Live Report: Tricky @ Hiroshima Mon Amour, Torino, 08/02/2015

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Di Domenico Mungo / Foto di Manuela Livorno

Adrian Thaws, nato a Bristol nel 1968 e noto come Tricky, è uno dei personaggi più noti della scena inglese degli ultimi 15 anni. Musicista, producer, attore e trendsetter, Tricky è il centro nevralgico della Bristol alternativa già dai primi anni ’90, grazie alle sue collaborazioni con il collettivo di musicisti che poi avrebbero formato i Massive Attack. Volenti o nolenti tutti lo conoscono, i suoi singoli di successo e la sua inimitabile immagine, ma il suo sound camaleontico cambia di continuo e i concerti sono fonte di innovazioni stilistiche e tecniche. I live di Tricky rappresentano il trait d’union tra la cultura dub, quella hip hop e post punk, in cui l’anima nera dell’artista si fonde con il melting pot culturale tipico delle grandi capitali internazionali.

A settembre Tricky ha pubblicato Adrian Thaws, nuovo album e vero nome dell’artista inglese. Dopo anni di schiavitù discografica per major e indie ingombranti Tricky è finalmente tornato ai fasti artistici del suo illustre passato. Il nuovo album ha il sapore oscuro di Pre-Millennium Tension e il gusto senza tempo di Maxinquaye, un ritorno inaspettato che lo vede collaborare con una nuova schiera di giovani artisti dell’underground inglese e americano. Sono passati oltre venti anni dall’esordio del bad boy di Bristol ma è rimasta l’originalità di una scena, un suono e un genere che lui stesso ha costruito, coniato e forgiato. False Idols e Adrian Thaws sono stati l’inizio di un suo nuovo periodo artistico, un ritorno a quando faceva musica con passione e non solo per pagare l’affitto. Ha ripreso a lavorare e creare come non faceva da anni, dai tempi dei suoi primi lavori con la Island Records. Entrambi i dischi (registrati pressoché contemporaneamente) sono stati definiti dalla critica un ritorno alla qualità degli esordi, i suoi migliori dischi degli ultimi dieci anni. Anche il pubblico italiano ha risposto bene accorrendo in massa ai concerti (storico il tutto esaurito al Forte Prenestino di Roma ad Aprile 2013) e acquistando i due album (entrati nella chart FIMI dei dischi più venduti nel nostro paese).

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Questo è quanto riportano le agenzie di stampa, le veline dei press office, i comunicati dei club e delle riviste specializzate. Ed infatti questa è storia. Riconosciamo tutti il ruolo fondamentale che Mr Thaws ha giocato nella musica elettronica contemporanea. La scena di Bristol, orfana del suo genio, non avrebbe forse nemmeno visto la luce. Tutti abbiamo viaggiato nello spazio cullandoci sulle melodie elettro-lisergiche dei Massive Attack e del suo guru. Questa è la ragione per la quale una gelida notte che si dispiega come un mantello di stelle buie sulla Torino periferica di Mirafiori Sud, diviene un happening al quale tutti vogliono partecipare. Hiroshima Mon Amour si staglia fra le luci artificiali che vincono il freddo la cui consistenza si assomma al buio dominante. Automobili si affrettano a riempire gli spazi vuoti lungo i marciapiedi e i loro carichi di carne si addensano alla biglietteria fino a quando il cartello SOLD OUT provoca uno sgomento collettivo che disperde anche i più accaniti. La sala è stracolma. Transgenerazionale il pubblico, canuti quarantenni nostalgici degli amplessi nei ’90 sottolineati dal crossoverare hip hop del Nostro, giovani elettrohipster vogliosi di confrontarsi con la leggenda, semplici avventori della musica di qualità, molti curiosi di vedere e sentire cosa si inventerà adesso Mr. Thaws.

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Aprono la serata due dj set autoctoni che si distinguono per la uniformità dei suoni proposti e per la capacità di scaldare l’atmosfera con garbo e senza essere invasivi. Un poco tediosi alla lunga, ma necessari alla liturgia che prepara l’avvento del Big. Ed è intorno alle undici che, puntuale, si apre lo show. Dell’album se ne dice un gran bene – in effetti è un coacervo di sonorità ben bilanciate fra di loro insieme alle consuete voci femminili che lo accompagnano e che vanno da Francesca Belmonte (già nel precedente False Idols) all’artista nigeriana Nneka, dalla cantante inglese Tirzah alla danese Oh Land e alla rapper Bella Gotti, Tricky passa dall’hip-hop di Gangster Chronicles alle atmosfere più cupe di I Had a Dream, dalle suggestioni blues a quelle reggae. Qui a Torino non riesco ad identificare chi sia la bella voce che di fatto sostituisce Tricky durante lo show, che sembra più che altro in karaoke: un batterista monotempo, un chitarrista maranza che devolve riffoni metalcore, niente basso.

Tricky si agita sullo sfondo, esorta il pubblico, si dimena, ma lascia quasi tutto il set alle acrobazie vocali della cantante intervenendo poco o mai e regalandoci un concerto francamente sciatto, omogeneo e che sa molto di beffa più che di evento epico. Un peccato. Non riesco a godere il flow e nemmeno provare i fatidici brividi sulla schiena che la memoria in alcuni casi dovrebbe donarci. Nulla. Mi annoio. Lo ammetto. Do atto all’organizzazione di aver creato un evento sold out, di aver riportato in Italia un’icona internazionale di un genere che sembra sempre sul punto di rivitalizzarsi, ma la noia a cui sono sottoposto questa sera mi suggerisce di abbandonare anzitempo la mia postazione e ritirarmi a più miti consigli sotto l’egida di ciò che rimane della Domenica Sportiva. Peccato, perché le precedenti esibizioni del Nostro mi avevano scioccato per le atmosfere e la capacità catartica di catalizzare occhi, orecchie e membra all’unisono. Stasera tutto questo si è dissolto nel nulla.

Redazione Rumore
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