Live Report: Ms Lauryn Hill @ Lucca Summer 2015

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Lauryn Hill @ Lucca Summer 2015

di Davide Agazzi

Per contestualizzare, e capire al meglio, il mix di emozioni che ha accompagnato – verosimilmente – chi ha scelto di pagare il biglietto per vedere la “Signorina Hill” è necessario fare un paio di passi indietro nel percorso musicale dell’ex voce dei Fugees. È il 1998, anno di uscita dell’imprescindibile album The Miseducation Of…, 8 milioni di copie vendute nei soli Stati Uniti. Successo incredibile di critica e pubblico. Un risultato straordinario per tutti, tranne lei, che tutto quel successo mal digerisce – al punto da portarla alla decisione di abbandonare completamente la vita pubblica. Operazione, quest’ultima, purtroppo riuscitissima: se si esclude l’Unplugged 2.0 (una serie di idee messe in musica che avrebbero dovuto concretizzarsi in un album, mai uscito) e la recentissima raccolta di cover di Nina Simone, non si registrano nuove uscite discografiche da parte della Hill nel nuovo millennio. Quel che le è successo in questi anni è avvolto nel mistero e, proprio per questo motivo, ha dato vita alle più fantasiose ipotesi: è matta, è depressa, ha perso il contatto con la realtà, è entrata a far parte di una setta ed ora ne è schiava, è vittima di un complotto ordito contro di lei dagli Illuminati dell’industria discografica. Sentitevi liberi di scegliere la vostra teoria preferita.

Le sue poche apparizioni dal vivo sono, a loro volta, ulteriore motivo di polemica e discussione: è svenuta sul palco, ha reso i propri brani irriconoscibili facendo adirare il pubblico, si è presentata sul palco con due ore di ritardo, ha passato il concerto a cercare di farsi capire dalla propria band. Alcuni di questi atteggiamenti, purtroppo, si verificheranno anche a Lucca. Sul palco, infatti, nella suggestiva e centralissima piazza Napoleone, Lauryn si presenta con un’ora di ritardo. Per qualche minuto, nonostante fossi al corrente delle abitudini poco professionali della cantante, ammetto di aver sudato freddo. Vestita di un lungo abito rosso, è accompagnata da una band di 11 elementi: nessuno di questi verrà mai presentato al pubblico (ad eccezione del chitarrista): durante l’ultima traccia, infatti, la cantante sarà la prima ad abbandonare il palco mentre il resto dei musicisti è impegnato a concludere lo show. Il concerto dura due ore e si divide fondamentalmente in due parti: una prima fase dedicata alla sua vocazione unplugged ed una seconda dove invece trovano spazio i brani di grande successo dei Fugees e della sua brevissima carriera solista oltre ad una lunga (forse troppo) sequenza di cover.

Nella prima parte del concerto la cantante ingaggia una battaglia a distanza col fonico, chiedendo continuamente di aggiustare il volume del microfono o della spia. Come se questo non bastasse, le restanti energie dell’ex voce dei Fugees vengono spese nel tentare di farsi seguire dalla propria band. In questo senso, Lauryn si atteggia con la spocchia di un direttore d’orchestra e le movenze di un capocantiere, non risparmiando occhiatacce e sguardi inquisitori a chiunque non segua la musica che, in quel momento, sta suonando nella sua testa. Nella lista dei cattivi finiscono, spesso e volentieri, la sezione di fiati ed il chitarrista, praticamente seguito a vista dalla Hill per tutta la prima parte della serata. A quasi 24 ore di distanza dal live, non sono ancora riuscito a darmi una spiegazione di questo atteggiamento: è come se avessimo assistito alle prove di un futuribile concerto. Anche perchè, in tutto questo, il pubblico non viene mai minimamente considerato, è come se non esistesse affatto. Lauryn è semplicemente troppo impegnata ad impartire ordini ai suoi sottoposti, nel tentativo di tenere assieme un castello musicale sorretto su equilibri impossibili e misteriosi. E anche qui, siete liberi di darvi la spiegazione che preferite. Fate pure.

Siamo ad un passo dal disastro. Anzi, no: perché tra il ritardo con cui si presenta, la battaglia a distanza col fonico e quella ravvicinata coi propri musicisti, Lauryn riesce anche a trovare il tempo di cantare. E quando lo fa, tutto il resto passa in secondo piano. In un attimo. La voce è strepitosa, quella dei tempi d’oro, ed il pubblico di fronte a così tanto genuino talento è disposto a lasciarsi andare e perdonarle tutto, anche il fatto di aver praticamente ignorato tutti i presenti. I brani scelti sono ampiamente riarrangiati ed alcune volte è davvero difficile riuscire a riconoscerli, ma tutto funziona, tutto è tenuto assieme da un collante invisibile ed improbabile. Nei nuovi arrangiamenti sono presenti le tre anime della cantante: dal rap di scuola afroamericana alle sonorità in levare della tradizione caraibica, fino al rock con basso e batteria che, in alcuni passaggi, pestano senza pietà. La seconda parte dello show, anticipata da una faccia a faccia tra la Hill ed il fonico che mi aveva fatto temere il peggio, è invece radicalmente diversa. La diva (finalmente!) si rilassa, si toglie le scarpe col tacco e comincia a divertirsi, inanellando una serie di classici come Fu-Gee-La, Ready Or Not, Lost Ones ed anche la celeberrima cover di Roberta Flack Killing Me Softly, in grado di lasciare tutti senza parole.

L’emozione, nel pubblico, è palpabile. Tutta piazza Napoleone pende dalle sue labbra. C’è spazio anche per una lunga serie di cover, da Nina Simone (un’eccezionale Feeling Good seguita da Black Is The Colour Of My True Love’s Hair) a Bob Marley (ben tre i brani, Jammin, Could You Be Loved e Is This Love) passando per Master Blaster di Stevie Wonder. Nessuno riesce più a rimanere seduto e, a dispetto di un inizio di concerto freddissimo e a tratti glaciale, lo show termina in festa, un vero tripudio, con una jam session che non sfigurerebbe nel miglior block party. L’ultimo brano in scaletta è Doo-Wop che chiude, dopo 120 minuti, le ostilità. Nonostante le premesse, ed un inizio non semplice, il concerto è stato grandioso: riuscito, intenso ed elettrico. Ma anche caotico, teso e a tratti davvero bizzarro. Una serata meravigliosamente imperfetta, destinata a rimanere impressa nelle menti dei presenti che, nonostante qualche capriccio di troppo e qualche indecifrabile sbavatura stilistica, si sono spellati le mani dal primo all’ultimo minuto. Difficile capire cosa sia passato nella mente della Hill in questi quasi 20 anni di oblio, per non parlare delle due ore di durata del suo concerto toscano: eppure, in alcuni piccoli e rarissimi momenti, i problemi della diva parevano momentaneamente dimenticati, messi da parte per dar spazio all’infinito, innegabile talento che – chissà – forse un giorno, tornerà a prendere la forma di un disco. E pensare che, nelle prime file, qualcuno addirittura giura di averla vista sorridere.

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