Live Report: Jarboe & Helen Money  + Alexander Hacke & Danielle de Picciotto @ Café Oto, Londra, 13/02/2015

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SI H Money-Jarboe

Di Stefania Ianne

Uno spettacolo triplo stasera per festeggiare cinque anni di Chaos Theory un gruppo indipendente che si occupa di promozione e organizzazione per musicisti DIY, musicisti che non si piegano alle logiche e alle politiche delle etichette musicali, musicisti fatti in casa ma mai semplicemente amatoriali.

La sala è quella ridotta del Café Oto a Dalston, nella Londra trendy dell’ultimo decennio, in un dead end accanto al Teatro Arcola anch’esso di ispirazione indipendente. Lo spazio è concentrato. Le luci scarne. Da un lato lo spazio adibito a palco, dall’altro il bar. Il tavolo con il merchandising è illuminato da candele atmosferiche. Piante grasse decorano le vetrate enormi. Gli strumenti sono pronti. Le sedie sono allineate a semicerchio. Un piano a coda occupa gran parte dello spazio alla destra del palco, ci viene intimato di non toccarlo e soprattutto di non poggiare nulla sullo strumento prezioso, ma inutile stasera nello spazio ristretto.

Alexander Hacke con difficoltà cerca di farsi spazio tra le sedie e il pianoforte per raggiungere il microfono, la chitarra, la grancassa e il resto della strumentazione elettronica che manipolerà durante la performance. Appare altissimo, i capelli radi e lunghi, i baffi curiosi, anni 70, gli occhiali da vista enormi  amplificano gli occhi vivaci. Sulla scia di Hacke Danielle de Picciotto cerca di raggiungere la propria postazione circondata da una marea di strumenti insoliti e pedaliere. Appare concentratissima e bellissima con i suoi capelli lunghissimi e cappello a gran falde viola. Dai ricami sui vestiti dei due musicisti e gli stivali da cowboy/cowgirl l’impressione iniziale è di essere a Nashville all’inizio di una performance country-folk. Hacke e de Picciotto sono noti per le intenzioni provocatorie, la musicalità dissonante, tra l’elettronica industriale e l’avant-garde. Sono soprattutto noti per le loro performances molto teatrali. Entrambi I musicisti hanno alle spalle una carriera poliedrica, per la fusione di generi contrastanti e mezzi di espressione. Poesia, teatro, musica. La loro performance stasera è tutto quanto sopra e molto di più. Il materiale che ci presentano stasera non è ancora disponibile, non è stato ancora pubblicato. È una miscela studiata e estremamente creativa di suoni dalla natura come il ronzio delle api o lo  scorrere dell’acqua nelle proiezioni alle spalle del palco e la strumentazione sul palco:la chitarra industriale di Hacke, il violino country di de Picciotto, un’arpa decostruita sulle ginocchia di Picciotto, un altro non definito strumento ad arco a creare nuovi suoni primordiali, suoni etnici che si mescolano alle scarne vocalizzazioni sopratutto di de Picciotto. “Mother, why am i here?”Si chiede in un pezzo incentrato sull’assurdità della vita. L’intervento di Hacke alla voce è insolito e ancora meno presente, con vocalizzazioni gutturali tra il gotico e il buddismo, ma estremamente potente e affascinante. Il risultato ci inchioda alle sedie e alle pareti in completa adorazione, vittime di un rituale musicale inaspettato, frutto di contrasti e associazioni musicali inedite, viscerali. I musicisti sono totalmente esposti nello spazio piatto di un palco inesistente. Lo spazio è inadeguato per i cambi veloci delle varie strumentazioni. Hacke fa fatica a gestire i propriartigigantesche nei suoi movimenti tra consolle e grancassa, vediamo le sue ginocchia elevate ad angoli impossibili farsi strada tra un labirinto di microfoni e strumenti… La camicia rossa incandescente, dai ricami giganteschi, sbottonata al punto giusto si apreper rivelare una croce tatuata rossa e nera. Hacke headbangs, scuote violentemente la testamentre suona la chitarra grave, mentre De Picciotto appare trasfigurata, concentrata, persa nella bellezza della musica.La performance deve finire, ma non vedo l’ora di ascoltare il prodotto finito di queste sperimentazioni musicali una volta registrate per la posterità.

Nella pausa Hacke e Picciotto non possono evitare di utilizzare l’intoccabile pianoforte per cercare di smistare i propri strumenti. Incrocio lo sguardo di Hacke visibilmente esasparato dall’assenza di spazio per le proprie manovre.

La conversazione del pubblico durante l’attesa è interrotta dall’arrivo sul palco di Alison Chesley in arte Helen Money per una performance solista breve ma intensa. L’immagine è poco studiata, da closet metal-head, una metallara in incognito, che si nasconde dietro la banalità di un impensato violoncello. Ma in fondo c’è un metallaro nel cuore di ogni musicista classico, che lotta per uscire alla luce del sole e Helen Money dimostra la verità di quest’affermazione. I suoni che escono dal suo violoncello sono impensati, inimmaginabili, di una potenza e una vitalità inaudita. Chesley passa dal pizzicato e il vibrato alla distorsione con una facilità e una naturalezza incredibile. Energia nervosa allo stato puro. Le teste vibrano. La sala è stupita ed estasiata allo stesso tempo ma la performance dura troppo poco. Il coprifuoco è previsto per le 23 e il tempo scorre fin troppo veloce. Helen Money rimane in silenzio sul palco, dopo aver accordato il violoncello. Alle tastiere alla sua sinistra scivola una seconda musicista inaspettata. Entrambe aspettano impazienti l’arrivo di Jarboe. Una storia musicale incredibile alle spalle con i newyorkesi Swans e ancora tanta voglia di creare e di stupire, Jarboe arriva sul palco concentratissima. Le due donne sono sul palco per presentare un EP in comune di uscita imminente. La tastiera e il violoncello iniziano in sordina per accompagnare la voce drammatica di Jarboe: “The moon, the sun, the TRUTH”.  L’inizio è intimo, il silenzio è religioso come se nel pubblico nessuno voglia perdere nemmeno una nota, una parola, una posa. Capelli ossigenati e completamente vestita di nero, meno femme fatale che in passato, ma sempre di enorme fascino, Jarboe impersona ogni pezzo con ogni fibra del suo corpo. Le vibrazioni del violoncello fanno il resto. Il concerto è breve, scarno, intenso. Voluto come tale. L’effetto è emozionante non solo per i fan di lunga data. “We’re keeping it edgy and raw = real”, ha scritto Jarboe su Twitter.E  la promessa è mantenuta.Le armonie seduttrici e le grida gelide della voce di formazione classica di Jarboe, si intrecciano alla profondità funebre del violoncello di Helen Money in Hello Mr Blue, forse la composizione più riuscita della collaborazione. Una lunga introduzione al violoncello preannuncia la voce severa e confessionale di Jarboe in For My Father, “Embrace amnesty”, recita Jarboe in conclusione, esoterica e atmosferica. Spesso il fantasma di Diamanda Galás sembra presente in sala anche se Jarboe appare più umana e meno diabolica.

Jarboe conclude con un grido disumano e lascia il palco dopo i ringraziamenti affrettati, visibilmente drenata di ogni energia.

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