Intervista ai Subsonica: “La battaglia dell’Europa è una battaglia culturale”

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di Elena Rebecca Odelli

I Subsonica sono quello che a ben vedere può esser definito un collettivo musicale più che una band, portatori da sempre di un’idea di musica che va anche a mettere in scena le storture della contemporaneità. Ogni parola è stata sempre meticolosamente processata senza tuttavia sembrare un lavoro di stile più che di concetto. Ha fatto effetto la scelta di una cifra, 8, come titolo del loro ottavo album in studio. Un simbolo perfetto che emula l’infinito, capendo che nulla ancora una volta è stato lasciato al caso. La band torinese, con due decenni di vita all’attivo, avrebbe potuto cadere anche nella retorica del capitolo chiuso e inizio di una nuova età musicale, soprattutto alla luce di quanto avvenuto negli scorsi anni e delle direzioni apparentemente opposte prese da ogni singolo membro. Eppure, i Subsonica hanno aggirato l’ostacolo nel modo più semplice, giocando sulla continuità. Un continuum fatto di attenzione verso il mondo che li circonda. Così se già nel 2007 furono precursori dei tempi che sarebbero stati, non lesinano anche oggi tale attenzione. Così, per festeggiare la ritrovata unione, hanno deciso di partire per l’Europa per poi tornare in tour in Italia nel 2019, lasciando tra le “rapide” del loro sito tale augurio “Che per voi i confini non siano altro che un perimetro in grado di differenziarvi dal resto del mondo. E chiudendo con una frase degna di una concorrente di Miss Italia da fondo classifica: che la musica vi aiuti sempre a spostarli più in là, quei confini. Se poi sarà la nostra, meglio ancora”. Dando importanza, ancora una volta alla parola, appunto, ma anche a ciò che ci circonda. Un ritorno italiano tra i palazzetti, atteso dai fan di vecchia data ma anche dalle nuove leve. Così se i club ponevano attenzione sul tornare al suonare insieme dopo anni, quello che si vedrà da febbraio sarà un palco molto destrutturato, cinque inserti e per i visual si sono avvalsi della collaborazione di Donato Sansone e Marino Capitano, grafico di 8. Sarà molto curato.

Siete partiti dall’Europa per tornare poi in Italia. Cosa avete capito di questa Europa?

“Che c’è una percezione dei confini completamente diversa, come se ci fosse una sorta di cortina smossa. Il pubblico che abbiamo trovato è composto prevalentemente dagli expat ovvero i cosiddetti cervelli in fuga, ragazzi che hanno visto l’Europa per quello che è, tutta quella parte di opportunità che in Italia non riuscivano ad intravedere. L’Europa esiste, hanno fatto una scelta e hanno una percezione di Europa che è completamente diversa, soprattutto da quanto viene presentata in questo tempo in Italia per opportunismo politico. È sentita, è un sentimento molto forte”.

Come siete riusciti a rappresentare questo sentimento nel tour?

“Noi abbiamo caricato di significato questo tour, visto anche il momento storico particolare. Visitare nove città in Europa significa fare un viaggio in Europa, interrogarsi su quale fosse la nostra percezione di Europa e la nostra idea. Ovviamente stiamo parlando di una sorta di battaglia culturale d’avanguardia, tuttavia si inizia davvero a parlare di una repubblica europea, una casa comune figlia di un sogno che rimane un po’ al di là del guado. Questa percezione l’abbiamo incontrata. La si incontra anche da noi, al di sotto di un certo tetto generazionale, ragazzi al di sotto dei trent’anni hanno molta più dimestichezza con l’idea di movimento. Le barriere sono più generazionali, vedi anche l’esito della Brexit. Esistono delle avvisaglie di Europa, di un’Europa che dovrà prendere una strada più decisa perché così com’è non piace a nessuno. Ciò nonostante, ci sono, però, una serie di cose da proteggere e penso che sia anche un po’ compito degli artisti”.

Più che una band siete un collettivo musicale, stare insieme per vent’anni non è cosa semplice, di musica ne avete vista, scritta e vissuta. Cosa avete capito di questo panorama musicale che a volte non si espone quanto potrebbe? Cosa vuol dire portare un’idea nuova di musica che non parla solo di intimo e personale?

“Io non imputo nulla alle nuove generazioni musicali, per il semplice fatto che ci siamo anche lasciati alle spalle un passato dove vi era questa sorta di tic nel salire in cattedra e spiegare la realtà a tutti. Soprattutto negli anni novanta si era passati dalla coscienza sociale e civile a una sorta di meccanismo quasi automatico per il quale non si poteva parlare di intimo e personale, ma ci si doveva solo interessare di tematiche sociali. Chiaramente quando questo avviene si innescano dei meccanismi di repulsione e nascono dei modelli assolutamente contrari. Questo in un tempo difficile da decifrare, difficile anche prendere delle pozioni così solide da potersi permettere di indicare la direzione a qualcun altro. Non mi stupisce il fatto che prevalga il personale, l’intimo, il frammentato, la lettura non globale ma per il dettaglio quotidiano. Devo dire che io apprezzo anche diversi autori e canzoni della nuova generazione. Non mi manca che non ci sia nessuno disposto a scagliarsi con le canzoni contro l’autoritarismo. Nei fatti però ci sono anche altri sistemi. Ci ha fatto anche molto divertire la querelle Salmo- Salvini. Quando Rolling Stone ha chiamato per una sorta di raccolta contro Salvini, noi l’abbiamo fatto e accettato, forse non era quello lo strumento giusto, ma non ci siamo comunque sottratti e in quella sorta di elenco c’erano anche molti protagonisti della nuova scena. Se dovessimo cercare delle carenze o delle lacune, non mi pare che ci sia mancanza di coraggio ad esporsi contro qualcuno. Quello che pone un divario tra questa epoca musicale e quella precedente, è il fatto che non esiste più un sentimento di appartenenza. Io mi ricordo che ancora prima dei Subsonica, con gli Africa Unite andai a suonare a Pontida i primi anni di vita della Lega, mettendo anche in conto bastonate, sentivi un sentimento di appartenenza, te ne saresti anche fatto una ragione. Oggi ti guardi alle spalle e se ti esponi, sei carne da macello. Per noi è meno un problema perché abbiamo chiarito la nostra posizione da talmente tanto tempo, si tratta solo di trovare delle formule nuove per tener fede ai nostri presupposti. E quando parliamo di Europa, parliamo di una dimensione che nasce in opposizione agli autoritarismi, alla guerra e forse rappresenta una nuova lettura molto più aderente ai tempi, che non in rifermento a delle ideologie pregresse”.

È stata una scelta pensata quella di partire dall’Europa per poi tornare in Italia? Ci sono due concetti diversi di live.

“Gli spettacoli saranno diversi. Non è stata una scelta ideologica partire dall’Europa ma semmai molto pratica. Tornare insieme dopo diversi anni, ognuno con le proprie traiettorie musicali. L’idea di partire con un tour ci piaceva e ci piaceva misurare i nuovi brani con la platea di un club dove sei molto più concentrato su le sfumature di un brano. Cosa che non avviene solitamente nei palazzetti, dove sai già cosa vai ad eseguire e come. Il tour europeo è nato prima come esigenza musicale e poi come ideazione ed azione culturale se vogliamo, perché la battaglia dell’Europa per me è battaglia culturale”.

Chiudo chiedendoti, come è stato recepito 8 dal pubblico che vi ha sempre seguito?

“8 per certi aspetti o brani è stato per molti, una sorta di macchina del tempo andando a recuperare delle sonorità dei novanta. Il pubblico ha partecipato giocosamente a questa suggestione. Mi ha fatto, però, molto piacere che abbia apprezzato quelli che sono, nella seconda parte dell’album, degli slanci un po’ più futuribili come Le onde, Nuove radici che hanno a che fare con uno sguardo più contemporaneo verso il futuro, a riprova del fatto che ci si aspetta sempre di esser sorpresi. Anche il pubblico storico quello più incallito, che dal vivo vuole un investimento emotivo forte per determinate canzoni che devono esser presenti in scaletta, non rinuncia comunque a volersi stupire. Direi che complessivamente è stata fatta una buona valutazione per questo album. Un disco non semplice, perché mai come prima di questo 8, avevamo intrapreso direzioni così diverse apparentemente inconciliabili, rimettere insieme tutto il meccanismo a livello musicale ha richiesto un impegno che solo una band di lungo corso riesce ad armonizzare.

Queste sono le date del tour, che avrà come ospite speciale Willie Peyote:
9/02 – Ancona, Palaprometeo
11/02 – Bologna, Unipol Arena
12/02 – Padova, Kioene Arena
14/02 – Torino, Pala Alpitour
15/02 – Torino, Pala Alpitour
16/02 – Genova, RDS Stadium
18/02 – Milano, Mediolanum Forum
19/02 – Milano, Mediolanum Forum
21/02 – Roma, Palalottomatica
23/02 – Firenza, Mandela Forum

Redazione Rumore
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