Editoriale 275: Riportando tutto a casa

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di Rossano Lo Mele

Il 2014 non era cominciato benissimo dal punto di vista editoriale. Ricordo ancora minuto per minuto la telefonata che mi annunciava il famoso pasticciaccio della doppia copertina di febbraio (St. Vincent, noi e un nostro competitor, come si usa dire nel marketing) con conseguente profluvio online di polemiche, dotti interventi, io si che saprei, buffi fotomontaggi e così via. Di piccoli battibecchi, sfottò a distanza e considerazioni varie è zeppo ogni ambiente lavorativo. E ci mancherebbe altro. Questo non fa esclusioni. Col fatto che ho cominciato a scrivere da sbarbo, erano ancora gli anni 90, questo condominio ormai lo conosco bene. Le frizioni (meglio chiamarle col loro nome: guerre fra poveri) sono alla base della stampa (musicale, ma il resto non scherza). Di più: i social media hanno amplificato tutto. Non esiste riservatezza, non esiste segretezza. C’è questo mito della trasparenza assoluta google californiana verso cui dovremmo tutti tendere, ma siamo in Italia, figurarsi. E comunque: in questo ambiente siamo così pochi e le frizioni storiche così consolidate (giornali che nascevano e morivano dagli stessi gruppi di persone) che sin dal principio mi domandavo: ma è proprio necessario comportarsi così? Dileggiare sempre il vicino? Ed esattamente qual è lo scopo? Cosa si ottiene? Sono abbonato a tantissimi giornali assai simili tra di loro. Mi interessa cosa hanno da raccontare, i temi e gli sviluppi. Poi se uno si trucca, è alto un metro e 40, ha il tupè oppure le corna, diciamo che non sta nel perimetro di ciò che mi appassiona. E mi sono sempre ripromesso di non scendere a polemiche, di non replicare, di evitare. Cosa che continuerò a fare. Anche perché, già detto sopra, i social media ingigantiscono qualsiasi briciola. E a sfarinare l’anima sono poi sempre gli stessi.

Così il mese scorso è successo un altro mezzo casino. Ma l’ho combinato proprio io, stavolta. Il movente ci stava, ne resto tuttora convinto. Ossia un articolo pubblicato su “Repubblica” scritto, diciamo, senza troppa accuratezza. Ma nel fare ciò ho messo in croce e in pubblica piazza il suo autore. Che non lo merita. Che non può incarnare la pietra di alcuno scandalo. A tutti è capitato o può capitare – in particolari condizioni di fretta lavorativa, magari con un titolo sibillino che modifica o accentua il significato dell’articolo – di scrivere qualcosa che non fosse perfettamente a fuoco. Di articoli così ne escono ogni giorno a bizzeffe. Non è bello, ma accade. A tutti quelli che svolgono questa simil professione. Non è però bello o corretto che il collaboratore esterno Davide Agazzi (questo il nome del giornalista, solo omonimo del nostro) sia stato usato come simbolo della decadenza della professione.

Quando accadono queste cose – si punta il dito contro qualcuno, come ho fatto io un mese fa – il petto e la casella postale si riempiono di orgoglio. Ho ricevuto molti messaggi privati di apprezzamento, il mio editoriale è tuttora uno dei pezzi più letti di tutto il nostro sito (rumoremag.com). Ma c’è anche l’altro lato della medaglia: semplici curiosi e amici delle persone coinvolte nel pezzo che hanno cominciato a scrivere (e poi a cancellare, ma questo è un altro discorso) commenti al veleno, nei confronti di tutti. Una persona (Agazzi) messo in croce per nulla o quasi. L’interessato per ottenere diritto di replica ha steso un lungo intervento su facebook: scrivendo alcune cattiverie personali – infondate e irrispettose nei miei riguardi – ma anche una serie di cose corrette. Molto corrette. Ossia: perché tutto questo? E ho pensato al me stesso post adolescente che cominciava questa professione e che alla seconda battuta fra adulti su ex colleghi, rivali, nemici, competitor etc. sprofondava in un tombino di tristezza. Perché?

Già, perché tutto questo? Davide come voi tutti lettori, avete diritto ad altro. A un certo punto è subentrata l’idea che il particolare narrativo dovesse vincere sull’universale. Ottima trovata, ci ha donato grandi opere, dai debutti de I Cani a Le Luci Della Centrale Elettrica in giù. Ma che succede invece se quel particolare diventa solo un dito nell’occhio? Presa per il culo. Ridicolizzare chi ti sta vicino solo per mostrarti più intelligente? Succede che si passa dal dibattito al gossip. Ciò di cui le bacheche sono piene. I litigi fra sconosciuti o, peggio, fra colleghi. Alla larga. Dove ciò di cui si dovrebbe discutere scompare subito dall’orizzonte e aumenta solo il tasso di testosterone finché qualcuno non si scoccia prima, mentre gli altri si sono goduti il solito spettacolino a base di melma e merda. Finito quello ce ne sarà un altro. No, non è quello che ci interessa. Qui ci sarà sempre spazio per il dibattito – magari feroce – ma non deve esserci invece per i rubinetti aperti che scorrono riempiendo lavandini di particolari confinanti col pettegolezzo. Come ho fatto io un mese fa, sbagliando. Perché c’è sempre altro di cui parlare. E dovevo pensarci prima, invece di entrare a gamba tesa in quel modo. Troppo comodo e facile prendere qualcosa a portata di mano e metterlo sotto la lente d’ingrandimento, dileggiandolo. Così facendo non solo non si risolve alcun problema, ma si sta alla larga da ciò di cui si dovrebbe discutere davvero (uh se ne avremmo di argomenti “alti”). Per questo ritengo di aver sbagliato nell’intervento di un mese fa e chiedo scusa: ai coinvolti nell’articolo (la band denominata Circle, oltre ad Agazzi), ma pure a chi firma e a chi legge “Rumore”.

C’è sempre un universale a cui puntare, a cui dobbiamo guardare, per non restare impantanati solo nel qui e ora del condominio. Che è anche interessante. Ma i residenti sono sempre gli stessi. Ce ne vuole di tempo prima di finire come i due vecchietti bofonchianti del Muppet Show: tuttavia, a forza di ridere di loro si rischia di trasformarsi, in loro.

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