Live Report: Inner_Spaces 3 @ Auditorium San Fedele, Milano, 22/04/2015

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Di Daniele Ferriero

Al terzo rollio corrisponde la vertigine del mare aperto, acque aliene dai riferimenti programmatici e povere di porti sicuri. Musicali e nebulose terre si intravedono, a tratti, nella foschia. Ad Inner_Spaces entrano in scena Rabih Beaini e i Senyawa.

L’accoglienza del pubblico è delle migliori: l’auditorium da lì a poco gremito, gli astanti che s’accalcano nei posti con progressiva, pratica, ostinazione; Rabih già sul palco a metterti il dubbio: suona o sta testando i suoi strumenti? Un battito di ciglia e la sala è colma. Qualcuno soffia presto perentorio un paio d’inviti al silenzio, si fa chiaro che Beaini sta da un po’ musicando le sue cose, favorisce il clima morbido e ospitale. Una sorta di raga sfugge dalle sue mani. Lui è inamovibile.

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Rabih Beaini è dj, musicista, indagatore del presente e del circondario, sorta di teoreta, semplice curioso, vero appassionato. Già conosciuto come Morphosis, uomo dietro alla Morphine Records presso la quale è uscito Menjadi dei Senyawa, il musicista presenta un set composto per l’occasione. Restituirne la compattezza fluida, le variabili sonore e gli elementi costituenti è tutt’altro che scontato. Intitolato The Adoration of Maryam, il set inanella uno via l’altro un buon numero di variabili e una sicura dose di costanti: l’atmosfera è avvolgente, le cadenze mistiche riverberano tramite i drones ottenuti attraverso mezzi – più o meno – tradizionali e gustosa chincaglieria elettronica rigorosamente analogica. A partire da qui si muovono le variazioni messe in campo da Beaini, come masse sonore in subduzione, a tratti simili a certi fantasmatici ricordi elettroacustici, spesso uguali solo a loro stesse. Fluide, creano un’atmosfera amniotica innalzata verso ulteriori vette spirituali grazie alla voce stessa del musicista, per qualche momento coadiuvato dallo strumento di Wukir Suryadi. Il suo timbro pare toccare corde diplofoniche o territori limitrofi, aggiungendo spessore e bellezza ulteriore al concerto. Alla chiusura, non a caso, il pubblico pare riprendersi con qualche secondo di ritardo, quasi fuori sincrono rispetto alle azioni di Rabih. Il quale, nel complesso, dimostra una volta ancora di poter padroneggiare un flusso unico di musiche tradizionali e sperimentali, contemporanee e storiche, improvvisate e ragionate. Ci si inchina.

Dopo la breve pausa entrano in campo i Senyawa, duo indonesiano composto dal già citato Wukir Suryadi agli strumenti auto-costruiti e Rully Shabara dedito alle, molteplici, voci. Il campo è sgombro, gli equivoci non ci sono, l’appropriazione si spera essere transculturale. In due mettono in campo un concerto come potrebbero intavolare una battaglia campale: lottano.

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I brani sono un miscuglio che pare colto nell’atto fondante o in un gesto purissimo di distruzione, scampoli di musiche altre, schegge lucide ma visionarie. Le fondamenta sono erette sopra a un binomio di sola voce e bizzarra strumentazione in elettroacustico, per un risultato che sta a metà tra l’arte puramente performativa e la pratica avant-rock più estesa e meno prona alla convenzione. Shabara si agita, sbraita, culla, assalta, latra: le movenze sono il minimo comune denominatore tra la caricatura di un rocker e la connotazione sciamanica. L’estensione vocale è sorprendente, l’esito radicale si perde a cavallo fra Diamanda Galas, glossolalia e canti rituali, con la fisicità appesantita di un esotico cantante metal. Wukir si affida invece al suo bamboowukir e dintorni, nel declinare le musiche soprattutto come risultato ritmico, intelaiatura lungo la quale si manifesta la forma definitiva del loro suono. La resa è spiazzante, a tratti esalta, in qualche momento si intoppa per la frammentarietà dei materiali, che favorisce lo spettacolo ma non l’empatia. Pare dunque di testimoniare un percorso non ancora definitivamente compiuto, benché fiero della sua indipendenza, dell’alterità irriducibile e delle fiamme, libere. Se avete mai assistito alla declinazione in concerto delle musiche di Keiji Haino, potete farvi un’idea. La tradizione al servizio del presente e dell’iconoclastia. Provate a farla vostra.

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