Le Guess Who? 2021: i 10 artisti da non perdere

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Dopo un anno di stop a causa della pandemia, a novembre torna a Utrecht il festival Le Guess Who?

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di Andrea Pomini

È ufficiale: dopo l’anno di stop causa pandemia torna Le Guess Who?, uno dei festival più interessanti e coraggiosi dell’intero panorama mondiale, e lo fa annunciando come ormai tradizione una line-up ampia ed eterogenea. Un compendio di quasi tutto quanto sta succedendo di rilevante al momento fra avanguardia, elettronica, jazz, rock non convenzionale e suoni periferici, nato nel 2007 come piccola rassegna di artisti esclusivamente canadesi, e diventato anno dopo anno l’appuntamento principale per chi in Europa segue questi suoni.

Un programma principale enorme, uno spin-off affascinante come Hidden Musics, cinque rassegne curate da nomi di spicco dell’underground (quest’anno tocca a John Dwyer, Matana Roberts, Phil Elverum, Lucrecia Dalt e Midori Takada), altri appuntamenti gestiti da piccole etichette indipendenti (Nyege Nyege Tapes, La Vida Es Un Mus, Knekelhuls, Tia Maria) o festival concidttadini (Uncloud): ci sarà da perdersi nel centro di Utrecht (Paesi Bassi) dall’11 al 14 novembre. Proprio per questo, abbiamo estratto dal mazzo con gran fatica dieci nomi da non mancare. Qua sotto la selezione, mentre a questo link trovate la line up completa.



Arooj Aftab


“Se nel 1990 Musst Musst del pakistano Nusrat Fateh Ali Khan ambiva a un dialogo fra oriente e occidente (illuminato), Vulture Prince è moderno esperanto per accogliere entrambi in un abbraccio”, scrivevamo sul nostro numero di giugno dichiarando il nuovo album della compositrice e cantante pakistana disco del mese. Un viaggio pacifico fra poesia tradizionale dell’Asia meridionale e cantautorato nordamericano, minimalismo e musica classica indo-pakistana, ritmi jazz e malinconia tranquilla che avvolge.

Blak Saagan


Samuele Gottardello non è l’unico italiano in cartellone a Le Guess Who?, ci sono anche gli OvO, che conosciamo e apprezziamo da anni, e che consigliamo ugualmente. Il compositore e produttore veneto, però, è un (quasi) debuttante, e ha firmato con il doppio Se ci fosse la luce sarebbe bellissimo uno degli album più intriganti dell’anno (e nostro disco del mese italiano di giugno). Un concept dedicato al sequestro Moro, sonorizzato da un’ipotesi di library music italiana molto personale, in cui oltre ai grandi del genere convergono anche kraut rock elettronico e sperimentazione, minimal wave e gelide atmosfere carpenteriane.


William Basinski


Ci sono anche i Faust che rifanno per intero Faust IV, il loro capolavoro del 1973 aperto dai 12 minuti tondi di Krautrock, e seppure della formazione che lo registrò sia annunciato il solo Jean-Hervé Péron, l’idea è stuzzicante. Ma se della serie “artista che suona un suo album famoso dall’inizio alla fine” dobbiamo scegliere un solo nome, vince al fotofinish William Basinski. Che propone il suo ultimo album Lamentations, stupendo ritorno alle modalità dei leggendari Disintegration Loops: vecchi nastri ripescati dagli archivi e usati per creare un suono ambient tanto scuro quanto delicato, nostalgico. Calore umano nella desolazione.


Damon Locks Black Monument Ensemble

Viva International Anthem! Nel programma ci sono anche i compagni di etichetta Irreversible Entanglements, appena usciti con l’eccellente terzo album Open The Gates, e la favolosa Angel Bat Dawid, lei stessa parte dell’Ensemble. Ma gli uni e l’altra in Europa li abbiamo già visti: per il collettivo afro-futurista di Damon Locks è invece una prima assoluta, e l’attesa è tanta. Sia che vengano al completo con coro e balletto, sia che si imbarchino in versione ridotta, il loro mix di jazz spirituale, gospel, ritmi hip hop e impegno è uno dei suoni del 2021.


Meril Wubslin

Una band che riassume una ventina d’anni di underground svizzero di qualità, versante post-rock: il chitarrista Christian Garcia-Gaucher suonava nei Velma, la chitarrista Valérie Niederoest e il batterista Jérémie Conne nei Toboggan. Insieme, i tre completano con il recente terzo album Alors Quoi un percorso di scarnificazione e abbassamento dei toni, arrivando a due chitarre non amplificate, due voci e minime percussioni. Le loro canzoni sono cantilene meditative e intime, ripetitive ma aperte nella struttura, rimandando ai Velvet Underground e al folk.


Pa Salieu


Ventiquattrenne di Coventry con origini nel Gambia, dove ha vissuto fino all’età di otto anni con i nonni e la zia cantante folk, Pa Salieu è qualcosa di più del capofila di una nuovissima generazione di rapper britannici. La sua storia, giovane ma già inesorabilmente intrecciata con il razzismo sistemico ancora non risolto del Regno Unito, brucia in singoli pigliatutto come Frontline, My Family, Block Boy, Energy e Glidin, nell’album Send Them Back To Coventry o nel recentissimo EP Afrikan Rebel. Insieme all’influsso degli afrobeats contemporanei e dell’onnipresnete dancehall. Sempre in tema, occhio anche al quasi esordiente londinese Wu-Lu.


Scotch Rolex ft. MC Yallah & Lord Spikeheart

Un giapponese a Kampala. Il veterano Shigeru Ishihara trova nella scena rap/elettronica della capitale ugandese le voci adatte per i suoi beat industrial fra dancehall, trap, breakcore e attitudine metal. Nel suo album Tewari spiccano proprio l’urlo ai confini del grind di Lord Spikeheart (anche mebro dei Duma) e il flow swahili preciso e urgente della bravissima MC Yallah. Se anche voi considerate il giro in questione come una delle cose più fresche in giro al momento, non perdete anche Nyege Nyege Tapes present Hakuna Kulala Club Night, con Authentically Plastic, Turkana, Menzi, Diaki e Marcelle/Another Nice Mess.


Space Afrika

Il nome del momento, o poco ci manca. Dalla notte di Manchester, Joshua Inyang e Joshua Tarelle (quest’ultimo ora di base a Berlino) sintetizzano l’esperienza e l’umore black british in modo personale e toccante. Con radici fra dub e techno, i due compiono un triplo salto in avanti con il recente album Honest Labour: i contorni si fanno sfumati, le forme astratte, lo sguardo poetico, il suono sognante e indefinibile. Un ennesimo, emozionante capitolo aggiunto alla storia senza fine del continuum hardcore.

Subhumans

Il colpo di genio di John Dwyer, che per il programma da lui curato convoca nientemeno che Dick Lucas e soci, leggende dell’anarco-punk britannico. Attivi fra il 1980 e il 1985, quindi sparsi fra i meno apertamente politici Citizen Fish e i più giamaicani Culture Shock, quindi riformatisi defintiivamente nel 2004, i Subhumans hanno rirpeso da dove erano rimasti, e spingono ancora come ai vecchi tempi, se non di più. Sarà curioso vederne l’effetto sulle frange più snob del pubblico del festival, anche se l’assenza causa restrizioni di pogo e derivati potrebbe pesare.

Taqbir

Esistono davvero, dunque. Quintetto misterioso a dir poco, tutto o in parte marocchino, guidato da una cantante originaria di Tangeri che urla in darija (varietà locale della lingua araba) su brevi e grezze fiammate punk/hardcore, i Taqbir sono apparsi dal nulla nel febbario di quest’anno. Sulla copertina del loro unico singolo c’è il disegno di una palla da demolizione che distrugge la Kaaba della Mecca, per dire della portata iconoclasta e diretta del progetto, e i testi ribadiscono il concetto fra chitarre sature e ritmi tirati. Potrebbero rivelarsi una pura curiosità o una chicca, ma vanno visti comunque.

Redazione Rumore
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