Live Report: Anderson. Paak & The Free Nationals @ Teatro Romano di Verona

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anderson paak italia teatro romano verona (3)

di Davide Agazzi / Foto di Giorgio Lamonica, per gentile concessione di Kalporz

Inutile girarci attorno: il concerto veronese di Anderson .Paak, accompagnato dai suoi Free Nationals, è stato semplicemente grandioso. Vissuto, riuscito, partecipato, anche condiviso – se vogliamo – ma non nell’accezione fredda e anche abbastanza velleitaria del termine tipica dei social network. Perché è stata davvero una festa, con Paak nel doppio ruolo di mattatore e di primo spettatore del proprio show, tanto è stata viva e calorosa la risposta del pubblico intervenuto.

L’ultima volta che ho visto un concerto di questo livello ero dalle parti di Praga, all’HipHop Kemp. Sul palco c’era un tale Kendrick, anche lui con la band, impegnato a riproporre davanti a migliaia di fan il suo album good kid, m.A.A.d. city che, da lì a breve, lo avrebbe catapultato nello stardom. Uno di quei viaggi verso il successo dai quali difficilmente si torna indietro e, non a caso, oggi Kendrick è da molti considerato il numero uno — indubbiamente il rapper più influente dei nostri tempi. Ecco: lunedì sera nel Teatro Romano di Verona (location meravigliosa, va detto) ho provato quella stessa sensazione, con l’unica differenza che sul palco c’era Anderson e non Kendrick e che il disco, già diventato un classico, e che segna a tutti gli effetti uno spartiacque nella carriera del nostro, in questo caso si chiama Malibu.

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Si è forse fuori tempo massimo per parlare di next big thing, ma l’artista californiano è veramente un personaggio dallo spessore, e dal talento, assoluti. Il fatto che ci sia qualcosa come mezza scena italiana presente (da Ghemon a Bassi Maestro, da Deemo a Irene La Medica, da Buddy a Kiave, passando per Tormento e Willie Peyote e chissà tutti quelli che non ho incrociato) rende bene l’idea di quanto questo concerto fosse percepito da molti come l’evento da non perdere. Se non avete fatto parte di questa bella festa, fate bene a mangiarvi le mani e, in caso abbiate già dato, sentitevi pure liberi di procedere la vostra dieta con altri arti o appendici dei quali siete ancora provvisti.

L’evento è sold out da settimane, un risultato non indifferente se consideriamo che è pur sempre lunedì, che Verona non è esattamente una capitale del rap italiano e che, tutto sommato, Paak non è che goda di chissà quale promozione o visibilità sui (grandi) media italiani. Il concerto dura un’ora e trenta, novanta minuti nei quali Malibu viene riproposto praticamente nella sua interezza, con la coda finale del live dedicata ad alcuni episodi del precedente Venice, ma in scaletta troveranno spazio anche un paio di momenti da Yes Lawd!, il disco realizzato a nome NxWorries in collaborazione col produttore Knxwledge.

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Breaking news: il pubblico conosce i testi dei pezzi del buon Anderson e li canta a memoria. Tutti. Ora, onestamente, quante volte l’avete vista una scena del genere in Italia? C’è un legame, fra il pubblico veronese ed i californiani sul palco, che si crea immediatamente, un’alchimia sincera di reciproco amore che termina solo quando si accendono le luci sul Teatro Romano. Anderson ringrazia, visibilmente colpito da tanto affetto: ripete più volte come questo pubblico sia meraviglioso e, sì caro Paak, sappiamo che lo dici ogni sera, eppure stavolta vien proprio voglia di credergli. Le danze, letteralmente, si aprono con Come Down e subito siamo tutti in piedi: nessuno si siederà più fino al termine dell’esibizione. Nemmeno il protagonista della serata, che spesso si lancia in mezzo al pubblico per azzerare la distanza fra lo stesso e l’artista, sia fisica che emozionale. Si siederà, Anderson, soltanto sulla batteria, che suona per buona parte del concerto: sul palco, con lui, ci sono anche una chitarra, un basso, una tastiera ed un campionatore.

I brani di Malibu scorrono quasi in sequenza, riproposti in versione quasi identica a quanto già apprezzato su disco ma non mancano le eccezioni: esemplare, in questo senso, la splendida ballad The Room qui riproposta in chiave reggae anni ’80, ma siamo più nei territori patinati e ludici dei Culture Club che non in quelli di fiero canto libero di certi crooner giamaicani. Particolarmente apprezzato il medley che mette assieme The Bird, il singolone Am I Wrong e Lite Weight, quest’ultima benedetta da un ipnotico beat che, come su disco, ti entra sottopelle senza manco chiedere permesso. Sul maxischermo alle spalle della band, la splendida ed a suo modo già iconica copertina di Malibu, disegnata da Dewey Saunders, prende vita, mentre Anderson mette in mostra la sua doppia anima musicale, quella rap e quella soul, col groove tutto di scuola west coast (grande fu la lezione di Zapp & Roger, in questo senso) a fare da collante.

Bruno Mars, a cui Paak aprirà i concerti, comprese le prossime due date italiane, è avvertito: dovrà fare davvero un grande show, per essere all’altezza del suo (al momento) meno noto opener. Serata memorabile.

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