Editoriale 327: Dimentica il mio nome

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Di Rossano Lo Mele

Sono in partenza e sto cercando una stanza per spezzare a metà un lungo viaggio in auto. Una ricerca online che potrebbe (dovrebbe) durare pochi minuti si ramifica per ore, di sito in sito, di pop up in promozione, da e-mail personalizzata a consiglio sponsorizzato. Non riesco naturalmente a resistere alla pornografia dei giudizi, delle stellette, delle opinioni, dei pro e dei contro, dei battibecchi tra cliente ed esercente. Il peggio dell’umanità che viene a galla (ogni tanto anche il meglio, va precisato). Cosa scegliere? Tripadvisor ci ha cambiato la vita, o almeno la sua percezione. Mezza stelletta in più generata da un giudizio di un polemico o attentissimo utente, significherà davvero qualcosa? Che ripercussioni avrà sulla mia vita? Sul mio soggiorno o sull’acquisto di uno spazzolino da denti?

Allora ripenso a quel caso di quel chirurgo plastico di Roma. Comparendo quattro recensioni negative sul suo profilo professionale schedato su Google My Business ha pensato di operare come fa nella vita di tutti i giorni: un ritocchino. Ha così fatto causa a Google affinché rimuovesse se non la scheda, almeno i commenti negativi. Tuttavia: la diciottesima sezione civile del Tribunale di Roma ha respinto la sua richiesta e l’ha condannato in primo grado al pagamento delle spese legali. False o meno che siano certe recensioni, ci si mette in tasca questa decisione finale: chi offre un servizio al pubblico deve accettare le critiche. Il diritto alla modifica dei giudizi (o all’oblio) vale per il singolo cittadino, non per un negozio o un imprenditore.

Accettare le critiche. Che bella frase, senti come suona rotonda, senza possibilità di replica. Una volta c’erano le stroncature. Ma stavano sui giornali, magari il critico odiava l’artista di turno e lo stroncava. O magari non lo convinceva davvero quella determinata opera. L’artista s’infilava in rassegna stampa la stroncatura, a sua volta avrebbe odiato il recensore, ma a noi non sarebbe arrivato il feedback malmostoso della polemica. Finiva lì, battute tra chi sapeva, magari una telefonata. Un mondo probabilmente ipocrita, sicuramente anziano, ma indubbiamente meno cafonal. Le recensioni finivano sui giornali e – rubando una bella immagine ideata da Sergio Messina in una qualche sua rubrica di tanti anni fa – l’indomani la carta la si usava per impacchettare le uova. Ma oggi non è più così: oggi tutto esce online. Servizio pubblico, non c’è diritto all’oblio. Non fa schifo solo l’hotel, ma anche il disco o l’opera di quel determinato artista. E farà schifo per sempre, rimarrà sempre lì. La polemica s’infuoca. Nessun artista vuole essere attaccato, risponde, insulta, minaccia, querela, ed eccoci sbarcati in quell’universo di sangue e merda quotidiano. Nessuna cavalleria. Per dire: nelle settimane passate è uscito per Einaudi l’ultimo romanzo di Marco Missiroli: Fedeltà. Missiroli è autore solido benché ancora giovane, romanziere già attivo da anni, charmant, quest’anno candidato numero uno al Premio Strega. Sarà che normalmente collabora col “Corriere Della Sera”, sarà che il romanzo nuovo non è piaciuto per niente al recensore affidatario di “Repubblica”, sta di fatto che su Fedeltà è piovuta una stroncatura senza appello sul quotidiano in questione. Magari c’è qualcosa dietro, magari no. Il recensore (Filippo La Porta, ok, uno non proprio da villaggio vacanze con animazione) ha smontato il libro pezzo per pezzo. In modo urticante: la scrittura definita “scolastica vernice”, libro per “lettori non inclini a resistere alle tentazioni e ansiosi di ricucire subito ogni cicatrice”. Come volete che ci sia rimasto Missiroli? Non benissimo, c’è da immaginare, ma il suo libro è un bestseller, forse ingollerà premio e amaro Strega e, soprattutto, la recensione era su carta. Dove l’oblio non è un sacrosanto diritto, ma diviene un obbligo. Oggi ci sei, domani vieni sostituito da altro (pezzo di carta). In rete la polemica non s’è accesa e Missiroli non ha flesso mezzo muscolo né creato stories su Instagram. Bravo Marco. A prescindere dalla qualità del romanzo.

Insomma, il dritto alla dimenticanza è uno dei segni di questi anni. Ma il mezzo è in grado di garantirlo o meno. Se vi stroncano online siete finiti, rimarrà traccia per sempre. Sevizio pubblico. Come il chirurgo. Un po’ inquietante, forse. In compenso una cosa non è cambiata nel passaggio da carta a digitale: gli strafalcioni. L’articolo di “Repubblica” (27/2/2019) da cui ho recuperato la storia del chirurgo intitolava così: “Una recensione è per sempre: il ristorante non ha diritto all’oblio”. In tutto l’articolo non si fa riferimento a nessun ristorante, ma solo alla vicenda del chirurgo. A forza di scrivere mi sono distratto e ho perso la camera. Mi butterò su quest’altro hotel: un utente dichiara entusiasta che al posto di una semplice stanza gli hanno dato una suite. Senza sovrapprezzo, scrive. Nessun diritto all’oblio (Live Forever preconizzavano del resto gli Oasis) e senza sovrappeso: ma costa stiamo aspettando? 

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