Editoriale 338: Cinema per le orecchie

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Di Rossano Lo Mele

Forse qualcuno fra chi legge ricorderà una vecchia canzone dei Divine Comedy. Vecchia, poi… una cosa del 2010, dieci anni fa. Si chiamava At The Indie Disco. Una cosa semplice, fatta di chitarre acustiche ed elettriche, basso, batteria e tamburello. Su cui Neil Hannon poggia la sua voce raccontando di un club dove si reca ogni giovedì sera in pullman. E dove i brani in scaletta appartengono a gente come Pixies, Soft Cell, Morrissey, Cure, Stone Roses, My Bloody Valentine, Wannadies (gli svedesi Wannadies, che con un certo scompiglio ritrovammo qualche tempo fa in una pubblicità della Mercedes!?). La serata finiva sempre con lui che tornava a casa in bus dopo aver ascoltato Blue Monday dei New Order. Non che non esistano club del genere, ma diciamo che le “rockoteche” sono una rarità – di giovedì sera – nel calendario delle nostre abitudini musicali. 

Già, le nostre abitudini musicali. Il numero di marzo del mensile britannico “Wire” parte da qui. Ossia dalle abitudini musicali, ma al cinema. Il titolo scelto per la copertina è “Cinema per le orecchie”. La faccia è invece quella di Daniel Lopatin, in arte Oneohtrix Point Never. Il produttore elettronico statunitense è fresco autore della colonna sonora di Uncut Gems, il thriller diretto dai fratelli ebrei newyorkesi Safdie (Joshua e Benjamin). Nell’intervista Lopatin spiega che i due fratelli lo contattarono anni fa, dopo aver sentito il suo album Garden Of Delete (del 2015), perché alle loro orecchie suonava come una colonna sonora. Il che sorprese Lopatin e non poco: non aveva composto quella musica per il cinema, tuttavia venne fuori che quella cosa così astratta eppure narrativa era esattamente ciò che i due fratelli stavano cercando. Lopatin usa proprio l’espressione “sartoria musicale”. Un abito cucito addosso al film. Esiste – abita su YouTube – un breve documentario in cui lo stesso Lopatin, chiuso nel suo studio tra sintetizzatori modulari e tastiere grandi quanto un bilico, racconta come ha lavorato al progetto. E, per capire cosa sta dietro la sua musica, forse conviene capire anche ciò che Lopatin ha prontamente evitato di fare. Nell’intervista il produttore narra questo aneddoto. Lui che va al cinema a Manhattan, da solo, a mezzanotte, a vedere l’ultimo episodio di Star Wars. Sta seduto ma non riesce a guardare il film, gli sembra tutto così stereotipato. Allora decide di chiudere gli occhi e di ascoltare solo la musica composta da John Williams. Tanto da definirla la cosa migliore del film. In sintesi, l’uomo dietro il progetto Oneohtrix Point Never lamenta i luoghi comuni racchiusi nelle colonne sonore degli ultimi 50 anni di cinema. La sua idea è quella di creare una scultura musicale che inglobi rumori e puro suono a seconda dei momenti. Musica che crei un significato cinematografico: in grado di costruire una storia, assieme al film, con cui potersi identificare e che mostri la storia stessa da differenti prospettive. Un esempio chiaro e virtuoso di quanto detto viene fornito dal servizio stesso: la colonna sonora della miniserie Chernobyl. Fresca di vittoria all’Oscar, l’autrice islandese Hildur Ingveldardóttir Guðnadóttir lascia che sia il suono di un solo violoncello a esplorare il momento di maggior trauma narrativo della serie. Lavorando per sottrazione all’interno della psiche umana e dei gesti che comanda. 

Per una ragazza che ha appena vinto l’Oscar (e non solo, la geniale Guðnadóttir sta anche dietro a Joker e molto altro, oltre ad aver portato a casa di recente Grammy e GoldenGlobe) ce n’è un’altra che non lo ha fatto ma lo avrebbe meritato allo stesso modo. Si tratta della kuwaitiana Fatima Al Qadiri. Una generazione di donne quasi coetanee (nate nei primi anni 80) che sta ridefinendo l’idea di colonna sonora. Nel caso di Fatima l’ultimo sforzo si chiama Atlantique, film che narra storie di sfruttamento lavorativo ed esistenziale tra il Senegal e la Spagna. E la lista sarebbe lunga. Perché dalle pellicole di massa ma con score “alternativi” e memorabili come quelli di The Social Network e Millennium: Uomini Che Odiano Le Donne, composti dalla coppia Trent Reznor/Atticus Ross, siamo passati oggi a una nuova specie di compositori. Fra cui spicca per esempio la britannica Mica Levi: altra ragazza poco più che 30enne, qualcuno la ricorderà a capo del progetto d’avanguardia Micachu & The Shapes, che negli ultimi anni ha firmato le musiche di film come Jackie e Under The Skin. E che dire poi di Midsommar, uno dei film più sorprendenti degli ultimi mesi? La musica è qui firmata da Boby Krlic, in arte The Haxan Cloak, uno dei nostri beniamini quanto a musica scura, sfuggente e potente. Molte di queste colonne sonore passano ormai attraverso canali produttivi e distributivi nuovi (qualcuno ha detto Netflix?). Lungi dal voler beatificare companies che non necessitano certo del nostro supporto, va comunque ribadito che, se di benvenute novità di contenuto si parla, si deve passare anche attraverso i contenitori.     

Redazione Rumore
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