Live Report: Lambchop @ Barbican, Londra, 30/01/2015

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Di Stefania Ianne

A volte preferirei ignorare il significato di certe parole in inglese. È il caso di Lambchop, uno dei nomi meno lusinghieri nella storia musicale americana. Braciola di agnello: la traduzione ufficiale. Meglio tralasciare le traduzioni non ufficiali… Non conosco i Lambchop nonostante il loro successo enorme, soprattutto nel Regno Unito. E il concerto stasera è ufficialmente sold out. Ma all’ultimo minuto un paio di biglietti si rendono disponibili e me ne viene proposto uno. Mai dire di no a un concerto, la musica dal vivo crea emozioni impensate. E l’acustica al Barbican è eccezionale: mai dire di no a un concerto al Barbican di Londra.

I nostri posti sono vicinissimi ma all’estrema sinistra del palco, vicini alla porta che dà accesso al backstage, ben custodita da un addetto alla sicurezza. Non ci sono barriere tra gli artisti sul palco e il pubblico al Barbican. La disposizione degli strumenti sul palco non è ideale, anzi è esclusiva. Gli strumenti formano un semicerchio che restringe enormemente il campo visivo del pubblico organizzato come in un’arena: i musicisti sembrano pronti a suonare per sé stessi o per le posizioni centrali, quelle più costose. All’interno del cerchio creato per Lambchop, un secondo cerchio, ancora più ristretto, ancora meno visibile è pronto per accogliere la chitarra di Hebronix. Lo ricordo magrissimo in altri concerti con una marea di capelli rossi, lo ritrovo ancora più timido, capelli quasi rasati, nascosto dietro ai suoi occhiali enormi, coperto dagli altri strumenti insoliti che lo accompagnano: violoncello, violino, contrabasso e sassofono. Il preludio è brevissimo, o perlomeno sembra tale, le melodie alla voce e chitarra spesso annegate dalle distorsioni degli archi, reminiscenti delle urla strazianti di animali feriti, una balena che muore, l’immagine evocata nella mia mente. Il tutto non è male, solo inatteso e soprattutto pretenzioso, per un musicista che sembra aver provato tutto e il contrario di tutto nella sua intensissima carriera musicale. Il pubblico è incerto. L’applauso arriva solo alla conclusione. I musicisti scivolano via silenziosi alla fine della breve performance.

Nell’intervallo la preparazione degli strumenti per la performance integrale di Nixon, opera lanciata con successo nel 2000 e riproposta di recente dall’etichetta Merge Records, è velocissima. Kurt Wagner, presenza storica dei Lambchop, si presenta sul palco in persona per accordare le 2 chitarre allineate accanto allo sgabello che sarà la sua postazione per il concerto, al vertice destro del semicerchio. Un paio di appassionati riconosce la figura mascherata dal cappello da baseball che deambula casuale sul palco a raggiungere lo sgabello nero e ulula la propria approvazione a priori, a confermare la presenza di Wagner al timone. Dopo pochi istanti, finiti gli ultimi preparativi, la band vera e propria si presenta sul palco e si sistema nel semicerchio a partire dalla batteria al vertice sinistro, basso, chitarra, 2 set di tastiere, con in mezzo gli strumenti a fiato. Il piano acustico è posizionato nero nella semioscurità a tre quarti della semi-circonferenza, il gruppo è sbilanciato sulla sinistra, lo spazio vuoto sembra voluto per accomodare la personalità debordante di Wagner.

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L’inizio da copione con The Old Gold Shoe è in sordina, soffice, l’amplificazione è al minimo. I sette musicisti sul palco sembrano sussurrare le proprie parti. Mi chiedo se la chitarra di Wagner sia amplificata solo nei suoi monitor, talmente il suono è basso, praticamente inesistente. Anche la voce cantata sembra pizzicata, le parole incomprensibili, l’audio sembra raggiungerci a tratti, a scatti, le parole bloccate, come se il microfono non funzionasse bene. Guardo l’uomo incaricato del suono, barba e capelli lunghissimi bianchi da cowboy navigato, o navigatore esperto. È impassibile. Nessuno sul palco sembra preoccupato. È il suono ricercato, voluto, studiato. Grumpus continua smorzata. Sono ancora più perplessa. Sento il mio respiro, talmente la musica è ovattata. Eppure sono circondata da persone felici, quasi estasiate. La coppia seduta alla mia sinistra ha il sorriso stampato sulle labbra. “We love you”, urla la donna. Wagner risponde: “you are awfully sweet yourself”.

Wagner appare fin troppo sicuro di sé, compiaciuto al limite della presunzione. I musicisti continuano a trattenersi sui propri strumenti e le cose non migliorano con l’accattivante Up with People. il tastierista Tony Crow, incoraggia il pubblico a battere le mani, ma sinceramente non funziona. Il pubblico è soporifero quanto le canzoni in questa versione dal vivo. Ma i musicisti sembrano scaldarsi con il passare dei minuti loro malgrado o forse sono io ad adattarmi all’atmosfera da lounge bar, la musica in sottofondo. Mi manca solo un cocktail tra le mani e le risate delle conversazioni degli astanti. Siamo nel posto sbagliato. The Book I haven’t Heard, perde tutta la magia dell’originale nello spazio enorme del Barbican, ma il pubblico immagina il resto. È questo stato di beatitudine forzata che dà ai nervi. Le note gravi che introducono The Petrified Florist, sembrano eccitanti nella piattezza totale della performance. Con la conclusiva The Butcher Boy finalmente i musicisti sembrano aver trovato il passo, finalmente la presenza della chitarra eccelsa di William Tyler sembra avere un senso. Fino a questo momento il concerto sembrava un soundcheck e quando finalmente i musicisti sembrano pronti per lo spettacolo, siamo già alla fine?

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Sì, è fatta, il contratto è stato rispettato, adesso possiamo suonare un paio di cose che abbiamo voglia di suonare: sembra l’atteggiamento sul palco. Per iniziare Curtis Mayfield, parte una cover inattesa di Give Me Your Love, seguita da un paio di brani del repertorio passato dei Lambchop. Mentre io tra una canzone e l’altra cerco di ignorare le battute di cattivo gusto di Tony Crow, il pubblico ride educatamente. Wagner aveva promesso di evitare il teatrino dell’encore: l’uscita dal palco, gli applausi, il ritorno. E invece il rituale si ripete immancabile per una canzone soltanto, un’altra cover inusuale: David Bowie, Young Americans conclude la serata in chiave pop. Il pubblico di parte è soddisfatto. È musica per adulti, mi prende in giro il mio accompagnatore nel vedere la mia espressione perplessa. Forse…

Scaletta:

The Old Gold Shoe
Grumpus
You Masculine You
Up with People
Nashville Parent
What Else Could It be?
The Distance from Her to There
The Book I haven’t Read
The Petrified Florist
The Butcher Boy
Give Me Your Love (Curtis Mayfield cover)
My Face Your Ass
We Never Argue
Gone Tomorrow

Encore:

Young Americans (David Bowie cover)

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