Intervista a Perfume Genius: “Ho deciso di essere libero da tutti i pesi che mi portavo dietro”

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di Letizia Bognanni

“Alla ricerca di un sentimento forte, di intensità. Volevo tutto in una volta, un istinto che ho da quando ho iniziato a vivere, e che si è trasformato in un una cosa molto distruttiva e alla fine molto pericolosa. Perciò ho trattenuto quell’istinto e tante emozioni forti, perché pensavo che mi avrebbero fatto del male”. Queste parole di Mike Hadreas aka Perfume Genius (che avevamo intervistato qualche anno fa) sembrano descrivere piuttosto bene quello che succede nelle sue opere – non usiamo solo la parola dischi perché negli anni la sua creatività si è espressa in varie forme, dai video al recente spettacolo di danza The Sun Still Burns Here, una delle ispirazioni del nuovo Set My Heart On Fire Immediately. Un titolo, quello del quinto album del cantautore statunitense, che (volutamente) stride con l’intenzione dichiarata di “essere più paziente, più ponderato – volevo tirare tutti questi fili caotici che mi girano intorno e intrecciarli in qualcosa di caldo, riflessivo e confortante”. Di questa e altre contraddizioni vive il disco, registrato a Los Angeles, la città nella quale si è trasferito nel 2017 con il partner e collaboratore Alan Wyffels, con la produzione di Blake Mills e la partecipazione di Jim Keltner, Pino Palladino e Matt Chamberlin.

L’album si apre con le parole “Half of my whole life is gone”: come diresti che è andata questa prima metà della vita, hai fatto o stai facendo una sorta di bilancio?

“A dire il vero non so da dove arrivi quel verso, mi è venuto fuori di getto, ma dopo quel verso ho potuto scegliere come volevo che fosse il resto della canzone: speranzoso, o sconfitto, o rassegnato, e ho deciso di pensare solo a ciò che sarebbe venuto dopo, a un qualcosa che può essere completamente nuovo, e di essere libero da tutti i pesi che mi portavo dietro”.

Qualche mese fa, qui in Italia, un artista ha fatto piuttosto scalpore per essere salito sul palco di un programma “per famiglie” in abbigliamento femminile, per una performance contro la mascolinità tossica, e molti commenti mi hanno fatto pensare a quanto siamo indietro su certi temi, a quanta strada c’è ancora da fare per raggiungere una reale parità e libertà di espressione. Cosa ne pensi?

“Le cose si muovono molto lentamente, ma si muovono. Un’altra decisione che ho preso è di essere fiducioso riguardo a questo. Le persone non si sentono ancora sicure nel mondo per le cose su cui non hanno controllo. Non dovrebbe essere un problema da affrontare lentamente, ma spero che l’evoluzione acceleri in questo senso. È una cosa difficile con cui fare i conti, il punto è che alcune persone ti accoglieranno e altre non lo faranno, ma non lo sai mai davvero, perciò ogni volta che esci di casa ti trovi ad affrontare questa cosa. Ma in qualche modo faccio quello che voglio. È una scelta politica presentarsi in un certo modo, ma è anche semplicemente una scelta che fai perché è giusto per te”.

Hai detto che hai scritto queste canzoni come un modo per essere più paziente, il titolo però comunica un certo senso di urgenza: come, e se, hai trovato l’equilibrio? Possiamo dire che è quello che descrivi come essere “spiritualmente selvaggio”?

“Non lo so, a volte mi sento così pieno di sentimenti e voglio così disperatamente provare qualcosa, che può essere paralizzante. Non so cosa dire o dove andare o cosa fare e rimango senza respiro. E devo fare qualcosa, cantare o dirlo ad alta voce o fare qualsiasi cosa che non sia starmene lì a provare queste sensazioni e basta, anche se magari la canzone che scrivo è folle o delirante, almeno è qualcosa di reale, non è solo un ronzio nella mia testa. Ne sto tirando fuori qualcosa, sto prendendo delle decisioni e provando a capire. Sì, quindi forse non è pazienza, ma almeno è un modo per contenere la mia impazienza”.

Ho letto che il primo disco che hai comprato nella vita è stato la colonna sonora di Edward mani di forbice. Ti piacerebbe scrivere una colonna sonora? E se sì per che tipo di film?

“Non lo so, ma una cosa che mi piace fare è andare su YouTube, trovare strani video e togliere il volume e metterci le mie canzoni o cantarci sopra e vedere quanto questo può alterare i movimenti e cambiare le cose. Trovo questi video normali dove non succede niente, e se ci canto sopra in modi strani diventano spaventosi, e amo questo potere! Mi piace creare atmosfere. Creare un’atmosfera così pesante e spessa che non puoi evitare di essere trasportato in qualche posto strano. Non mi appassiono davvero al film fino a quando non ottengo il permesso di renderlo più oscuro o leggero o folle”.

Cos’altro ti ispira? Altra musica, o altre forme d’arte…

“Mentre lavoravo all’album avevo in mente queste canzoni classiche che ho ascoltato per tutta la vita, solitamente cose tipo i crooner degli anni 50 e 60, Elvis, Roy Orbison… e mentre scrivevo le canzoni ci pensavo e provavo a scrivere cose che le persone avrebbero potuto portarsi dietro per anni e anni e non solo per un’estate”.

Hai raccontato che Describe era nata come una ballad molto cupa, minimal e lenta e poi si è trasformata in questa “bestia di canzone”. Ti succede spesso che i brani cambino direzione, che prendano vita propria?

“Succede molto spesso. Alla fine sono fedele al feeling più che al suono, perciò quando la canzone ha iniziato a trasformarsi in qualcosa di più rumoroso e aggressivo, mentre la mia voce restava più morbida e dolce, questa combinazione era più vicina al feeling della canzone. L’ha resa più piena e intensa. Sono venute fuori più dimensioni.”.

Trovo che la canzone Your body changes everything sia stranamente appropriata per questo momento storico, in cui dovendo stare lontani abbiamo in un certo modo preso coscienza del fatto di avere un corpo, e della sua importanza nelle interazioni con gli altri. Tu come artista usi molto il corpo, c’è stato un momento in particolare in cui ne hai preso coscienza e hai capito come usarlo per comunicare?

“È un processo ancora in corso. Qualche volta me lo ricordo e qualche volta me lo dimentico, e qualche volta lo controllo mentre altre volte il mio corpo è fuori controllo. È come una trattativa quotidiana. Far parte di una performance di danza e vivere il corpo in modo più specifico come parte dell’essere creativi, è una sorta di potenziamento che rafforza il contatto fisico, il tatto e l’essere davvero presenti con le persone e con te stesso. Penso che quella canzone e molte delle canzoni del disco siano in un certo senso come andare in un posto in cui sei fisicamente molto presente e davvero connesso al corpo vicino a un altro corpo, come una specie di forza spirituale soprannaturale curativa, ed è strano parlarne in questo momento in cui dobbiamo stare lontani per proteggere noi stessi e gli altri”.

Hai un brano preferito o che consideri più rappresentativo dell’intero disco?

“Non lo so davvero, mi piacciono tutte. Non so rispondere perché sono molto orgoglioso e felice del disco. Non lo facevo da molto tempo e in un certo senso imparo daccapo ogni volta, imparo a stare di fronte alle persone, a esibirmi e a stare in studio. Con quest’album sento di aver reimparato e di aver cambiato molte cose e di averci messo tutte le esperienze che ho fatto in questo periodo, mi sono proprio dedicato al cambiamento, alla crescita. Sto ancora sperimentando e ricercando ma allo stesso tempo mi sento più fiducioso e credo che si senta”.

Ti giro la domanda con cui si apre la recensione dell’album scritta da Ocean Vuong: “Can disruption be beautiful?”

“Lo spero, perché ci ho dedicato la vita. Voglio dire, in un certo senso ho provato a rinunciare a questa idea che non smetterò mai di agitarmi e spingere le cose, ribellarmi, cambiare… Sai, mi sono sempre sentito così. Sto andando avanti in un certo senso, ma forse è questo quello che sono, e forse è il motivo per cui faccio le cose che faccio”.

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