo su Twitter qualcosa di nuovo. Aveva fatto un concerto da qualche parte e cantava Eternal Flame, che è una di quelle canzoni, un classico, e quella versione era incredibile. Mi sono sentito totalmente trasportato dalla sua voce, di ritorno a un’epoca in cui la mia vita era più semplice e forse più felice, perché quando cresci la vita prende il sopravvento. E le ho scritto questo messaggio, insieme ad altre 800 persone che commentavano, le dicevo: mio dio adoro la tua voce, punto. L’ho inviato e mi sono completamente dimenticato di averlo fatto ma dopo un paio di settimane, sono ritornato sul mio account Twitter e mentre scrollavo tra le mie cose ho visto che c’era una risposta da parte di Susanna Hoffs! E il messaggio diceva: ‘anche noi amiamo la tua voce e siamo grandi fan dei Travis’. E io mi sono detto: Oh My God! (Fran ha l’espressione del fan estasiato!) E dopo un anno e mezzo da questo episodio ho composto una canzone e ho pensato che fosse ideale per un duetto ma con chi? E ho osato pensare a lei ma subito mi sono detto, non riuscirò mai a convincerla a fare un disco con me. Ma non avevo niente da perdere. Così glielo chiesto e semplicemente mi ha detto di sì. Personalmente penso che sia un bel colpo perché è una voce che non si sente da un po’ di tempo e anche se ci sono tutti i suoi dischi in rete, non è una voce che si sente spesso alla radio adesso e per me quella voce appartiene alle onde sonore. Finalmente adesso la possiamo sentire dappertutto almeno nel Regno Unito. È una voce fantastica! Ho registrato la sua parte a casa sua, con un microfono e un paio di cuffie, semplicemente e non poteva uscire meglio di così.”

Ti posso fare una domanda un po’ più frivola? Da dov’è nata l’idea delle tute da paracadutista rosse, come questa che stai indossando? Ho visto che hai anche convinto Susanna a indossarne una gialla per il vostro video!

“L’anno scorso ho indossato una tuta simile ma di colore nero ad un concerto e mi sono reso conto che è molto liberatorio per i movimenti. Per la prima volta in 20 anni mi sono sentito libero di saltare. Di solito indossavo dei jeans ma non sono ideali per i movimenti aerobici e quindi ho comprato questa tuta nera (jumpsuit in inglese) ma non era l’ideale perché era un po’ stretta nei punti strategici, non so se rendo l’idea. Mia moglie usa molto le tute e le compra da questo posto Al’s Big Deal, sono delle donne che cuciono queste tute in California. E sono andato a vedere e ho trovato questa bellissima tuta di colore rosso, e il rosso è un colore che spicca oltre ad essere il mio colore preferito. L’ho indossata per la prima volta ad un concerto in Messico lo scorso ottobre ed era bellissima da vedere sul palco, molto più bella rispetto a quella nera che si perde nell’oscurità. Così ho deciso di indossarla per la promozione di questo nuovo disco perché prima o poi torneremo a suonare dal vivo e così la gente può finalmente vedermi anche da lontano, non mi confonderò più con tutta la strumentazione sul palco. E sì, ho preso quella gialla per Susanna perché era un altro colore molto intenso e lei si è prestata al gioco. È bellissima! Ci credi che ha 61 anni?”

Assolutamente incredibile, una donna meravigliosa. E come avete fatto per il video viste le restrizioni Covid? Avete usato gli schermi verdi per poter dare l’impressione di essere nello stesso posto?

“Effettivamente ho filmato il gruppo a distanza, loro erano a Glasgow in un teatro e io ero a Los Angeles. Ho chiesto di avere un pannello nero alle loro spalle. E dopo 4-5 giorni ho filmato Susanna, il gruppo il lunedì e Susanna il venerdì successivo e il sabato ho filmato la mia parte. La parte di Susanna l’abbiamo girata all’esterno, non voleva farla dentro casa. E a Los Angeles sono molto più severi per quanto riguarda le restrizioni covid rispetto al Regno Unito perché stai lavorando con delle star del cinema e quindi ci siamo dovuti tenere a 20 piedi di distanza durante le riprese (6 metri). La mia parte l’ho filmata sul tetto del mio studio nel centro di Los Angeles, e poi abbiamo tagliato e incollato le varie parti. Non avevamo scelta a causa del covid. E lo sfondo nero tra me e Susanna alla fine del video cade e riflette totalmente la canzone, perché è una canzone d’amore triste. The Only One parla di due persone che all’apparenza sono insieme e invece no, sono separate, sono in due paesi diversi dal punto di vista emotivo, mentale, persino fisico, ma a volte è difficile da capire che non sei nel posto giusto, con la persona giusta, al momento giusto. In fondo c’è una corrispondenza tra questa idea e la vita moderna. Vivendo negli Stati Uniti mi sono reso conto che vivono tutti come se fossero in trance, camminano come dei sonnambuli. La qualità della vita è bassissima. Sembra tutto normalissimo all’apparenza ma basta indagare un attimo oltre a superficie e si vede subito che sono tutti profondamente infelici. Basta guardare le statistiche quante persone prendono degli antidepressivi, compresi i bambini, è totalmente ridicolo. Forse non c’è più amore in giro, la gente lavora troppo e forse questa storia del covid, anche se è un disastro per tanti motivi, forse sta dando un po’ una scossa a tante persone, forse stanno uscendo dalla condizione di trance. Forse alla fine è una cosa positiva”.

Non sono tanto sicura che stia funzionando visto la forza con cui tutti vogliono tornare alla normalità, non alla nuova normalità.

“Si, forse hai ragione, mai sono un ottimista, e visto che vivo in America non ho scelta devo essere ottimista perché la gente è fuori di testa, sono completamente perduti”.

Un’ultima domanda veloce. Ho visto che un paio di mesi fa hai partecipato a un benefit per salvare le venue dove si fanno concerti in Scozia. Nel video che circola su Internet ci sei tu solo alla chitarra con le luci di Los Angeles che si accendono alle tue spalle. L’ultima canzone che ci canti è la vostra famosissima Turn. Hai introdotto Turn dicendo che è un inno, ma non in senso religioso. Ci puoi dire cosa intendevi?

“Si, certo. Le prime canzoni che ho composto le definirei degli inni. Sono stato educato da cattolico anche se non sono praticante, odio le religioni, sono un’idea totalmente superata. Ma separo completamente la preghiera dalla religione. La preghiera, la meditazione sono delle cose completamente personali, aiutano a rilassarsi a comunicare con qualsiasi entità con cui ti senti di comunicare, la preghiera è una cosa positiva ma l’idea delle religioni organizzate… lo sai cosa intendo. Ma per me la parte più bella della religione organizzata era il canto, erano gli inni che cantavamo insieme quando ero un ragazzino. E per me Turn è un inno, ha la stessa intensità musicale di uno degli inni che cantavo in chiesa quando ero piccolo. E quando dico che non è un inno religioso voglio dire che non parla di Dio, o forse parla di Dio, in ogni caso parla della voglia di vivere, di lottare per qualcosa, di essere svegli e presenti e di voler credere in qualcosa che non sia solo te stesso, di voler essere utile. È come una lista dei desideri. Ero molto vicino a mio nonno e lui era un uomo con tanti desideri che non sono mai stati avverati, diceva sempre: vorrei aver fatto questo, vorrei aver fatto quest’altra cosa. E il mio messaggio con questa canzone è che un desiderio è una cosa positiva ma devi fare qualcosa tu perché si avveri, un desiderio non si materializza all’improvviso, non cade dal cielo. È questo il mio inno”.

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