Primo Brown, duemila e sedici demmerda

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di Davide Agazzi

La prima volta che ho visto dal vivo i Cor Veleno credo sia stato a Genova, nel 2006. Per qualcuno l’annus horribilis del rap italiano, per altri quello della rinascita. Indubbiamente un vero e proprio anno zero, partendo dal quale è possibile raccontare la storia con un “prima” ed un “dopo”. In apertura al re del funk ed ai suoi Parliament/Funkadelic, c’erano Mondo Marcio (che da lì a breve sarebbe sparito dai riflettori mainstream), Fabri Fibra (che invece da lì a breve sarebbe diventato una star, ma sul momento era difficile pronosticare un suo successo di tale portata) e, appunto, i Cor Veleno, altro nome masticato e poi prontamente sputato senza tanti complimenti dal music business. Il che la dice lunga sulla miopia e l’incapacità di osare dell’industria discografica italiana e di buona parte dei media che, manco fossero la badante di un facoltoso ma decrepito magnate, la sostengono.

Qualcuno potrebbe pensare che il direttore artistico di quella strana giornata ligure se ne fosse fumata una un po’ troppo carica, ma sarebbe un errore di valutazione. Era il segno dei tempi che cambiavano: non stava cambiando il rap, non ancora. Stava cambiando la percezione attorno al rap, che tornava ad essere argomento di discussione dell’uomo comune dopo anni passati ad esser di appannaggio dei soli super aficionados del genere. Non parliamo dello zoccolo duro, ma della nicchia della nicchia. Le sfavillanti luci dell’ovattato mondo dello spettacolo erano tornate sopra le nostre teste rappuse, e per un po’ avevano illuminato anche Primo ed i suoi Cor Veleno. Due gli album usciti con Sony, ma i risultati non sono quelli sperati, né per gli artisti né per l’etichetta, con conseguente separazione delle parti. Non senza polemiche, come vuole il genere, e così il manager del gruppo, Rudy Zerbi (volto noto agli amanti del trash catodico) verrà spesso “ricordato” nelle rime post-major dell’ex voce dei Cor Veleno (si vedano, in questo senso, Per stare fresco o la splendida Mantenere, entrambe estratte da El Micro De Oro).

Primo, invece, lo conobbi personalmente solo due anni fa: durante la seconda stagione di Alpha Beat, il programma di rap e dintorni che da quattro anni conduco sulle frequenze di Controradio (Popolare Network) io e Tormento avevamo creato una rubrica intitolata “Funk biologico”. Uno di quei classici casi di meravigliosa autocombustione creativa del buon Torme. Non c’era programmazione, non c’era scaletta, nulla di nulla, praticamente un’ora di freestyle radiofonico. Arrivati alla seconda puntata, dieci minuti prima di andare in onda, Torme mi chiama. “Ho una sorpresa, ho portato un amico.” “Chi?” “El Primeroooo! Megaaaa” (se conoscete Torme, potete facilmente immaginarlo mentre dice una roba del genere). Inutile dire che fu una delle puntate più grandiose della mia piccola intercapedine sonora. Lo studio si saturò presto con volute di fumo denso, musica e rime fecero il resto. Parlammo molto del nuovo album che li avrebbe visti lavorare assieme: una collaborazione che aveva assolutamente senso, considerate le difficili esperienze su major di entrambi gli artisti.

Della caduta dal paradiso dei Cor Veleno abbiamo detto sopra: quella dei Sottotono fu decisamente più fragorosa e non penso serva tornarci sopra (parole chiave: Staffelli – Striscia – Sanremo). El Micro De Oro, questo il titolo dell’album collaborativo, sarebbe dovuto essere il disco della rivincita contro le major, un calcio in bocca all’industria tutta. Il lavoro, nonostante una serie di tentennamenti sulla data di pubblicazione, alla fine esce davvero e non è affatto male. Peccato che, poco più di 30 giorni dopo, la promozione dell’album venga improvvisamente interrotta. “Hanno litigato”, dicono i maligni. Ed i male informati, perché il motivo del black out promozionale è da ricercarsi altrove: Primo non sta bene. Per niente. È una roba seria. Riavvolgiamo il nastro velocemente ed arriviamo ad oggi: difficile pensare ad un inizio anno peggiore di questo. Ragazzo umilissimo ma fiero, potente, lirico e con un gran sorriso sulla faccia. Stimato da molti colleghi: era il classico esempio di rapper che piace ai rapper. Non esattamente un traguardo semplice, nell’acidissimo ed ipocrita mondo della doppia acca nazionale. Di quella giornata in radio non ho neanche una foto, l’idea era quella di rivedersi presto per promuovere El Micro De Oro. Purtroppo non è successo e – a questo punto – non succederà più. Ma lo ricordo bene quel pomeriggio, come se fosse ieri. Fai buon viaggio.

PS: Avrei potuto impostare questo pezzo su coordinate molto diverse da queste. Avremmo potuto ragionare sul perché le cose in major per Primo siano andate male in un momento storico in cui gli unici a fare un po’ di numeri sul mercato sono proprio i rapper. Del perché si sia scelto di puntare in Italia su un modello di artista fintamente aggressivo per poi lasciare in panchina quelli che hardcore lo sono davvero. Del perché ogni elemento grezzo e dissonante rispetto al gruppo debba inevitabilmente essere smussato ed omogeneizzato per imbonire gli ascoltatori invece di guidarli verso nuove direzioni. Ma le risposte sarebbero prevedibili, banali e forse anche ridondanti. Il punto è che abbiamo perso un grande artista, e da oggi la scena sarà un po’ più triste e vuota.

Qua sotto un brano, che è parte della citazione del titolo di questo articolo, estratto dal mixtape di inediti Rap nelle mani, volume 1:

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