La triplice vita di Bruce Dickinson degli Iron Maiden: musicista, pilota e schermidore

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(Credit: Carol Moir)

Riconoscere immediatamente un suono o un gusto è un riflesso automatico e quotidiano. “Rumore”, in collaborazione con Jameson, vi porta a scoprire ciò che li rende riconoscibili.

Di Letizia Bognanni

Questa è la formula di una curiosa lega metallica che ha un nome e un cognome: si chiama Bruce Dickinson. Prima viene il metallo pesante: l’heavy metal del gruppo che in pratica l’ha inventato – e che ha il metallo anche nel nome: Iron Maiden. Bruce ci entra nel 1981, in tempo per il terzo album e per influenzare generazioni di metallari e hard rocker di tutto il mondo per i quarant’anni a venire e probabilmente oltre. 15 album e innumerevoli concerti in tutti gli angoli del globo non dovrebbero lasciare molto tempo e voglia di considerare carriere alternative a quella della rockstar. Invece…

Quando sono entrato negli Iron Maiden, nel 1981, alla fine dell’anno avevo fatto un tour mondiale, ero stato in Giappone, in America e in tutti questi posti che non avrei mai sognato di vedere. Avevo avuto un album primo in classifica, e ho pensato: e adesso che faccio?

Problema. Soluzione: il metallo ancora più pesante. Quello di cui sono fatti gli aerei. Non da prendere come passeggero, e nemmeno da far volare a mo’ di costoso hobby da VIP, ma da pilotare sul serio, regolarmente, per lavoro. Aerei di linea, voli speciali e voli qualsiasi, forse per rimanere coi piedi per terra, seppur stando in cielo. E per vedere ancora più mondo, ché evidentemente non ne ha mai abbastanza:

Ho fatto volare un aereo in mezzo a un lago in Canada, ho portato un bimotore attraverso l’Atlantico, volato da Wick in Scozia a Reykjavik prima di andare a Kulusuk, una piccola striscia di ghiaia nel mezzo di un vulcano spento in Groenlandia, poi ad Aklavik nel Circolo Polare Artico per finire all’aeroporto di Toronto.
Mi piacerebbe andare in orbita e vedere tutti i posti che mi mancano nell’universo. Ma ancora non posso permettermelo. Restando sulla terra, vorrei visitare il Polo Nord e il Polo Sud.

Occhio al capitano, la prossima volta che partiamo. Potrebbe essere l’unico caso in cui ha senso fargli l’applauso.

Manca il terzo metallo. Il più leggero, ma solo all’apparenza: quello delle spade che Bruce non ha quasi mai smesso di brandire, fin dai tempi della scuola. Inizia a tirare di scherma, senza troppo entusiasmo, verso i 13 anni, su consiglio di un insegnante. Smette dopo pochi anni per poi riprendere quando è già negli Iron Maiden, nel 1983, e anche in questo caso non per passatempo: si allena da professionista, con tanto di ritiro in un collegio spartano ai limiti del militaresco (allenato dal sedicente istruttore degli attori di Star Wars. Sull’argomento c’è ambiguità, ma sarebbe bello crederci), sfiora addirittura le olimpiadi, e arriva a piazzarsi settimo nel ranking britannico, ironicamente nell’anno dell’album Seventh Son of a Seventh Son.

La scherma è fisica, mentale e spirituale. Ti divora, dal più profondo della tua anima alla punta dei piedi. Ogni volta che inizi una gara offri all’avversario la possibilità di distruggere il tuo ego. E se è un incontro importante è più di una questione di vita o di morte. Psicologicamente, la scherma è ferocemente brutale e umiliante.

Detta così non sembra tanto diverso dallo sgolarsi su un palco. L’abbiamo detto, è tutto collegato, anzi fuso. Come in una lega metallica.

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