Intervista: Propagandhi

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(Propagandhi)

di Davide “Deiv” Agazzi

Tra i gruppi che hanno beneficiato dell’esplosione del (pop) punk nella metà degli anni ’90, si annoverano indubbiamente i Propagandhi, gruppo inevitabilmente finito nel medesimo calderone mediatico, ma decisamente differente dal prototipo del gruppo cazzone californiano con testi tutti musica-sole-ragazze. Certo, il fatto che provengano dal freddo Canada e non da qualche ricca periferia losangelina potrebbe essere un buon motivo per spiegare come mai il mood di questa band sia sempre stato un altro rispetto a quello di molti colleghi. Ma non basta. Alla provenienza si devono sommare dei testi altamente politicizzati, un’ attitudine anarchica che non è mai venuta meno e una certa parsimonia nelle uscite discografiche. Oltre, fattore non proprio secondario, alla mancanza della necessità di dover piacere a tutti. Noi siamo questi, se vi va bene ok, altrimenti fanculo. Anche se vi chiamate Fat Mike e siete il leader della band che tutti vorrebbero imitare, oltre ad essere il boss dell’etichetta dove tutti vorrebbero stare, la Fat Wreck. I canadesi sono tra i primi a firmare per la neonata label e, poco dopo, tra i primi ad andarsene. Differenze artistiche, capita, amici come prima ma ognuno per la sua strada. Niente animosità, la Fat Wreck continuerà ad avere diritti di distribuzione dei due seguenti album, ma i Propagandhi preferiranno fondare la propria etichetta (sarcasticamente chiamata G7 Welcoming Committee) continuando, per il terzo album, ad affidarsi alle doti del versatile produttore Ryan Greene, già dietro ai successi proprio dei NOFX, ma al timone musicale di personaggi concettualmente lontanissimi dai canadesi come Jay-Z, Megadeth o Patti LaBelle. La parentesi su Fat Wreck serve comunque a catapultare il gruppo guidato da Chris Hannah, fondatore della band, dalla piccola provincia di Winnypeg alla ribalta mediatica che, come detto, nella metà degli anni ’90 investì, anche in maniera abbastanza casuale, tutta una serie di gruppi solo apparentemente simili. Il successo di Green Day o Offspring comunque, giusto per citare i due maggiori beneficiari della “moda” punk, non toccherà mai neanche lontanamente i Propagandhi. Non che a loro freghi un cazzo, sia chiaro. È proprio nel 1997, anno di transizione e di un primo distacco dalla Fat Wreck, che al gruppo si unisce Todd Kowalski che da allora si è preso la briga di suonare il basso e da quel giorno non hai mai smesso. Di cambio formazione in cambio formazione: avanti veloce fino al 2017, anno di uscita di Victory Lap, settimo album dei canadesi in circa 30 anni di carriera, che vede un avvicendamento alla seconda chitarra, addio David Guillas, benvenuta Sulynn Hago. Anche l’etichetta è cambiata ancora: si torna a casa, in qualche modo, nuovamente in California, ma è la scuderia ad essere diversa, si tratta della Epitaph, l’etichetta di Brett Gurewitz, chitarrista dei Bad Religion, il cui nome è praticamente interscambiabile con l’idea stessa di punk rock californiano. In attesa della loro unica data italiana il 6 maggio al Live Music Club di Trezzo sull’Adda, ho fatto una chiacchierata epistolare con Kowalski.

Il vostro album precedente, Failed States, è uscito nel 2012, mentre l’ultimo lavoro è dell’anno scorso. Non erano mai trascorsi cinque anni fra le vostre uscite, come avete impiegato questo tempo?

Todd Kowalski: “Beh, siamo usciti col disco, siamo andati in tour e poi abbiamo cominciato a mettere insieme riff e pensieri per il nuovo lavoro. Non ci siamo mai realmente fermati, abbiamo sempre continuato il lavoro in studio con jam e prove. Ci vuole sempre un po’ di tempo perché il riff e la canzone escano esattamente come l’avevano in testa, con quel grado di freschezza ed interesse che vogliamo raggiungere e suscitare. Poi c’è tutta la trafila, prova i riff, registrali, aspetta che il disco sia fuori, torna in tour. Il tempo vola, dovremmo mettercene molto di meno, ma questo è quanto e alla fine va bene così. Credo che sia anche giusto far passare del tempo tra un disco e l’altro, penso sia più divertente per le persone ascoltarlo e, sulla lunga distanza, penso sia meglio avere pochi dischi davvero buoni e che siano riconoscibili, che non una serie di lavori mediocri della quale poi si fa anche fatica a tenere il filo. Quel che è sicuro, è che  è fichissimo suonare i nuovi pezzi dal vivo”.

Il cambio alla chitarra come ha impattato sul processo di scrittura dei pezzi? E dal vivo?

T.K.: “Immagino che il cambiamento più grande derivi dal fatto che Sulynn sia in Florida la maggior del tempo e quindi, per lo più, proviamo come un trio. Non è semplice, perché a volte dobbiamo letteralmente immaginare l’altra chitarra ma, allo stesso tempo, dobbiamo fare pezzi ‘lisci’, senza troppi ghirigori, quindi alla fine funziona tutto comunque. La seconda chitarra, alla fine, è soltanto un’aggiunta ed è fico, alla fine, sentire come suoni il pezzo con due chitarre. Sull’ultimo disco Sulynn è arrivata a cose quasi ultimate ma ha aggiunto alcune belle parti sue al mix finale. Ci piacerebbe averla qui con noi tutto il tempo ma non è possibile e non ci possiamo fare molto. I live sono andati bene, Sulynn ha moltissima energia e grande personalità e ai nostri fan è piaciuta moltissimo. Inoltre è una persona con cui è piacevole viaggiare e passare del tempo e anche questo aiuta moltissimo”.

Siete stati una delle prime band a firmare per la Fat Wreck, l’etichetta di Fat Mike dei NOFX. Com’era lavorare con lui e che tipo di aspettative avevate allora?

“Beh, io non ero presente sui primi due dischi ma penso che inizialmente Mike abbia voluto partecipare come produttore, lanciando suggerimenti qua e là, senza essere troppo ingombrante. Alcuni dei suoi suggerimenti, personalmente, non li avrei presi alla lettera, ma immagino che le sue idee sarebbero potute piacere ad altre persone, per cui alla fine credo sia solo questione di sensibilità e gusti. Penso di avere dei gusti musicali completamente differenti da quelli di Mike quindi non trovo che abbia molto senso confrontarsi sui nostri pezzi con qualcuno che non condivida la nostra visione. Dopo i primi due dischi, l’apporto di Mike si è esaurito. Un tizio comunque abbastanza simpatico eh, parlo solo delle sue scelte musicali”.

Avete sempre mantenuto un’attitudine anti-capitalista, ma avete sempre promosso e distribuito i vostri dischi seguendo il processo “regolare” dell’industria – pur se in maniera indipendente – per far arrivare il vostro messaggio a più persone possibili. Dove tracci la sottile linea tra il bisogno di rimanere indipendenti e la necessità che il vostro messaggio arrivi forte e chiaro?

“È abbastanza difficile quando ti accorgi che alle altre band non fotte un cazzo di tutto questo, e quindi non hai la reale possibilità di creare un’alternativa che abbia sostanza, che faccia massa critica. Abbiamo cercato di fare del nostro meglio. Immagino che il nostro obiettivo, adesso, sia quello di stare lontani da un sostegno o un supporto di tipo corporate, dai festival coi grandi sponsor del cazzo, cerchiamo di stare alla larga dai promoter che hanno un gigantesco monopolio su tutti gli Stati Uniti, cose così. È davvero difficile, di questi tempi, ovunque cerchi il nostro nome su internet lo trovo contornato da pubblicità, e questo succede a ogni altro gruppo del pianeta, è più o meno inevitabile. Purtroppo, questa è la natura della nostra società. Detto questo, credo che sia ancora importante tentare di resistere in ogni maniera possibile, anche se si tratta di piccoli gesti”.

Che giudizio dai dell’amministrazione Trump? Non trovi surreale che dopo decenni in cui ci sono state propagandate le virtù dell’ipercapitalismo, l’amministrazione Trump abbia trovato una nuova ricetta per il successo nel protezionismo?

“Sì, Trump è un imbecille. Chiunque lo stia a sentire senza rendersi conto che quel tizio è un imbroglione e un truffatore ha davvero bisogno di un serio aiuto. É una persona priva di compassione, empatia o semplicemente decenza e, purtroppo, sembra amare l’idea di avere a propria disposizione un immenso esercito. Stavo ascoltando qualcuno, questa mattina, che parlava di come Trump non abbia assolutamente alcun senso del commercio e che i suoi piani rovineranno l’intesa commerciale col Canada, che è, ad oggi, “la relazione commerciale di maggior successo del mondo tra due nazioni in pace, pari a quattro trilioni di dollari di scambi lungo il confine che più a lungo è stato non militarizzato e che molte industrie e addirittura Stati sono letteralmente dipendenti dai commerci col Canada.” Ah ah! Chi lo sa. Chiunque non sia in grado di accorgersi che Trump sta lì solo per i propri interessi è davvero un cretino”.

Dopo le elezioni di Trump mi pare che i suprematisti bianchi stiano ottenendo più spazi sui media. Un qualcosa di simile sta avvenendo anche in Italia, con formazioni neo-fasciste che si dichiarano democratiche per prendere parte al dialogo politico, in particolare per quanto concerne la questione migratoria. Qual è la vostra posizione su questo tema? A loro dovrebbe esser concesso di parlare ed interagire nell’agenda politica quotidiana oppure dovrebbero essere allontanati per via della loro attitudine fascista, con l’inevitabile problema di trasformarli in martiri per i media?

Idealmente la società dovrebbe essere sufficientemente sveglia, ed avere anche gli strumenti, per rendere queste persone obsolete, o semplicemente di ridurle a una manica di sfigati che gridano contro un muro ma, sfortunatamente, non è così. Non credo che questi neo-fascisti meritino alcuno spazio all’interno della società civile perché il loro obiettivo è quello di eliminare e sterminare gli altri, e questo è genocidio. Non credo sia ragionevole per nessuna società aver a che fare con questi soggetti. Non penso che a nessuno che sia interessato a mettere a rischio di morte altre persone, e non sto esagerando, dovrebbe esser concesso di partecipare nel dialogo civile o politico.”

Fear is your only god” (tr. “la paura è il tuo unico Dio”) cantavano i Rage Against The Machine, ed era il 1996. Qual è il ruolo che gioca la paura nell’agenda politica e, più in generale, nelle nostre vite?

“Ognuno ha paura di qualcosa, siamo spaventati dai migranti, dai rifugiati, abbiamo paura dell’altro sesso, delle religioni altrui, delle altre razze, delle altre etnie, siamo spaventati dalle persone che hanno un orientamento sessuale diverso dal nostro, siamo spaventati dai senzatetto, delle persone con malattie mentali e la lista potrebbe andare avanti all’infinito. Fondamentalmente, quello che sto cercando di dire, è che siamo tutti spaventati da coloro che non ci somigliano, e non importa chi e dove siamo, troveremo sempre un nuovo gruppo di persone da incolpare e da temere, questo ha davvero poco a che fare con gli altri e molto a che fare con noi stessi. Ci sono molte persone in attesa di lucrare sulla nostra paura per i propri tornaconto, per rimanere al potere. Alcune persone cercano di apparire più importanti per non perdere il proprio lavoro o le loro comode case, a danno di altre persone che vedono come competizione, i produttori di armi realizzano trilioni proprio sulla paura, la nostra paura ci permette di deumanizzare le persone, per far fare loro compiti o lavori pericolosi, così che noi si possa chiudere gli occhi di fronte a un evidente sfruttamento, può essere usata per distrarre le persone dalle vere fonti di corruzione. I perdenti che sono semplicemente arrabbiati col mondo, che usano l’odio e la paura degli altri per sfogarsi contro qualcuno, invece di essere trattati da coglioni infantili quali sono, spesso vengono applauditi. una situazione molto triste e vigliacca, ma dobbiamo continuare a combatterla con quanto ci è possibile.”

Amo la copertina del vostro disco! Perché avete scelto proprio quell’immagine?
Vero, molto fica. Beh, ne avremo spulciate quasi centomila, e questa è quella che ci è piaciuta, che rappresentava, secondo noi, le emozioni del disco, il suo concept. Non mi addentrerò, però sulla sua interpretazione perché voglio lasciarne libera lettura ad ogni ascoltatore.”

I Propagandhi saranno di scena il prossimo 6 maggio per la loro unica data italiana.

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