Live Report: Ty Segall @ Scala, Londra, 2/12/2013

Date:

Ty Segall

di Stefania Ianne

La Scala di Londra, un locale minuscolo. Fuori, la coda per chi spera di compare un biglietto all’ultimo minuto è lunghissima. Le speranze sono poche. L’ingresso drammatico del locale fatto di scale dappertutto è intenso. La sala è tappezzata da agenti della sicurezza. Le perquisizioni invadenti. I biglietti quasi ignorati. L’importante è sequestrare tutti i dispositivi fotografici/video. Anche i telefonini sono controllati da molto vicino. Un cerbero con i capelli lunghi a coda nella semioscurità blocca il passaggio mentre esamina uno smart-phone più grande della media. Mi blocca l’ingresso. Scena quasi violenta. Inutile.

All’interno il locale è minuscolo e diviso su tre piani. Il parterre, due balconi striminziti ai lati e un terzo piano elevato. È claustrofobico. Il pubblico tocca il soffitto. La temperatura è molto elevata. Sul palco sono i White Fence, uno dei tanti progetti collegati a Ty Segall. Ty è giovanissimo ma sembra una vita da quando ha invaso la scena musicale con una miriade di progetti psichedelici, rumorosi, aprendo una serie infinite di possibilità musicali appena sviluppate, a volte solo accennate. Garage bands e Syd Barrett sono stati evocati per descriverne lo stile. Nella mia testa invece frulla un nome: Guided by Voices. I White Fence sul palco sembrano venire da un’altra epoca, la psichedelia degli anni 60 reinventata anche visualmente. Il cantante nella posa e nel modo in cui imbraccia la chitarra sembra uscito da uno dei nuovi gruppi rock dalla faccia pulita che incendiavano le fantasie dei teenager di una volta. Pensate Rolling Stones o Beatles primissima maniera. Il concerto è di notevole qualità, intenso, ma è solo l’aperitivo per il gruppo di Ty Segall. Questi ultimi si presentano sul palco a sistemare gli strumenti. Ty si nasconde sotto una felpa con cappuccio, ma riconosco ben presto la chioma bionda, anche se ben occultata, e la faccia rotonda da cartone animato.

All Tomorrows Parties è il promoter per questo concerto. Da anni a Londra organizzano concerti durante i quali una composizione di una svariata serie di cantanti viene riprodotta dall’inizio alla fine, come è presentata sul disco, vinile, CD, cassetta. Formati ormai antichi, una formula forse considerata superata per un pubblico che in maggioranza consuma singoli in formato video o mp3, ma dal mio punto di vista molto indovinata. Funziona particolarmente bene questa sera con Sleeper, una composizione che riproduce uno stato d’animo ispirato da eventi personali nella vita di Segall. Un rito di passaggio. L’album è catartico. Acustico, stranamente. Segall ha confessato che in quel periodo non avrebbe potuto comporre nulla di elettrico nemmeno se lo avessero pagato.  Tre sedie, due chitarre acustiche, una batteria quasi inesistente alla destra del palco. Ty rimuove la felpa e prende posto al centro del palco tra il basso elettrico di Andrew Luttrell e la chitarra acustica di Sean Paul Presley. Il concerto è acustico ma l’energia è enorme. Il pubblico all’inizio non comprende, innumerevoli sono le incitazioni ad abbandonare le sedie “Stand up!” continuano a gridare da tutti i lati, effetto surround. Poi si abbandonano al pogo, al crowd surfing nell’indifferenza della security che si limita a chiedere ad un ragazzo atterrato nel pit di ritornare cortesemente tra il pubblico.  L’unica chitarra elettrica sul palco la suona il batterista Charles Moothart nel finale del singolo The Man Man mentre Segall prende il suo posto alla batteria. Le canzoni di Sleeper si susseguono, il ritmo diventa sempre più elevato, le corde delle chitarre saltano.

Sono di ritorno alla Scala di Londra 3 mesi esatti dopo la serata di Q&A con Lou Reed. Quante cose cambiano in 3 mesi. Lou non c’è più. Immagino il suo fantasma sul palco in questo locale pieno di storia. Forse si diverte a rompere le corde delle chitarre acustiche sul palco. Segall è costretto a cambiare chitarra per le due canzoni dell’encore, Girlfriend e la cover di Live and Let Live dei Love. Il concerto finisce, siamo imbottigliati nei corridoi infiniti del locale. Le scarpe incollate al suolo per la birra dappertutto. Caldo soffocante, livelli di distorsione nelle orecchie insopportabile. Felici.

Redazione Rumore
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