Unknown Pleasures, il disco di debutto dei Joy Division, compie 40 anni (qui trovate le ristampe) il 15 giugno. Ve lo raccontiamo attraverso le parole di chi ha contribuito, o assistito, alla nascita di una pietra miliare del post-punk (e non solo). E per dirlo con Peter Hook, “consiglio caldamente di ascoltare il disco mentre leggete”. Per gli accaniti lettori, nel numero dedicato ai Joy Division e ad Unknown Pleasures trovate l’intervista a Jon Savage, che ha recentemente pubblicato un libro fondamentale per la bibliografia della band, The Oral History.
“Mi sa che Bernard e io siamo gli unici a cui non piace Unknown Pleasures, perché non ci ritroviamo quello che suonavamo dal vivo, ci sembra del tutto unidimensionale. Le canzoni le avevamo scritte e riascoltate, e ci dicevamo “cazzo, se sono belle, anche il pubblico deve sentirle così”. Oggi so che registrare canzoni e suonarle dal vivo sono due cose diverse, ed è proprio questo il bello. Allora ero troppo giovane e volevo solo che non ci fosse differenza tra studio e live. Non volevo che i pezzi suonassero malinconici, non volevo una musica che durasse”. – Peter Hook (Jon Savage, Joy Division-Autobiografia di una band)
“Ora, non mi ricordo chi me l’ha data, potrebbe essere stato Stephen Morris, che era quello più comunicativo del gruppo, ma mi ritrovo con questa fotocopia dell’immagine che i Joy Division volevano per la copertina dell’album. Lo ammetto, lo schema delle onde è semplicemente geniale. Voglio dire, è indiscutibilmente una grande idea. Stephen, credo fosse lui, mi ha dato una fotocopia di questa pagina, e nella didascalia ho letto che si trattava del grafico di una stella pulsar. A quanto pare, in quel momento era la più attiva nello spazio, così dice la didascalia. Per il resto sono bastate brevi indicazioni verbali. Voglio dire, gli ho fatto delle domande ovvie, tipo: Volete il titolo in cover? E Joy Division in cover ce lo scriviamo? No”. – Peter Saville (Jon Savage, Joy Division – Autobiografia di una band)
“Ho iniziato a usare il syndrum per errore. Quello che è successo è che stavo guardando l’edizione inglese di Tago Mago – quella tedesca è diversa – e sulla cover c’è la batteria di Jaki, che ha un coso a sinistra. Io mi chiedo cosa sia e mio fratello mi dice: Oh sì, quella è una batteria elettronica, è con quella che si ottiene quel suono. Ah, una batteria elettronica? Mmm, giusto, okay. Me ne dimentico, ma poi in giro vedo queste pubblicità che promuovono questi nuovi kit e penso: Ecco, anche io voglio un suono così. Il riff di batteria di She’s Lost Control l’ho rubato da una canzone di Phil Spector: è lo stesso ritmo, ma i suoni sono diversi. È un classico giro di Spector, e se lo ascolti e immagini di suonarlo su una batteria acustica è esattamente la stessa cosa. Non sono stato per niente originale. L’unico pensiero originale è stato: Ho speso dei soldi per un tamburo a forma di disco volante alimentato da due batterie da nove volt, cazzo, dovrò pure usarlo per qualcosa”. – Stephen Morris (Jon Savage, Joy Division-Autobiografia di una band)
“Sul palco i Joy Division scagliano brune lame di rumore damascato contro il pubblico, mentre un cantante spaventapasseri si agita come James Brown all’inferno. L’acid rock dopo dieci anni o più. Si mormora che l’acid goda di un notevole seguito da parte di molti giovani post-punk di Manchester. E visto che il bassista attiva il sintetizzatore, la pelle del rullante si crepa e il sound della band evoca cose orribili scavate nel marmo nero e liscio, chi potrebbe obiettarlo?” – Charles Shaar Murray (NME 7/7/1979)
“Siccome Unknown Pleasures è stato registrato molto in fretta, non c’è stato il tempo di registrare granché (eccetto la batteria di Steve, ovviamente), per cui ci sono un po’ di note sballate sull’album, perlopiù mie. Quelle che si notano di più – e sono le uniche che farò notare – sono su Disorder, dove sembra che si tratti della chitarra di Bernard, e invece no, sono io. La cosa divertente, però, è che ormai fanno parte della canzone, anche se sono note sbagliate”. – Peter Hook (Joy Division, tutta la storia)
“Mi ero trasferito in Inghilterra nell’ottobre del ’79 e li ho incontrati due settimane dopo il mio trasferimento a Londra. Ero andato a vederli a un concerto al Rainbow, in città, e grazie a una rivista olandese per la quale avevo lavorato, ho avuto un pass e ho potuto incontrare Rob Gretton nel backstage. Ho proposto una seduta fotografica per il giorno successivo, loro erano a Londra e hanno risposto di sì. L’abbiamo fatta alla stazione della metropolitana di Lancaster Gate. La mia idea si basava su Unknown Pleasures, la gente che si allontanava lungo la strada dei propri piaceri sconosciuti. Alla fine, il mio viaggio in Inghilterra era stato, per me, un piacere sconosciuto”. – Anton Corbijn (Jon Savage, Joy Division-Autobiografia di una band)
“Ho un piccolo quaderno pieno di testi e semplicemente trovo loro un posto. Ho molti testi di riserva e li uso quando viene fuori la canzone giusta. I versi di solito sono fatti con ogni tipo di piccola stranezza. Non scrivo di niente in particolare, viene quasi tutto dal subconscio”. – Ian Curtis (Sounds Magazine Interview, 1978)
“In questo caso me la canto e me la suono, ma la linea di basso è fantastica. Una linea di basso mostruosa. Una linea di basso che ogni bassista si sogna, e l’ho azzeccata io; grazie, grazie. Wilderness è la stoccata di Ian alla religione, la futilità della religione, le cose che vengono fatte e perpetrate in suo nome. È poesia. Una volta che cogli il significato del testo, o almeno quello che secondo te è il significato del testo, ti ci perdi dentro. Ognuno dei suoi testi è come una meravigliosa, piccola storia a sé stante”. – Peter Hook (Joy Division, tutta la storia)
“I temi spaziali e circolari dei Joy Division e la brillante, onirica lucentezza della produzione di Martin Hannett sono una perfetta metafora degli spazi oscuri e vuoti di Manchester, i lampioni e le infinite case a schiera viste da un’auto in corsa, i siti industriali abbandonati – gli infiniti detriti del diciannovesimo secolo – che visti da un autobus arancione sembrano i denti marci di una bocca spalancata”. – Jon Savage, Melody Maker, 21/7/1979
“Voglio solo andare avanti per la nostra strada a modo nostro. Fondamentalmente vogliamo suonare e divertirci a suonare le cose che ci piacciono. Penso che quando smetteremo di farlo, be’, sarà il momento di piantarla. Quella sarà la fine”. – Ian Curtis (BBC Interview, 1979)