Tool e Smashing Pumpkins fanno grande Firenze (Rocks)

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Di Davide ‘Deiv’ Agazzi

Terza edizione per l’astronave retro-rock che ancora una volta sceglie di atterrare nella Visarno Arena di Firenze. In attesa di capire quali saranno i numeri finali di questa discussa edizione (l’anno scorso furono 210mila i presenti), l’unico sold-out, al momento, lo ha fatto registrare proprio quel Ed Sheeran che per mesi è stato perculato da buona parte della community online della kermesse fiorentina.

E invece.

Ma è presto per tirare le somme: a rompere il ghiaccio ci pensa la giornata alternative che, al netto dell’etichetta un po’ vintage, presenta sonorità assolutamente eterogenee. C’è il crossover striato di reggae degli Skindred (nati dalle ceneri dei mitici Dub War), il prog-metal dei Dream Theater, i campioni delle classifiche anni ’90 Smashing Pumpkins e i Tool.

Che sono, semplicemente, i Tool.

Raggiungo il parco delle Cascine quando comincia il concerto delle zucche di Billy Corgan: altissimo, di nero vestito e col viso pittato, è e rimane il padre-padrone della band. Lui è la band, da sempre, e fa piacere, anche se poco cambia sul risultato finale, che ¾ della line up ‘classica’ (quella di Mellon Collie e di Siamese Dream, per capirsi) sia nuovamente sul palco con lui. Torna il timidissimo chitarrista James Iha (qui in versione parlante!) con un’improbabile giacca glitterata, e torna anche il roccioso Jimmy Chamberlin che, come da copione, pesta come un fabbro sulle pelli della batteria. L’unica assente è D’arcy, e va detto che il suo sostituto fa davvero poco per rimpiazzarla. Poco si notava lei al tempo, ancor meno si nota lui oggi. Sul palco c’è anche una terza chitarra e la tastiera: lo scenario dove si muovono i Pumpkins è uno stage che presenta tre figure ispirate ai robot di latta degli anni ’50, in grado di ruotare sul posto alla bisogna, in versione caramello arcobaleno prima, e in un lugubre bianco e nero poi.

Ph. Elena Di Vincenzo

Nota di colore: la zona vip, lo scorso anno situata al lato del palco, è stata spostata nel pit sotto lo stage e, a parte Piero Pelù e Johnny Galecki (Leonard della sitcom americana The Big Bang Theory, a Firenze per supportare gli amici Bad Flower) è praticamente vuota.

Nonostante un buon disco di ritorno, quel Shiny and Oh So Bright, stasera rappresentato dalla doppietta back-to-back Solara/Knights of Malta, sono i vecchi successi dei bei tempi andati a regalare a Corgan e compagni le urla più forti. Zero, Disarm, Bullet with Butterfly Wings e 1979 sono i brani più acclamati dal pubblico, che risponde presente anche su Ava Adore. Chiusura con un medley finale che termina in Wish You Were Here: un bel concerto, con una scaletta che va a pescare da tutta la carriera delle zucche di Chicago (c’è pure un pezzo dall’album di esordio Gish!) anche se, forse, Siamese Dream avrebbe meritato qualche brano in più.

Gli headliner di giornata, i Tool, giocano in un campionato a parte e questa sera sono qui per confermarlo.

Un campionato dove giocano solo loro, sia chiaro.

Si tratta di una band di difficile catalogazione: i Tool fanno i Tool, punto. Sono gli involontari protagonisti del loro mondo asettico e chiuso, dove non c’è un tappetino con scritto Welcome! all’entrata. Nessuno vi inviterà al suo interno, questa è la regola, è questa da sempre, ed i fan, con i quali la band mantiene da anni una sorta di comunicazione non verbale, lo sanno e la accettano. Anche perché le ricompense non mancano: il concerto di stasera è semplicemente magnifico. Come sempre nei concerti della band di Keenan e soci, quello sul palco non è l’unico spettacolo a cui gli accorsi potranno assistere: sui monitor si gioca un’altra partita e le luci sono, probabilmente, le più belle che abbia mai visto ad un live.

Di qualsiasi tipo, di qualsiasi band, di qualsiasi anno.

In tutto lo show, 90 minuti esatti, James pronuncerà solo due parole: ‘FirenzA, hey’. Tutto qui, questo è quanto viene concesso. Li vedo per la terza volta e, nella mia esperienza, le parole pronunciate dall’algido singer dell’Ohio si posson contare sulle dita di una mano.

Monca.

Gli altri, ovviamente, neanche ci provano a parlare.

Ma suonano.

Dio, come suonano.

Jones e Chancellor, chitarra e basso, macinano ogni riff, mentre Danny Carrey, alla batteria, pesta talmente forte da sembrare il mostro finale di un cartone animato per bimbi cattivi. L’ago della bilancia, inevitabilmente, è sempre lui, Maynard James Keenan, come sempre in fondo al palco, a lato della batteria, l’anti front-man per eccellenza. Cresta punk e chiodo di pelle nera con banda rossa, se non altro, rispetto al precedente tour di 10000 Days ha scelto di mostrarsi al pubblico, senza nascondersi dietro ad un telo bianco come nella precedente tournè. Al centro del palco c’è una stella a sette punte, mentre i due maxi-schermi a lato del palco danno vita al mini-mondo di casa Tool: ci sono i filiformi ominidi impegnati a vivisezionare rane di Parabola, le creature in liquefazione di Schism, l’ossessivo caleidoscopio di immagini di 46×2. Anche in questo caso, la band sceglie di mettere in mostra qualcosa da tutto il proprio repertorio, fatto salvo per Undertow, colpevolmente assente. Ci sono anche i due pezzi nuovi, Invincible e Descending, una gustosa anteprima dal nuovo, tribolato, multirimandato-e-proprio-per-questo-attesissimo disco (in uscita il prossimo 30 agosto). Sublimi anche le esecuzioni dell’opener Aenima, accolta dal boato della Visarno Arena, e della conclusiva Stinkfist. Un concerto, ripeto, praticamente perfetto: se proprio devo trovare un difetto, ci sono stati momenti in cui la voce di Keenan, filtratissima, era essa stessa soverchiata dall’assalto sonoro della band, e rimane oggettivamente difficile capire se si sia trattato di una scelta artistica o di un errata valutazione da parte del fonico. Ma si tratta di un dettaglio, il pelo nell’uovo in una serata fantastica: la terza edizione di Firenze Rocks non poteva iniziare meglio di così.

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