Intervista: Whitney

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In principio furono gli Smith Westerns. Direttamente da Chicago, la band capitanata dai fratelli Omori (Cullen e Cameron) era dedita a una miscela indie rock invischiata fino al collo con la psichedelia pop più malinconica. Dallo sfocato esordio omonimo immerso nel fuzz e nella sporcizia lo-fi, con il tempo il tiro si è affinato attraverso l’ingaggio della band per la Fat Possum nel 2011. Scacciato quel velo di bassa fedeltà, rimangono un pugno di brani dal senso melodico trascinante contenuti in Dye It Blonde. Successo che dall’underground si affaccia timidamente in un panorama quanto mai sovrappopolato. Della stessa grana impalpabile è composto il terzo disco, Varsity, pubblicato nel 2013 per la Mom+Pop. Cerchio che si chiude immediatamente l’anno successivo, quando la band tra tensioni interne decide di concludere il proprio percorso.

Malumori presenti già tempo prima, come ci racconta direttamente Julien Ehrlich, ex membro degli Smith Westerns e batterista per un breve periodo di un’altra band tutt’oggi viva e vegeta come non mai: gli Unknown Mortal Orchestra. Dalle delusioni professionali e amorose di Ehrlich e del suo ex collega Max Kakacek prende vita il progetto Whitney. Ricalcando il sapore pop della band madre, ma calando il tutto in un’atmosfera folk senza tempo. Proprio una manciata di mesi fa, l’esordio di questo nuovo progetto si è palesato attraverso dieci brani cesellati guardando ad una tradizione lontana priva di nostalgia. Tra suggestioni Motown, lo spirito del Neil Young di epoca Harvest e il falsetto leggero di Julien Ehrlich, Whitney s’impone senza presunzione tra i migliori esordi di quest’anno. Abbiamo preso l’occasione al volo per scambiare alcune battute veloci proprio con Julien, voce e promotore di questa dolce e ingenua creatura folk, il cui nome arriva direttamente da un romantico primo bacio.

Arrivate tutti da precedenti e diverse esperienze musicali. Come nasce il progetto dei Whitney? Se non sbaglio, tutto è cominciato con lo scioglimento degli Smith Westerns nel 2014.

Io e Mark abbiamo cominciato a lavorare su alcune cose nuove no appena gli Smith Westerns si sono sciolti. Eppure il progetto dei Whitney era nelle nostre menti molto prima. Facevamo ancora parte delle nostre rispettive band quando abbiamo iniziato a pensare a questo progetto. Un giorno ci siamo semplicemente fermati a registrare alcuni brani che avevamo in mente, utilizzando un piccolo registratore che avevamo appena acquistato all’epoca. Ci piaceva talmente tanto la musica che ne uscì fuori, a tal punto da abbandonare tutti gli altri progetti musicali che avevamo per le mani. I Whitney ci hanno rapiti da un momento all’altro. Una sensazione che ci ha presi di soprassalto senza darci nemmeno il tempo per rifletterci su, talmente tanta era l’eccitazione.

Come avete lavorato a questi primi brani? In quale momento vi siete resi conti che qualcosa stava crescendo tra di voi?

Il sentimento che è scaturito durante la lavorazione di Light Upon The Lake è stato un momento di puro fermento creativo e di voglia di esplorare nuovi territori. Non avevamo mai ascoltato prima di allora qualcosa che suonasse come le registrazioni che avevamo appena realizzato. Per noi si è trattata di una vera e propria liberazione.

Le vostre sonorità sono al tempo stesso fresche e legate ad una tradizione folk ben definita. Ascoltando Lights Upon The Lake saltano all’orecchio molti dischi classici. Decisamente Harvest di Neil Young su tutti. Ma c’è anche molto soul di matrice Motown. Da dove arrivano le vostre influenze?

Sono cresciuto ascoltando Sam Cooke e Marvin Gaye. Max invece ascoltando Van Morrison e George Harrison. Direi che Neil Young è stato il terreno comune su cui poggiare le basi della nostra collaborazione, per poi spaziare ognuno nei suoi ambiti preferiti. Credo che tutte queste inflenze escano fuori piuttosto chiaramente lungo tutto Light Upon The Lake.

Passando alla parte vocale, il tuo timbro è davvero particolare. Hai mai studiato oppure esce tutto fuori in maniera naturale?

Non è la prima volta che mi fanno questa domanda. Ad essere sincero, non ho mai preso lezioni di canto o roba del genere. Questa è semplicemente la voce che esce fuori quando canto in falsetto.

C’è un aneddoto molto tenero riguardo il nome che avete scelto per la vostra band. Whitney era il nome della ragazza a cui hai dato il tuo primo bacio, non è così?

Sì, è tutto vero. È successo quando frequentavo il 7th grade, quindi attorno ai tredici anni. È accaduto mentre aspettavamo assieme l’autobus per tornare a casa dopo la scuola. Mi faccio prendere facilmente dalle situazioni romantiche e pittoresche come questa. Banale, ma sincera nella sua ingenuità. Durante le registrazioni del disco ero impelagato in una rottura piuttosto pesante con la mia ragazza. Quindi diciamo che i testi così nostalgici, disillusi e che ruotano spesso e volentieri attorno all’amore vengono fuori proprio da questo periodo della mia vita.

Ogni traccia del disco racconta una piccola storia. Quasi tutte sono pervase da una doppia identità. Parli spesso di argomenti spiacevoli, come amori tormentati e persone care che sono passate a miglior vita, il tutto accompagnato da atmosfere molto calme e rilassate. Possiamo dire che Light Upon The Lake è una sorta di catarsi delle vostre vicende personali?

Qualche anno fa abbiamo trascorso un periodo piuttosto duro delle nostre vite. Lo scioglimento degli Smith Westerns, rotture amorose, la morte di alcuni nostri famigliari e la perdita della casa in cui vivevamo. Al tempo stesso siamo persone serene. Vogliamo sollevarci da tutti i pesi e le negatività che appesantiscono il cuore e l’animo. Penso che questi umori contrastanti escano fuori proprio dal nostro vissuto degli ultimi anni. Dalla nostra voglia di reagire con serenità a tutte le sfortune e i problemi che la vita ti getta addosso.

A questo punto della vostra nuova avventura, cosa dobbiamo aspettarci in futuro dai Whitney?

Abbiamo in programma un sacco di date in giro per il mondo. Al tempo stesso stiamo cercando di ritagliare alcuni piccoli spazi per metterci al lavoro sul nostro secondo disco. È dura avere tempo mentre sei in tour, ma a piccoli passi stiamo cominciando a dare forma al nostro secondo capitolo.

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