Intervista: Money

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di Diego Ballani

C’è un nuovo fermento a Manchester e Dio solo sa quanto ce ne sia bisogno. In effetti, negli ultimi anni i protagonisti non sono mancati. Ad esempio, ci sono stati gli Oasis. Ma se si pensa a come in passato la città del Nord abbia rappresentato l’avanguardia artistica e culturale d’Albione, si fatica a riconoscere nella retorica spiccia dei Gallagher l’eredità di Smiths e Joy Division. Ora le cose sono destinate a cambiare, grazie anche a una formazione dal sound denso ed evocativo e ad un personaggio, il frontman Jamie Lee, che aspira ad annullare il divario pop music e poesia.

Londinese trapiantato a Manchester, Jamie Lee è convinto che nel clima decadente della metropoli si celi il segreto stesso della sua ispirazione e della sua curiosa visione del mondo. Ce ne ha parlato nel corso di una lunga chiacchierata telefonica.

La critica è rimasta parimenti colpita dalla qualità della vostra musica e dalla peculiarità delle vostre liriche. Secondo te, come mai oggi è così difficile trovare una band che presti attenzione sia a una che all’altra cosa?

Probabilmente perché nell’ambito di quello che oggi consideriamo il mainstream pop, gli artisti non traggono ispirazione da discipline come la letteratura, le arti figurative, la scienza e la filosofia, sono solo interessati a emulare altre bands o altri musicisti. Il motivo è che questo ti può garantire un pò di successo senza che tu debba dimostrare di essere particolarmente intelligente o perspicace. Basta solo imparare certe caratteristiche musicali di chi è venuto prima di te.

So che oltre all’attività di lyricist che svolgi per i Money, sei impegnato anche a comporre poesie e che ti piace distinguere fra un poema e i testi che scrivi per la band. Mi chiedo se preferisci pensare a te stesso come un musicista o come un poeta prestato alla musica.

Penso che non spetti a me dirlo (ride). Il mio interesse principale sono sempre state le parole. Sin dalla giovane età, la mia attenzione si è rivolta a quelle. Il che non significa che non mi interessi la musica, ma che sono soprattutto le parole a commuovermi. Se dovessi abbandonare una delle due cose, opterei certamente per la musica. Questo perché ritengo che la poesia sia un medium più diretto e complesso al tempo stesso.

Dunque la pop music è una sorta di arte minore?

No, non dico questo. Ho iniziato a fare pop per cercare di cambiarne certi aspetti, di introdurre un po’ di sperimentazione. Sinceramente non credo di averlo fatto con questo album, ma lo faremo di certo con il prossimo. Penso che un risultato meraviglioso che ogni forma d’arte tradizionale si dovrebbe porre, sia quello di cambiare la percezione di ciò che è possibile fare con un determinato mezzo. Mi piacerebbe che riuscissimo a farlo anche noi con la nostra musica.

Un progetto ambizioso, considerando che oggi la musica pop viene vista per lo più come mero intrattenimento…

Mi sembra che ci sia un atteggiamento piuttosto sterile all’interno della pop music britannica, che in un certo senso riflette quello della società britannica stessa. Per esempio, non vogliamo in alcun modo discutere o pensare alla morte, cerchiamo di non farlo a meno che non ci siamo costretti. Lo trovo sintomatico di questa tendenza più generale a non voler pensare a questioni serie e drammatiche.

La mia è una generazione piuttosto edonista, che desidera solo fuggire, rilassarsi, ingerire e consumare. Se qualcosa di serio le si para davanti, le sembra quasi innaturale. Credo che sia bene cercare di cambiare quest’atteggiamento e mostrare ai giovani che la realtà è molto più complicata.

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Questo tema mi ricorda molto quello che Morrissey diceva a proposito della società inglese dei primi anni 80. Musicalmente voi e gli Smiths siete molto differenti, tuttavia non posso fare a meno di trovare alcune similitudini. Quanto credi sia dovuto al fatto che venite entrambe da Manchester?

Non saprei. Per quanto ci riguarda, Manchester ci ha dato tutto. È un posto incredibilmente affascinante. Io la chiamo “la città dei poeti”. Per me è la cosa più vicina alla realizzazione fisica dell’aldilà. È una città onesta, violenta e surreale, ma anche artistica, controversa e edonistica. È il luogo dove tutte queste forze sono in azione. Questo è quello che intendo per “aldilà”: un luogo in cui non è possibile nascondere l’essenza di tutte le cose: gioia, tristezza… È come un enorme cimitero.

Nelle tue canzoni c’è romanticismo e disillusione. Quando dici “if you hold me forever…I’ll become bored of all of this together”, è questo che pensi delle relazioni umane? Sono tutte destinate alla dissoluzione?

So che questa canzone sembra parlare d’amore, ma in realtà non è così. Non tratta necessariamente di una relazione fra due persone. Tratta piuttosto del senso di comunione che nutriamo con gli altri. Questo perché, paradossalmente, cerchiamo disperatamente la compagnia degli altri, ma allo stesso tempo abbiamo un bisogno disperato di rimanere soli. Non c’è ottimismo o pessimismo nelle mie canzoni, ma solo il desiderio di ripristinare una fede che è stata persa.

Che cosa significa per te “fede”?

Significa avere obblighi nei confronti di se stessi, di una causa o di un sistema di credenze. Il che, in un certo senso, ti fa galleggiare sulla superficie del mondo. Per quanto mi riguarda, preferirei affondare e vedere cosa c’è nel fondo.

È questo il tema di cui parla la canzone So Long (God Is Dead)?

In un certo senso, sì. Credo che gli esseri umani si distinguano per due fattori: la paura di morire e la paura di rimanere soli. Noi creiamo la nostra concezione di Dio per cercare di superare queste due paure. Per questo il nostro Dio è ubiquo e immortale, perché gli attribuiamo le caratteristiche che vorremmo avere. Ecco, io credo che in questi tempi l’uomo abbia perso la fede, nel senso che ha perso il suo desiderio di diventare Dio…senza mai aver raggiunto l’obbiettivo, sfortunatamente.

Dunque quello che predichi è una sorta di umanesimo.

No, direi piuttosto di individualismo. Credo di essere ossessionato dal modo in cui una persona può diventare un individuo, tirarsi fuori dal rapporto di comunione che ha con gli altri, con la società o con le idee altrui. In che modo si può diventare degli autentici “individui”? Credo che se ti allontani il più possibile da tutte le persone puoi diventare qualcosa di più (o di meno) di un essere umano. Scoprendo la propria individualità, ognuno può diventare una specie di figura divina.

Ti avrei voluto chiedere se c’è un tema centrale nel vostro disco d’esordio, ma poi ho letto sulla vostra pagina di Facebook una frase interessante: “All’uomo è stato fatto credere al tempo stesso di essere tutto e di essere niente…”. In questo senso Shadow Of Heaven rappresenterebbe la descrizione di una discesa agli inferi, nel tentativo di colmare un vuoto. È corretto?

Sì, esattamente. Abbiamo perso la nostra interpretazione poetica e spirituale dell’universo. Siamo stati blanditi da interpretazioni scientifiche e tecnologiche che ci hanno mesmerizzato, suggerendoci che “siamo tutto”. In realtà viviamo con la paura della morte e la consapevolezza che non siamo nulla. Viviamo in questa strana era in cui ci sentiamo immortali e incredibilmente mortali allo stesso tempo. Viviamo nell’ombra di quello che vorremmo essere.

C’è anche un elemento carnale nei tuoi testi. Ho letto che nelle interviste parli apertamente della tua bisessualità…

Certamente. Sarebbe disonesto da parte mia cercare di nascondere qualcosa se poi ho intenzione di scrivere testi confessionali. Inoltre penso sia catartico essere onesti sulle cose di cui dovresti sentirti in imbarazzo. Una buona poesia dovrebbe sempre trattare di cose di cui ti vergogni, perché in questo modo puoi sfidare te stesso e gli altri a superare certi atteggiamenti statici.

La vostra musica vive del contrasto fra la dolcezza delle melodie e la durezza dei tuoi testi. Mi domando se anche il nome Money intenda suggerire un contrasto, quello fra arte e materialità.

In un certo senso sì. Tuttavia, se ci pensi, è piuttosto calzante chiamare “denaro” un’opera d’arte. Anche con i grandi capolavori c’è sempre questa necessità di attribuire loro un valore. Quando vai in un museo vedi persone che si rapportano alle opere per la loro tragicità, oppure chiedendosi quale può essere il loro prezzo, o solo per il fatto che appartengono a quel museo. Quello che a me interessa sapere, invece, è quale possa essere il suo intrinseco valore artistico. È la solita cosa di quando entri in un pub, in Inghilterra, e c’è qualcuno che canta una canzone popolare. Ti fa emozionare, ma si tratta di qualcosa di estremamente transitorio. Credo che quei momenti in cui ti imbatti in qualcosa di artistico, che poi immediatamente scompare, siano un’affermazione politica molto potente e una grande realizzazione emotiva.

So che come band siete attivi già da qualche tempo. Mi puoi dire qualcosa sugli esordi e su come vi siete incontrati?

Charlie ( Cocksedge, il chitarrista, ndr.) aveva un appartamento qui a Manchester, in cui lui e il resto della band suonavano musica strumentale. Io mi sono presentato con una chitarra acustica e delle terribili canzonette da ragazzina che parlavano di cose di cui non sapevo assolutamente nulla (in seguito le ho date alle fiamme!): in un certo senso sono loro ad avermi salvato!

Com’è arrivato il contatto con Bella Union? Credo che non ci sia etichetta che si adatta meglio al vostro sound…

Sono stati loro a contattarci tramite la nostra pagina Facebook. Ci hanno ascoltato e hanno detto: “devono assolutamente far parte dell’etichetta”. E così è stato. È un approccio piuttosto differente da quello che hanno oggi le label, che sono piuttosto portate a prendere tempo e sono sempre molto riservate su come hanno intenzione di spendere i soldi.

Al di là dell’ottima accoglienza che il vostro album sta ricevendo un po’ ovunque, siete soddisfatti del risultato?

Credo che possiamo fare meglio di così e che il prossimo disco sarà migliore. In questo album le melodie sono venute prima dei testi. Nel prossimo l’approccio sarà differente. Si baserà sulle liriche e poi verrà la musica, che sarà sicuramente più coraggiosa e sperimentale di quella di Shadow Of Heaven. Stiamo provando soluzioni diverse, abbiamo una maggiore confidenza nello scrivere canzoni e abbiamo preso dimestichezza con le tecniche di registrazione. Sarà qualcosa di completamente diverso.

Qual è il tuo rapporto con il pubblico? Preferisci piccoli locali o ti senti pronto per i grandi festival?

No, decisamente preferiamo esibirci in piccoli locali oscuri, a mezzanotte, sorseggiando del vino: questa è la nostra idea di show. Non ci interessa il grande pubblico. Non vorrei mai ritrovarmi con delle sedicenni che fanno la coda davanti al mio camerino. Piuttosto mi ucciderei!

I Money li potrete vedere in Italia a novembre in queste tre date:

22/11 Roma – Circolo Degli Artisti
23/11 Padova – Movement
24/11 Ravenna – Bronson

UPDATE:

Confermati nella line up dell’Ypsigrock Festival 2014 che si svolgerà dal 7 al 10 agosto in Sicilia, a Castelbuono, in provincia di Palermo. Nello stesso festival ci saranno anche: Belle and Sebastian, Moderat, Anna Calvi, Sun Kil Moon e molti altri.

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