Editoriale 263: L’educazione promozionale

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L’editoriale del mese passato – con grande sorpresa – ha riscontrato una grande diffusione, condivisione (anche nel senso social del termine), apprezzamento, domande. Riassunto della puntata precedente: articolo dove si trattava la spontanea auto candidatura di apprendenti giornalisti per questa testata.

Ovunque sia finito in Italia nell’ultimo mese ho incontrato gente che mi chiedeva: Ma era tutto vero? Risposta: sì, è tutto vero.

La conseguenza immediata è stata la seguente. Casella postale ancora più inondata di curricula. Da tutta Italia, da parte di persone che scrivono: lo so bene che siete sommersi di richieste, ma fidati di me, fammi scrivere, perché io sono più bravo.

Aldilà dell’opinabilità della valutazione, un’altra delle conseguenze immediate è stata quella di ricevere richieste di collaborazione, alla nostra casella postale, da parte di gente che intendeva scrivere per “Il Corriere Del Mezzogiorno”, “Rockol” e via dicendo. Sì, è tutto vero.

Uno dei miei eroi di giovinezza, Calvin Johnson – mente dei Beat Happening e di tutto il giro off che fa capo alla K Records di Olympia, Washington – era solito dire che i discografici erano tutti uguali. Solo che quelli indipendenti avevano tagli di capelli migliori. Aggiorno l’affermazione: ho visto di recente bellissimi tagli di capelli in Universal, Warner, Sony-BMG. E sto sempre più sperimentando l’educazione promozionale delle multinazionali, che nella maggior parte dei casi è esattamente uguale a quella dei discografici indipendenti italiani e dei vari uffici stampa. Anzi, forse persino meno peggio.

La regola è, valida grosso modo per l’80% degli uffici stampa: se mi servi (come organo d’informazione) ti stresso fino all’ultimo, diversamente non ti rispondo neanche. Banale, si dirà. Banale, dirò. Io per primo non rispondo più a tutte le domande di collaborazione e a tutte le richieste di recensione (e comunque questo è un mondo talmente sexy da meritare un numero a parte). Così accade che chi si autocandida (per scrivere, essere recensito e intervistato) si percepisce come il migliore. Te lo dico in maniera immodesta quanto oggettiva, eh. Me lo dice il bluesman di Brescia, mentre il giovane cantautore veneto mi scrive perché mi sa competente in campo musicale (che dire, se non un autentico: grazie). Oppure c’è il gruppo marchigiano disco-rivoluzionario La Tosse Grassa: che ci segnala di essere addirittura finito in cronaca nelle pagine di Macerata de “Il Resto Del Carlino” e di aver subito tre espliciti (quanto non meglio identificati) atti di censura. Ce n’è per tutti i gusti. Tutti sono i migliori, sempre e comunque.

Chi fa circolare materiale promozionale è capace di scriverti nell’arco di minuti due in privato su Facebook, inviando e reinoltrando la stessa e-mail quattro volte, chiamandoti al cell. e se necessario a casa alle 22.45. Sì, è tutto vero. Se ottiene il suo scopo, spesso neanche ringrazia. Anzi, portato a casa il risultato, non ti risponde neanche più, fino al prossimo obiettivo da raggiungere. Multinazionali e non, beninteso, al netto del taglio di capelli. Ci sono dischi che aspetto da mesi, richiesti. Ma siccome il loro potenziale promozionale ormai è deceduto, non arriveranno mai, già lo so: ecco come lavorano gli uffici stampa. Vogliamo tutto, ora e per poco tempo. Dopo non ci interessa, grazie, abbiamo già altri clienti da soddisfare.

Ognuno nella vita, con le donne e gli uomini, col lavoro, fa con i mezzi che ha, ebbe a scrivere il sommo Gabriele Romagnoli. Mai verità mi sembrò più scolpita. Gli spazi sono pochi per la musica. E ci si arrangia. Con comunicati stampa iperbolici. Tutti. Ma davvero pensate che noi ce li si beva tutti? Però per fortuna ogni tanto qualcuno si scosta da questo atteggiamento. Per esempio i suddetti marchigiani La Tosse Grassa. Castigano tutti. Senza compromessi. Inviano alla nostra attenzione un pacchetto con ricco comunicato stampa colorato. E sul retro del digipack ci sta scritto: “Ama la musica. Odia la Siae”. Di fronte a tanta intemperanza apro il digipack. E: il disco non c’è. Silenzio. Io sarei anche per amare la musica. Ma c’è un marchiano errore dovuto alla sciatteria che sempre trionfa nel mondo della musica italiana? Oppure questa è un’opera concettuale. Un’installazione discografica che ci sta dicendo – in silenzio – che l’oggetto musica ormai è stato talmente depauperato da essere diventato vuoto? Voto per quest’ultima.

Nel frattempo buone feste.

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