Intervista: Lili Refrain

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lili refrain 2

di Francesco Bommartini

Progetto che scava nell’oscurità quello di Lili Refrain. Circondandosene ancor di più, rendendo i contorni più ambigui, e per questo affascinanti. La sua opera Kawax è cerebrale e celebrante, senza un fondo definito. Vi è arrivata dopo 7 anni di sforzi e due dischi: un omonimo del 2007 e “9” del 2010. Lili infatti esiste dal 2007, da quando cioè l’artista romana ha iniziato a fondere psichedelia e ambient con distorsioni lancinanti ed orchestrazioni eteree. Sfumature che porta live, ovunque. Anche Rumore aveva partecipato ad una di queste sue performance, scrivendone: “ho avuto l’occasione di sentire Lili dal vivo: l’esperienza è stata uno di quegli shok audiopsicoculturali che tanto mi piace segnalare”.

Ecco una chiacchierata per scoprire chi si cela dietro, e dentro, Lili Refrain…

kawax

Kawax è un disco molto scuro ed altrettanto epico. Che cosa vuoi celebrare esattamente?

“In questo disco si celebra la luce che rinasce dall’ombra, il moto delle viscere, le tempeste dell’animo. E’ un viaggio cardiaco attraverso il buio. Kawax celebra la perenne trasformazione che questo percorso comporta. E’ un esorcismo, un requiem, una rinascita”.

Sovente ti esibisci in solitaria. Cosa comporta questo tipo di approccio a livello pratico? Mi riferisco ai pre e post concerti ed agli spostamenti che affronti.

“Per quanto riguarda gli spostamenti pratici significa che mi porto dietro 50 kili di pesi composti da chitarre, pedali, cavi e dischi che mi trascino dietro ad ogni viaggio in treno, ed ogni volta che mi trovo a salire o scendere kilometri di scale penso spesso al perché non abbia scelto di suonare un ukulele!

Ma è una dolcissima croce che mi porto dietro davvero molto volentieri!

Anche dal punto di vista logistico gestisco ogni cosa da sola: ricerca delle date, tragitti per arrivarci, montaggio del set, presentazione del live, cura del banchetto del merch, infinite chiacchierate con il pubblico, smontaggio del palco e ricerca di un posto dove dormire prima del nuovo treno da prendere.

Credo di aver forgiato moltissimo il mio carattere in questi ultimi sette anni di live, ho imparato tante cose, ho conosciuto una quantità di persone incredibili e condiviso con loro soddisfazioni, gioie e dolori.

Ogni viaggio è una prova continua e non nego che alcune volte possa essere un po’ stressante a livello fisco/energetico, ma continuo ad essere mossa dal mastodontico amore che nutro nei confronti di ciò che faccio e questo mi entusiasma ogni volta come fosse la prima”.

 Qual è il tuo set-up in concerto? Quali sono gli effetti che utilizzi maggiormente e come li disponi?

“Ho due chitarre, un microfono, due loop station, due delay, due distorsori, un accordatore e un piccolo mixer. Uso la stessa catena di effetti sia per le chitarre che per le voci sfruttando la doppia entrata di una delle due loop station, ed esco con ogni cosa da uno o due amplificatori per chitarra. La disposizione è:

AMPLI – LOOPSTATION1 – LOOPSTATION2- DELAYVOCE – MIXER – MICROFONO VOCE – DELAY CHIT – DIST1 – DIST2 – ACCORDATORE CHITARRA

Essendo un progetto basato sulla stratificazione sonora e non usando alcun tipo di computer o base preregistrata ma facendo tutto in tempo reale, gli effetti più utilizzati sono le loop station”.

Quanto conta l’aspetto estetico nella tua proposta? Sia la copertina del disco che il tuo look sono curati…

“Grazie!

La copertina del disco è opera di un’artista argentina che vive da anni a Roma e della quale ho sempre amato molto il lavoro, si tratta di Fernanda Veron che ha interpretato con il suo magistrale tratto le miei visioni musicali.

Devo a lei l’estetica del disco, che non si esaurisce alla copertina ma si sviluppa anche all’interno con dieci magnifiche illustrazioni, una per ogni brano dell’album.

Riguardo al mio look, mi piace celebrare i live come dei grandi rituali ed esattamente come uno sciamano ho bisogno di assumere una “maschera” e usare dei simboli, sia per separarmi dal mio ordinario e sia per poter affrontare tutte le energie che si sprigionano in quel momento e che collegano tutti i presenti. Il live è un evento straordinario e il musicista è il “ponte” tra ciò che succederà in quel momento e ciò che passerà al pubblico, non è scontato che questo “collegamento” si generi sempre durante un concerto, ma quando accade è qualcosa di incredibilmente potente”.

lili refrain 1

Il tuo disco è stato pubblicato da Subsound e Sangue Dischi: puoi parlarci di queste realtà e di come sei venuta a contatto con loro? 

“Davide della Subsound l’ho sempre stimato moltissimo, ho sempre seguito tutte le sue uscite apprezzandone la scelta qualitativa e il grande lavoro promozionale e da tempo mi sarebbe piaciuto collaborare con lui. Non appena ho avuto il disco pronto è stata la primissima persona che ho contattato e la sua approvazione è stata una vera festa! Luca di Sangue Dischi lo conosco da molto più tempo, si è suonato spesso insieme e ho anche collaborato nei due album dei Marnero, dove suona la batteria. Era da un bel po’ che mi proponeva di fare una release insieme e non avendo mai stampato vinili fino a questo terzo album, ne ho approfittato per coronare anche questo desiderio. Sono due persone che amano profondamente ciò che fanno e mi ci sto trovando straordinariamente bene”.

Quali sono i tuoi punti di riferimento, musicali e non, per quello che fai? 

“Quello che esprimo attraverso la mia musica è strettamente autobiografico, il mio stimolo principale è la necessità di tradurre ciò che mi scuote maggiormente a livello emotivo. Quasi sempre si tratta di esorcismi legati a qualcosa che non riesco a gestire internamente ed ho bisogno di catapultare fuori da me, sublimandone gli effetti. Musicalmente mi porto dietro tutto il bagaglio di ascolti legati al metal, alla psichedelia, al blues, alla musica classica e contemporanea”.

C’è qualcuno che ti somiglia in Italia? A livello umano intrattieni rapporti particolari con alcuni artisti?

“In Italia ci sono parecchi progetti solisti, quelli che conosco di più sono spesso legati al noise e alla sperimentazione ma a livello strettamente musicale credo di essere un caso abbastanza isolato o almeno non mi è ancora capitato di ascoltare qualcuno che mi somigli. A livello umano frequento ambienti musicali da quando ero un’adolescente, i miei più cari amici sono quasi tutti musicisti, poi suonando molto in giro la cerchia si è ampliata notevolmente. Ho amici meravigliosi sparsi un po’ nell’ovunque e con i quali ritrovarsi a condividere il palco o semplicemente a farsi una bella mangiata è sempre un gran piacere.

Quando sono a Roma, che nonostante sia la città dove vivo è anche quella dove passo meno tempo di tutte, mi capita di frequentare ambienti dove si incontrano tutti i vari amici legati sopratutto alla scena underground.

L’Hombrelobo Studio in primis, fucina indiscussa della scena musicale più interessante d’Italia.

Si tratta dello studio di registrazione dove ho prodotto ogni mio disco con il fonico e produttore Valerio Fisik, anche chitarrista degli Inferno Sci-Fi Grind’n’Roll, con i quali sono partita in tour due anni fa e che ho coinvolto in uno dei brani di Kawax insieme a Valerio Diamanti (Dispo) e Nicola Manzan (Bologna Violenta) che sono gli altri musicisti che collaborano nel disco”.

Il tuo disco è uscito a novembre. Sei a conoscenza delle vendite che ha effettuato?

“Non ne ho idea, ma so che sta andando davvero molto bene!”.

Ci sono ancora soddisfazioni a suonare in Italia nel 2014?

“Per quel che mi riguarda si.

Forse proprio perché vivo in un paese che fa di tutto per eliminare qualsiasi stimolo culturale contemporaneo che suonare diventa qualcosa di vitale e necessario. E’ quasi un’azione di guerriglia dichiarata nei confronti di chi eroga leggi complici della morte di tutti quei luoghi dove è possibile diffondere cultura e libera espressione. E’ una questione di sopravvivenza e di resistenza. Sopratutto nel sottobosco chiamato “underground” c’è uno strepitoso movimento fatto di gente che si da un gran da fare per riprendersi gli spazi e crearci qualcosa di bello…è un po’ come la storia del Polyphylla Fullo che mi piace raccontare durante i miei live: si tratta di un coleottero che invece di nutrirsi dello sterco degli altri animali e vivere sotto terra come gli altri stercorari, va a vivere sugli alberi nutrendosi unicamente di aghi di pino. Essendo gli alberi patria di ogni insettivoro, rischia di essere continuamente predato, eppure continua a restare lì…. forse perché preferisce mettere a repentaglio la sua vita piuttosto che mangiare merda!

Non è una scelta facile, ma quando ci si riesce direi che è parecchio soddisfacente”.

Redazione Rumore
Redazione Rumorehttps://rumoremag.com
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