Editoriale 279: La musica e il test del tempo

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Sarà che ormai, per ovvie ragioni di cronaca personale rumorista passata, rimango sensibile ogni qual volta vedo la faccia di Annie Erin Clark – in arte St. Vincent – sulla copertina di un giornale, ma mi pare che negli ultimi mesi si sia verificata un’esondazione del fenomeno musicale su scala per così dire mainstream. In che senso? In questo senso. Provo a spiegare. Vado.

Chi scrive ha la remota ma forte sensazione che fino a pochi anni fa i faccioni di chi fa musica – tranne alcuni faccioni – non sarebbero mai stati materiale da copertina per magazine extra-musicali. I cosiddetti periodici lifestyle o femminili. Come dire: che in copertina ci finissero i vari Tiziano Ferro o Jared Leto ha sempre avuto una sua logica. Ma da alcuni mesi mi pare si stia verificando qualcosa di altro, di diverso. Lorde sulla copertina di “Sette” del “Corriere della Sera”: un’adolescente in via Solferino!? Taylor Swift prima e Bjork poi, nell’arco di pochissimi mesi, su “D” de “La Repubblica”. Noel Gallagher su “Style” de “Il Corriere Della Sera”: un mod dalla bocca larga in via Solferino!? Ma soprattutto: St. Vincent, sempre lei, sempre su “D” de “La Repubblica”. Si sa come siamo fatti, anche di fronte alla pura casualità: noi che facciamo questo mestiere proviamo a cercare indizi e farne narrazione. In questi casi, quando bazzico il buio, scrivo al fido amico e collega Pier Andrea Canei, che lavora proprio a “Style” e scrive pure per “L’Internazionale”. Gli chiedo di Noel e del presunto fenomeno. La sua risposta è immediata, telegrafica, glaciale: mah, sai, mi dice, noi una copertina all’anno la dedichiamo sempre a un musicista. Ma se vuoi inerpicarti nella teoria del pop…

Allora provo a scalare. L’idea che mi sono fatto è la seguente. Una volta tutti i media si livellavano a vicenda e ognuno aveva i suoi spazi, nei quali si parlava dei soliti argomenti. Cosicché al mondo della moda, della stampa femminile o del lifestyle spesso si associavano nomi di attori, modelle, politici, personaggi pubblici. Ultimamente innovatori, o insomma, persone coinvolte nella grande rivoluzione tecnologica. Qui mi pare stia il punto: il web ha scombinato le regole anche qui. Sesso e musica sono diventati forse i due segni, semioticamente parlando, più importanti della comunicazione internet. Infatti il mondo del sesso e delle sue derive più o meno pruriginose è stato sdoganato ovunque, dal cinema alla tv, dai giornali alla lingua di tutti i giorni. La musica è esplosa, anch’essa. La musica si è espansa. Se prima se ne stava in un magazzino per appassionati che potevano raggiungerla con orari, chiavi e modi stabiliti – la radio, la tv, i giornali specializzati, circa – ora la rete offre una pluralità di piattaforme e di “vivibilità” della musica che fanno dei suoi interpreti delle star di scala più globale e “larga” (per dirla con il linguaggio televisivo) rispetto a prima.

Risultato: non solo la musica è ovunque nelle nostre orecchie (emittenti radio personalizzate in coda quando sei in banca, da H&M o all’Ipercoop), ma coinvolge sempre più anche lo sguardo. La immagini: in un lungo servizio dal titolo “Quel film è rock” apparso di recente su “D” de “La Repubblica”, Laura Piccinini studia proprio questo fenomeno, parlando dell’irresistibile ascesa dei docu-film musicali. “Cos’hanno i musicisti in più?”, si chiede. “La musica trascende il test del tempo, risponde Alex Gibney, il re dei documentaristi d’oggi”.

Nel suo trascendere il tempo, trova quindi spazio più facilmente di prima anche su riviste che per logica editoriale prima non gli avrebbero concesso le medesime attenzioni. La musica e i suoi interpreti forniscono quindi un’idea di credibilità – a livello empatico diremmo di calore narrativo – che altre discipline non riescono a rendere con la stessa immediatezza e forza. 

Così è come la vedo io. Ma poi, più prosaicamente, basterebbe ricordare che Taylor Swift ha il quintuplo dei follower di Barack Obama, su Twitter. Il quintuplo. Il che spiega tutto molto più in fretta. I numeri parlano da soli. E dettano la linea (editoriale). Il caso St. Vincent invece: be’ quello continua a rimanere senza risposta sociopopantropologica, temo.

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