Londra: Road to Field Day o, 7 band da ingaggiare di più ai festival

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Manca meno di un mese al Field Day Festival, organizzato dall’agenzia di booking inglese Eat Your Own Ears. Di aspettative ce ne sono abbastanza – la line-up è piena di nomi d’alto calibro, alcuni in data unica inglese. Il sito è fatto tutto ammodino. Ci sono i palchi sponsorizzati da siti e testate del settore come al Primavera. Ci sono i food truck e non solo il panino con la salamella e la pizza surgelata. La location è in città e quindi si evitano i campeggi su spiazzi di terra battuta o in mezzo al fango. C’è una radio del festival che butta fuori musica delle band che suoneranno e pubblica interviste con loro. Ora, però, invece di fare il trito discorso “in Italia non siamo capaci di fare i festival” (che è effettivamente vero che non ci siano degli eventi di scala europea, ma insomma, c’è chi si impegna e fa uscire le cose decisamente bene), facciamo una lista di sette band che al Field Day suoneranno, ma sono scelte intelligenti e originali.

1. A.G. COOK
ag cook

Il nome PC Music che cosa vi fa venire in mente? Qualcosa di patinato, procedurale e asettico? Sono aggettivi che ci stanno, ma in questo caso dovreste aggiungere “divertentissimo”. A.G. Cook è il fondatore di quest’etichetta/collettivo di musicisti elettronici interamente UK che sta giocando con l’estetica post-internet e il pastiche onnicomprensivo che è diventata la nostra vita culturale e farci ballare. I live dei membri di PC Music sono abbastanza rari, e far esibire il fondatore è un gesto azzeccato. Soprattutto ora che il collettivo ha pubblicato per la prima volta un album ufficiale, a cui Cook ha contribuito con due brani: la sua Beautiful e Wannabe, pubblicata con il suo alter ego Lipgloss Twins. Entrambe un misto schizofrenico di pop, J-pop, happy hardcore, disco anni 90 e colonne sonore di videogiochi.

2. YUNG GUD
yung gud

Micke Berlander è svedese, giovane, e fa il beatmaker con il nome di Yung Gud. Dalla prima parte dello pseudonimo è chiara la sua appartenenza ai SadBoys, la crew svedese che ha dato uno scossone al rap europeo mettendosi a cantare nello stesso brano di droga, alcool e moda così come di lacrime versate dietro occhiali Oakley a guardar schermi di cellulare su cui non arrivano messaggi e di quanto siamo soli. L’ultima volta che sono passati da Londra hanno scardinato il Barbican. Gud è il principale creatore del sound del collettivo, capitanato da Yung Lean, e la sua apparizione al Field Day è uno dei suoi primi concerti in solitaria. Le sue produzioni sono ariose a dir poco, a tal punto che alcuni usano il termine “cloud rap” per descriverle. Suoni aperti, semplici e melodiosi su cui, di solito si appoggiano voci in auto-tune ma ora liberi di diventare protagonisti.

3. HAILU MERGIA

hailu mergia right

Ogni tanto qualche musicista di paesi non proprio al centro della musica mondiale vengono scoperti o semplicemente portati sotto riflettori più grandi, finendo a ridare energia a carriere che sembravano finite, o destinate a restare appannaggio di pochi. Così è stato per Omar Souleyman e William Onyeabor, e così sta succedendo all’etiope Hailu Mergia. Con la sua Walias Band e le sue lunghe jam strumentali tra jazz e funk era una stella della scena locale dei 70s. Furono la prima band etiope ad andare in tour negli stati uniti, e collaborarono addirittura con Duke Ellington. Il merito della loro riscoperta va ad Awesome Tapes From Africa, che ha trovato e contattato Mergia per ristampare un suo album del 1985. Il passo verso un ritorno live è stato solo naturale.

4. ALLAH-LAS

allah-las

I losangelini Allah-Las hanno i 60s e il deserto nel cuore. Sono in giro dal 2008, quando tre di loro si incontrarono sul posto di lavoro – un negozio di dischi Amoeba Music. Come se tre protagonisti di High Fidelity di Hornby si mettessero a far musica con i Kinks e gli Zombies nel cuore. Estetica semi-posh, suono un po’ sibilante, video sgranati, atmosfere tra il sognante e il gracchiante, chitarre (quasi) pulite in primo piano. Il loro secondo album, Worship the Sun, è uscito a settembre 2014.

5. RATKING

ratking

Per fare hip-hop convincente nel 2015 non bastano più produzioni alla DJ Premier e testi sulla retorica di quartiere (o meglio, bastano ma i casi sono pochi, o geograficamente limitati). Servono mastermind dalle idee chiare come il compianto A$AP Yams, o impegno politico e ingegno alla Run the Jewels, o attitudine al classico alla Kendrick Lamar, o una storia di successo originalissima alla Fetty Wap, e così via. Nel caso dei newyorkesi Ratking, la formula è resa vincente dai gusti punk e indie dei componenti del gruppo – a tal punto che su un loro brano c’è addirittura King Krule. Il loro esordio, So It Goes (ispirato da Slaughterhouse 5 di Vonnegut) è uscito lo scorso aprile.

6. LEMMY ASHTON

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Lemmy Ashton è un giovane producer e DJ londinese affiliato allo XOYO e a Bugged Out, rispettivamente un locale e un promotore di eventi nella capitale inglese. Siamo alle porte di giugno, l’estate batte alle porte e non resta che iniziare a ballare – Ashton pensa proprio a questo. Anche se dalla sua ha solo tre brani originali e una serie di mix (tutti in streaming sul suo SoundCloud), il vibe dei suoi set si sente chiaramente: una fiera di sample disco-revival e anni 80 che non sfigurerebbe affatto nelle serate Soul Train di Londra Sud.

7. TĀLĀ

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TĀLĀ è la figlia decisamente più elettronica e drogata di M.I.A. e How to Dress Well, una nativa londinese che fa la producer e canta – formula decisamente di successo ora come ora, basta vedere l’enorme successo riscosso da FKA Twigs. Particolarità di TĀLĀ sono le incursioni nella world music (quando nei suoi pezzi partono i cori la mente vola subito in un altro emisfero) e l’estetica psych, che si ritrova anche nella non-proprio-ballabilità della sua proposta. Per ora ha all’attivo due EP, l’ultimo dei quali – Alchemy – risale all’anno scorso.

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