Tra le montagne del Kaltern Pop Festival

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(Foto: Nicholas David Altea)

di Nicholas David Altea

Immaginare di partecipare ad un festival musicale in Alto Adige non è il tipico pensiero che passa per la testa di chi frequenta e ama i festival, principalmente quelli estivi, al caldo col sole che, o fa sudare o scotta. Siamo proprio in Alto Adige, non Trentino. Più verso il confine – che rimane comunque lontano – appena sotto Bolzano, dove l’italiano non è a dirla tutta la lingua principale. Kaltern an der Weinstraße, ma noi la chiamiamo più semplicemente Caldaro sulla Strada del Vino. E già così basta a darci la certezza che staremo lontani da birra di dubbia qualità.

Caldaro è un paese di dimensioni medie: quasi 8000 abitanti ed in continua crescita, sintomo che evidentemente la località alto atesina è ospitale, piacevole e sicuramente ricca di opportunità. Poco più in là del centro c’è anche un lago color turchese (soprattutto d’estate) balneabile nei mesi caldi e pattinabile nei mesi più rigidi. Le montagne tutte attorno e il verde scuro rigoglioso della flora completano la palette di colori. Non manca nulla, forse solo il mare.

Line up Kaltern Pop Festival 2017

Il Kaltern Pop (26-28 ottobre 2017), che si svolge qui a Caldaro, è un festival molto giovane (terza edizione) che nasce come fratello minore – ma vista l’età diremmo figlio – dell’Haldern Pop Festival (nonché etichetta Haldern Pop Recordings) situato ad Haldern, per la precisione Rees, Renania Settentrionale – Vestfalia, in Germania, vicino al confine olandese e giunto alla 35esima edizione (9-11 agosto 2018).

DAY 1

Le temperature a fine ottobre sono inevitabilmente rigide. Il clima non è umido, ma c’è quel freddo che lascia giusto il tempo di scaldarsi col sole su un cielo terso, per poi ritornare ad un quasi piacevole tardo autunno. Le location dove si esibiscono le band sono sparse per tutto il paese e in più ce n’è una ad alta quota – una vera chicca. Il primo impatto col festival è a dir poco sacrale, con il concerto dentro la piccola Chiesa Francescana di Caldaro nata sulle rovine del Castello di Rottenburg, intorno al 1600. Si esibisce il nostro – italianissimo – Fabrizio Cammarata; voce e chitarra che risuonano perfettamente tra il legno dei banchi e le arcate a crociera imbiancate. Con lui anche il Cantus Domus, noto coro vocale berlinese, che ritroveremo in altre occasioni. Il risultato è una sinergia praticamente innata che li unisce. Il pubblico è attentissimo, quasi a pregare in silenzio.

Fabrizio Cammarata (Foto: Nicholas David Altea)

Il bello di questi festival sono le piccole scoperte che ci si può ritrovare di fronte. Scendiamo per due strade del paese e una della altre sedi dei concerti (la più grande per capienza) è un edificio in stile liberty con una sorta di grande sala da ballo e un palco sul fondo. Quasi come essere nella copertina di Boxer dei National anche se si chiama più facilmente Casa dell’Associazione Cattolica. Jordan Mackampa è il cantautore inglese che si sta esibendo: il viso è di quelli simpatici, della persona che se c’è da ridere ride di gusto, ma con la chitarra in mano e la voce che pesca anche nel gospel, riesce a far venire la pelle d’oca con un mantra sonoro tra folk e country soul. I due EP Tales From the Broken (2017) e Physics (2016) possono essere un buon punto di inizio per approfondirlo. L’album non è ancora uscito ma è facile pensare che molto presto questo ragazzone si farà notare a dovere.

Tra una strada del vino e l’altra, la terza venue dove andiamo a seguire i prossimi artisti è il museo enologico dell’Alto Adige, posizionato verso il centro del paese. Lo raggiungiamo sempre in pochissimi minuti a piedi e scendiamo qualche gradino in questa cantina-museo: il pavimento costituito da blocchetti di legno è caldo e tutt’intorno siamo circondati da tini, barili, botti, un’esposizione di arnesi del mestiere e otri antichissime. Nils Landgren e Loney Dear con l’aiuto di un pianista scelgono la via del jazz, invece che del vino. Il trombonista arriva però in un secondo tempo, aprendo in due la folla di pubblico seduta davanti al palco. Violoncello il primo (Loney Deayr) e trombone il secondo (Nils Landgren); si avventurano tra temi ricorrenti e improvvisazioni al limite del silenzio e del viscerale, con pause lunghe e note quasi silenziose. Nils Lindgren (classe ’56) vanta collaborazioni importanti con ABBA, Pat Metheny, Wyclef Jean e Herbie Hancock; Loney Dear (classe ’79), invece ha pubblicato nove album per svariate etichette, tra cui Sub Pop e Polyvinyl. Un’incontro tra jazz e sperimentazioni che si rigenera.

Nils Landgren & Loney Dear (Foto: Nicholas David Altea)

Tra le cose che più piace alla direzione artistica del festival è cercare l’incontro e lo scambio artistico virtuoso sul palco tra musicisti, ed è quello che succede tra il batterista Daniel Brandt (già nel trio Brandt Brauer Frick) fresco di pubblicazione per Erased Tapes di un album tra drone pop organico incontra gli stargaze, collettivo musicale (già al lavoro con Dodos, Iceage, Poliça, Owen Pallet, Micachu) fondato dal direttore d’orchestra André de Ridder curatore di arrangiamenti per Gorillaz e Damon Albarn. Lo scontro artistico trova un punto di contatto in un cosmic funk con intarsi classici portati all’estremo. Un fluire continuo di personalità artistiche che genera nuovi orizzonti sonori. Al museo, una decina di minuti dopo, c’è l’inglese AJIMAL, all’anagrafe Fran O’Hanlon, che col suo pop struggente esalta la propria vocalità. In questo momento della serata è un ping pong veloce tra i due palchi ma per nulla pesante, giusto il tempo di scaldarsi con due bicchieri di vino, scambiare due parole con l’ormai naturalizzato siciliano Erlend Øye e si va dritti da Loney Dear, questa volta col suo progetto. Non manca una breve apparizione del trombonista/cantante Nils Landgren che ci siamo già goduti in precedenza. Tastiere, voce e basi fondono assieme l’attitudine pop dello svedese, uscito con il suo omonimo album per Real World records nel 2017. Suoni frammentati un po’ sofferti che cercano vie di fughe più sostenute. Ogni tanto ci riesce, ma non sempre.

DAY 2

Si riparte da una chiesa, sempre col coro Cantus Domus, questa volta però nella più centrale e più importante di Caldaro: la Chiesa Parrocchiale dell’Assunzione di Maria Vergine. Veloce puntata per  ascoltare un trio di Colonia che si chiamano WOMAN e che mescola pop, rock con degli incastri math. La resa è buona ma le idee sono troppe e a tratti non stupiscono più di tanto. Di fronte all’altare della chiesa ci aspetta Mario Batkovic, un peso massimo tra i fisarmonicisti europei che in solitaria e con il coro crea atmosfere a metà tra un film di Kusturica e un horror di Dario Argento. Non è un caso se Geoff Barrow dei Portishead se lo è portato nella sua Invada records, specializzata soprattutto in colonne sonore. Applausi scroscianti, inevitabilmente.

Un concerto all’interno di questa enorme chiesa assume un valore diverso: si amplifica e penetra sottopelle. È successo con la performance del pianista di Weimar, Martin Kohlstedt, che tra pianoforte e sintetizzatori analogici ha raggiunto apici di elettro classica contemporanea quasi nervosa che hanno tagliato di netto l’atmosfera sacra. Arriva poi il momento di Erlend Øye che ci delizia con qualche brano del suo album solista Legao del 2014 fino a Mrs. Cold dei Kings Of Convenience, fino a che è stato raggiunto sul palco dagli stargaze per una session più sperimentale. Nel frattempo, presso il Museo del vino, c’era Fabrizio Cammarata che riusciva a esaltare per l’ennesima volta le sue potenzialità folk-pop, delicate ma compulsive. Ancora una volta pubblico esaltato. Pare si aggirasse anche il booker di Bon Iver che per queste delicatezze ha sicuramente orecchio.

Erlend Øye & stargaze (Foto: Nicholas David Altea)

Nell’ampia sala della Casa dell’Associazione Cattolica, al centro, c’è una sola luce che illumina un batterista: è Julian Sartorius, già al lavoro con Deerhoof, Faust, Marc Ribot e Arto Lindsay. La batteria diventa protagonista di ritmi e tempi, ma anche di rumori, piccoli colpi e leggere effusioni. Astrattismo musicale che guarda senza confini allo strumento. Tra i nomi più interessanti del festival ci sono stato certamente i Broen: band norvegese dove il suono la performance trascende i limiti di genere ne esalta le capacità pop sbilenche ed estroverse, a partire dagli abiti fino alla tuba distorta. Improvvisazione, r&b e l’indie rock orchestrale degli Arcade Fire ma sotto effetto di strane droghe. Si divertono ma hanno sostanza e la Bella Union non se li è fatti sfuggire. Se ne parlerà ancora di loro, ne siamo certi.

DAY 3

Sono svariati i modi per arrivare ad un concerto, ma in tanti festival la funicolare come mezzo per arrivare ci mancava. Partiamo dalla frazione S. Antonio di Caldaro e in dodici minuti circa arriviamo al Passo della Meldola, dai 509 m s.l.m. della partenza sino a 1363 m, per un totale di 2,37 km di percorso arrivando a pendenze di circa 64%. Appena scesi la visuale è impressionante: una enorme terrazza che si affaccia sul Sud Tirolo e il monte Penegal più in alto (1.737 m s.l.m) a far da faro su tutti noi.

Il luogo del concerto è il Grand Hotel Penegal: i terrazzi in legno color ocra, le persiane verde scuro e le mura rosa chiaro. Colori pastello e perfezione tedesca. Potrebbe tranquillamente essere un set di Wes Anderson – non proprio il Gran Budapest Hotel, ma le sensazioni si avvicinano. Quello che fa tenere lo sguardo in alto per una decina di minuti buoni è il soffitto della grande sala rettangolare dove si esibiranno gli artisti: degli archi in legno sostengono il soffitto a cassettoni. Location magnifica. Legno ovunque per circa tre metri di altezza che poi lascia spazio ai muri bianchi ornati con fitti motivi floreali. Il Cantus Domus, Erlend Øye, Liam Ó Maonlaí, Mark Geary & Grainne Hunt e Mario Batkovic si esibiscono in concerti acustici che acquistano valore inestimabile all’interno di una bomboniera (di legno) del genere.

Tempo di riguardare un paesaggio rigoglioso e vivo, che si ritorna in basso con un live più definito dell’irlandese Liam Ó Maonlaí che mescola musica tradizionale fortemente influenzata dal country-blues e successivamente la nostra Birthh, sempre all’interno del caldo museo. Alla sala principale si esibisce l’interessante trio prog jazz svizzero, schnellertollermeier che meticolosamente dosano tecnica math rock e improvvisazioni liquide. Meno interessanti e alquanto classici nell’impostazione rock i Kettcar dei quali ci bastano trenta secondi per capirne il tenore e andarcene.

Tra tutti palchi, il Kaltern Pop vanta anche un club sotterraneo a metà tra brutalismo berlinese e club londinese: il Kuba. Ed è li che i Gewalt fanno di tutto per coinvolgere e spaccare in due il palco. Sembrano dei Death From Above con la batteria campionata. Il trio composto da Yelka Wehmeier, Helen Henfling e il frontman Patrick Wagner ruggiscono una rabbia hc repressa mescolata ad alternative rock ed electro clash. Ultima band di questo festival, prima del dj set di chiusura, è un gruppo belga ma le radici sono newyorkesi fino all’osso, almeno nel suono. Gli Intergalactic Lovers sono una delle band più affini a tutto quel tumulto indie rock che negli anni 2000 ha attraversato la Grande Mela. Lara Chedraoui è la frontwoman del gruppo: carattere e presenza scenica impressionanti. Karen O degli Yeah Yeah Yeahs ha fatto scuola ma Strokes e Interpol non sono da meno. Eppure ogni canzone ha una sua personalità che Lara forgia a sua immagine e somiglianza. Tutto perfetto e il pop rock messo nel punto giusto.

Il Kaltern Pop è un festival in grande crescita, forse non ancora apprezzato a dovere dagli italiani che oltre Trento temono di sentirsi oltreconfine. Invece l’accoglienza sudtirolese è calda, piacevole e conviviale come solo un buon bicchiere di vino rosso può renderla. La direzione artistica è oculata e avanguardista: tra il pop, le sensazioni acustiche, la contemporaneità classica e molta sperimentazione. Non è un problema dover conoscere per filo e per segno i nomi in line up. Ogni concerto è una piacevole scoperta che diventa speciale in un ambiente inusuale. Il Kaltern Pop si vive in maniera molto più agile di un Eurosonic, ha un’attitudine sperimentale vicina al Le Guess Who e la giusta vivibilità che si ritrova all’Ypsigrock di Castelbuono (PA). Con un po’ di curiosità il pubblico italiano potrà appassionarsi ad un festival estremamente diverso e particolare, dove il legame col territorio emerge e arricchisce. L’appuntamento per la prossima edizione è dal 25 al 27 ottobre 2018. Scoprire qualcosa di nuovo è solo un piacere.

Redazione Rumore
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Rumore è da oltre 30 anni il mensile di riferimento per la cultura alternativa italiana. Musica (rock, alternative, metal, indie, elettronica, avanguardia, hip hop), soprattutto, ma anche libri, cinema, fumetti, tecnologia e arte. Per chi non si accontenta del “rumore” di sottofondo della quotidianità offerto dagli altri magazine.

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