Nel mondo stupido e normale degli Yo La Tengo

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Stefania Ianne ci racconta il concerto a Manchester degli Yo La Tengo, freschi di pubblicazione del nuovo album This Stupid World

RUMORE COVER FB NATALE 2023

di Stefania Ianne

Giornata grigissima nella migliore tradizione di Manchester. Raggiungo la New Century nel centro di una città irriconoscibile, demolita e ricostruita in ogni dove per dare alloggio alla più grande popolazione studentesca europea, a piedi nella pioggia, mi sento come se avessi attraversato la città a nuoto. Un’e-mail dal locale mi aveva annunciato l’inizio degli Yo La Tengo alle 9, ma, come sempre, mi piace ascoltare anche chi apre per le band in programma e arrivo in largo anticipo. I set degli YLT sono sempre più lunghi della media, il concerto precedente a Dublino è durato più di 2 ore e mezza. E infatti l’attesa dura pochissimo. Pochi minuti e vedo i vari roadie preparare tutto con cura, mi sorprendo, di solito gli asciugami e le bevande le aggiungono solo per gli headliner, non per gli sfigati che aprono il concerto nell’indifferenza generale.

Ma questa volta non c’è nessuno in apertura. Sono proprio loro, i tre storici componenti del gruppo a fare l’ingresso sul palco. Si avvicinano ai loro strumenti senza nessuna pretesa, tre persone normalissime, in jeans e maglietta e scarpe da tennis. L’attacco è feroce con Sinatra Drive Breakdown, annegata in un mare di feedback ma l’assalto sonoro dura poco e i tre musicisti procedono con una serie di canzoni del loro enorme repertorio dal tono più quieto. I tre si alternano agli strumenti e alla voce, in un balletto coordinato, con grazia e serenità. Spesso Ira Kaplan alla chitarra nei lineamenti mi ricorda Bob Dylan adesso che ormai ha superato i 60 anni. Ma l’energia che trasmette è la stessa di sempre. Suonano molti estratti dall’ultimo disco, This Stupid World, Ira ci dice: “potrebbe essere il nostro quarto disco o il nostro settantesimo, abbiamo perso il conto”. Canta spesso con gli occhi chiusi, completamente perso nella musica, e a volte sorseggia da un tumbler posizionato accanto ai pedali (un’altra sorpresa in un mondo musicale ormai popolato da bevitori d’acqua). I tre musicisti sono affiatatissimi. James McNew, soprattutto al basso, è una presenza monumentale, costante, sorniona. Georgia Hubley, soprattutto alla batteria e alla voce, compagna musicale e nella vita di Kaplan, sembra sempre una ragazzina e quando abbandona la batteria per raggiungere il microfono centrale del palco ci guarda divertita. Gli YLT non sono un gruppo spettacolare, non sono interessati agli effetti speciali, lasciano parlare la musica, le astrazioni di luci alle loro spalle sono un default del locale, cosi come le migliaia di lampadine sul soffitto che si alternano con effetto arcobaleno. Sul palco sono solo loro, con la voglia di fare musica che piace a loro, con la totale libertà creativa che si sono guadagnati con decenni di lavoro solido. Sono solo loro  e non ci sono musicisti che li possano sostituire – “se ci prendiamo il covid, è la fine del tour”, dice Kaplan ai microfoni di KEXP, mitica emittente radiofonica di Seattle. Non sono come la E-Street band, con 3 musicisti positivi, facilmente sostituiti. Sono solo in 3, ma il risultato è magico. Come durante tutta la loro lunghissima carriera, ti crescono addosso, la musica ti conquista lentamente e gli spettatori solo raramente tirano fuori il telefonino per documentare questa serata.

Come raccontare la loro attitudine rispetto al circo musicale? Direi per chi non lo ha visto ancora di tirare fuori il video di Sugarcube in cui storicamente hanno preso in giro tutti gli stereotipi del mondo del rock con Bob Odenkirk, il mitico avvocato corrotto di Breaking Bad e Better Call Saul, in costume quasi irriconoscibile nella parte dell’insegnante che li vuole tramutare in dei del rock. Molto divertente. La prima parte più calma del concerto, con una bellissima versione di The Point of It, lascia spazio a una seconda parte incandescente, a volumi pazzeschi, con quantità indicibile di feedback. Ascoltiamo ipnotizzati questo attacco sonoro. La cosa meravigliosa di un concerto dei YLT è che non suonano le solite 10 canzoni per tutto il tour, ne preparano un sacco e i loro non sono mai concerti ripetitivi. Mai. La scelta casuale di Manchester invece della scontata Londra, si rivela molto ispirata soprattutto per la lunghissima The Story of Yo La Tango, una versione magica a seguire un’altra canzone magica Ohm quando Kaplan rispetta la tradizione e scende dal palco, alle prime file viene data la possibilità di suonare la sua chitarra, o perlomeno di toccarla e di sentire le vibrazioni del feedback. Il concerto finisce con 3 cover, anche qui la scelta è molto ispirata con un omaggio a Tom Verlaine dei Television, venuto a mancare da poco, e alla defunta autrice inglese Sandy Denny, parte dei Fairport Convention e che tra l’altro ha prestato la voce al classico dei Led Zeppelin, The Battle of Evermore, in un duetto da brivido con Robert Plant. E le ultime note sono da brivido, con il fantasma di Daniel Johnston sul palco a intonare la tenerissima Speeding Motorcycle con lo sguardo di Kaplan a cercare la sua compagna di avventure al centro del palco. Fuori la pioggia continua e il feedback nella mia testa mi accompagna nel viaggio di ritorno insieme alle note accattivanti e ossessive di Speeding Motorcycle che ancora risuonano nel mio cervello mentre scrivo queste note.

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