Intervista: Factory Floor

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di Francesco Bommartini

Sintetizzatori, noise e batterie acustiche ed elettroniche: sono questi gli elementi che permeano la musica dei Factory Floor dal 2005. Ma solo oggi (24 ottobre) il trio composto da Gabriel Gurnsey, Dominic Butler e Nik Colk ha dato alle stampe un vero e proprio album, che segue una manciata di singoli ed EP. Lo ha pubblicato la Dfa Records, casa discografica di New York attiva dal 2001 nell’ambito della dance d’avanguardia.

Come state?

Gabriel – Siamo appena tornati da un tour europeo di una settimana. Stavo controllando le mail: c’è un sacco di lavoro da fare (ride). Ma va bene, è stato un bel tour.

Il vostro ultimo omonimo lavoro è anche il vostro primo album vero e proprio dopo due ep ed alcuni singoli. Perché avete deciso di pubblicare un full-lenght nell’era dei singoli?

Nik – Dopo aver fatto singoli ed ep era giunto il momento, per noi, di avere un documento composto da 7-8 canzoni. Si è trattata di una progressione naturale, sfociata appunto in questo lavoro. Ci piacciono anche i download e i singoli, ma cercavamo qualcosa di più organico. E’ stato uno stimolo che ci ha spinti a lavorare bene assieme.

Gabriel – Il nostro tipo di approccio non è quello di una band che impara da se stessa, ma che, semmai, lo fa ascoltando altri. In questo album potrebbe esserci il sound dei nostri prossimi 10 anni.

Pitchfork ha scritto che voi “abbracciate industrial, post-punk, disco, acid, avant-garde minimalism, electro, dub e la dancefloor”. Che tipologie di generi sono i più indicati per identificare il vostro ultimo album e perché?

Nik – E’ difficile rispondere compitamente, perché quello che cerchiamo di fare come band è unire più influenze, tre o quattro generi differenti insieme. Siamo tre individui. Ad ognuno piacciono cose differenti. Credo che avere idee diverse e trovare una via comune per esprimerle sia interessante. Per quest’album ci siamo concentrati su musica minimal dance. Credo si senta.

Sempre parlando della vostra ultima fatica…non ho notato il feeling oscuro e triste che caratterizzava i vostri lavori precedenti. Cosa è accaduto?

Gabriel – Credo che molto di quello che è cambiato nel nostro approccio musicale sia dovuto ai concerti che abbiamo suonato in questi ultimi due anni e al feedback che ci ha dato il pubblico. Siamo ovviamente sempre interessati al sound, ma recentemente ci siamo concentrati sul capire come il pubblico recepisce i nostri show. Ci piace il confronto. Sono interessato alle reazioni del pubblico, che sono sempre diverse. Ci piace divertirci quando suoniamo su un palco, e cerchiamo di fare in modo che anche chi ci ascolta passi dei bei momenti.

Nik – Adesso mi sento bene quando suoniamo assieme live. Negli ultimi due anni è cambiato molto. Prima avevamo paura di salire sul palco, cercavamo di suonare il più forte e duro possibile per scacciare l’insicurezza. Ora abbiamo realizzato che less is more. Il minimalismo, per noi, è meglio dell’approccio rock.

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Leggete magazine musicali? Se sì quali? E…cosa pensate del giornalismo musicale?

Nik – Uuu. Per me le riviste musicali sono molto importanti attualmente. E’ bello poter leggere articoli originali e che possano anche educare le persone all’ascolto. E questo, su internet, non avviene tanto quanto sui magazine cartacei. Alcune riviste stimolano anche le persone a scoprire ed ascoltare nuova musica. Per quanto riguarda i giornalisti…puoi trovarne di bravi e di meno bravi…

Certo, vale per i giornalisti come per i musicisti…

Nik – (Ride) Esattamente.

Gabriel – Io penso che il giornalismo musicale sia una grande cosa. Oggi, con internet, c’è maggiore apertura, maggiore dinamicità, ma si è persa una certa professionalità. E questa situazione ha creato crisi per i magazine tradizionali. Che per me sono importanti, in quanto forniscono documenti fisici, che restano nella storia. Credo che sia una buona cosa.

Il prossimo 7 novembre sarete al Club 2 Club di Torino. Vi piacciono l’Italia e i fans italiani?

Nik – Amiamo l’Italia, vero Gabe?

Gabriel – L’anno scorso abbiamo fatto un gran bel tour in Italia. In quattro giorni siamo stati a Roma, Torino, Carpi e…non ricordo il nome dell’altra città (Milano nda). Ci siamo divertiti molto. Considerato che non eravamo mai stati in Italia prima, il pubblico è stato grandioso. E’ stato un grande, seppur piccolo, tour. Per questo motivo non vediamo l’ora di tornare il 7 novembre. L’altra volta, a Torino, abbiamo suonato in un posto più piccolo di quello in cui suoneremo la prossima volta (si trattava dell’Astoria nda). Ricordo perfettamente il cibo: grandioso. Ma è stata tutta l’atmosfera ad essere magica.

Quando suonate dal vivo l’improvvisazione è il fulcro dei vostri set. Cosa succede quando provate?

Nik – Improvvisiamo anche durante le prove. Per quest’album abbiamo provato tutto il disco più volte, e quando suonavamo live improvvisavamo molto. Speriamo di entrare nuovamente in studio per registrare un nuovo disco a gennaio.

Gabriel – Provando abbiamo imparato ad accettare che quello che vogliamo fare on stage è rendere il pubblico parte di una grande prova. Durante le date del tour europeo non abbiamo mai suonato lo stesso set. E’ importante sapere cosa si fa, ma è altrettanto importante essere spontanei. Per la registrazione dell’ultimo album abbiamo inciso lo stesso brano anche per 3-4 ore di fila per poi prendere le parti migliori delle varie tracce. E’ così che funziona per noi. E sono contento, perché ne è uscito un bel disco.

Potete descrivere il tipo di strumentazione che utilizzate durante i concerti?

Gabriel – Io suono una batteria… (ride) Si tratta di una Premiere, fatta in Gran Bretagna. Suono sia parti acustiche che elettroniche. Ma niente triggering. Preferisco avere il suono organico e reale della batteria acustica e delle percussioni, mischiato con parti da drum machine. In questo periodo sto imparando a programmare adeguatamente.

Nik – Io uso un sampler. Poi paddles, stamboxes per chitarra, pedali electro harmonix, reverberi…e li mixo con pitchshifter e delay.

Come avete deciso di collaborare con il produttore Timothy ‘Q’ Wiles? Vi piacciono gli Afrika Bambaata e altre band con cui ha lavorato?

Nik – Abbiamo davvero lavorato molto insieme a lui. Prima di farlo abbiamo ascoltato quello che ha fatto in passato e ci è piaciuto molto. Il lavoro che ha fatto per noi è stato esattamente quello che volevamo. Prima di averlo in studio non l’avevamo mai incontrato…ma ha funzionato.

Gabriel – Abbiamo speso talmente tanto tempo ed energie su questo album che ad un certo punto non avevamo quasi più l’idea di cosa stessimo facendo. Lo dico in senso positivo.

Sembra che la Dfa Records vi stia dando una grande importanza. Cosa ne pensate?

Nik – Compravo vinili della Dfa già da 10 anni, quando ho cominciato a collezionarli. Li amavo. Non avrei immaginato nemmeno nei miei sogni più strampalati di lavorare con loro. Ho sempre amato il crossover di rock e dance, spruzzati con un po’ di avanguardia, che propongono. Per noi essere una delle band su cui puntano è una bella cosa. Il fatto che la loro base sia a New York, mentre noi ci troviamo a Londra, è positivo perché ci dà ulteriori opportunità culturali.

Gabriel – Penso che sia una cosa eccellente per noi. E’ davvero una label seria. Vogliono dare importanza alla musica, e questo ci piace.

Quali sono i futuri programmi dei Factory Floor?

Nik – Abbiamo degli show a dicembre in Gran Bretagna, poi in Giappone. Per il prossimo anno stiamo pianificando di andare in America e di tornare in Europa. Dopo penso che torneremo a registrare. Per noi è importante anche cercare delle collaborazioni, e potrebbe essercene una in arrivo…

Gabriel – Sono davvero eccitato quando creo nuovo materiale. Penso che in futuro ci concentreremo sul catturare la vera essenza dei Factory Floor. Vogliamo catturare il nostro suono live, la sua spontaneità. C’è molto da fare ma sono davvero entusiasta dei nostri progetti.

Qui sotto, il video di Two Different Ways.

Redazione Rumore
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