Intervista ad Attila Csihar (Mayhem, Tormentor, Sunn O))), Hiedelem): “Coi Mayhem pensavo che in qualche modo saremmo stati uno scherzo, qualcosa di oltre”

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(Credit: Metal Archive)

Attila Csihar con il progetto Hiedelem sarà uno degli artisti del Jazz Is Dead di Torino, che si svolgerà dal 10 al 12 settembre al Bunker di Torino. Dai Tormentor ai Mayhem, la carriera di Attila è assai sfaccettata e ben poco lineare

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Di Luca Stra

Attila Csihar, cantante e chitarrista cinquantenne noto soprattutto come frontman della black metal band norvegese dei Mayhem, è un personaggio poliedrico e spesso incline all’estremo. Con il suo gruppo principale, i Mayhem, Attila si è ritagliato un posto d’onore nel mondo del metal grazie soprattutto ad album come De Mysteriis Dom Sathanas, lavoro dei Mayhem uscito nel 1994, che rappresenta un distillato di originalità e credibilità in contrasto con la prima ondata del trash metal, che faceva riferimento al satanismo esclusivamente per colpire il pubblico. Nel corso della sua carriera Attila ha sempre alternato uscite con i Mayhem e uscite con altre band, questo per soddisfare il suo desiderio di sperimentare soluzioni differenti e di suonare con diversi compagni di band. Alimentato dalla morte di due membri della band e dagli scandali che circondarono l’incendio doloso di chiese in Norvegia, con De Mysteriis Dom Sathanas il black metal scandinavo è diventato il genere prevalente nell’heavy metal degli anni ’90. A parte l’immagine pubblica molto controversa di Attila Csihar e compagni, l’album si distingue per l’aspetto musicale curato e per i testi imperniati sulla misantropia, il nichilismo, il satanismo e la morte, che ne fanno uno dei lavori migliori dell’intero panorama metal mondiale. Parlare oggi con Attila Csihar rappresenta una esperienza straniante perché, lontano dai riflettori, l’uomo Attila rivela una profonda sensibilità e una capacità di stabilire empatia con l’interlocutore che sembrano quasi stridere con le tematiche della sua musica. Appassionato di antico Egitto, il giorno della sua esibizione live al Jazz Is Dead festival di Torino con il progetto Hiedelem (insieme a Balazs Pandi) ha espresso il desiderio di vedere il famoso Museo Egizio, secondo al mondo per importanza a quel de Il Cairo.

(Hiedelem – Attila Csihar e Balazs Pandi)

Come è andato il ritorno ai live dopo questa pandemia che ha fermato il mondo? Sentivi la mancanza dell’odore del palco?

Attila Csihar: “Oh sì, sentivo la mancanza del palco perché sembra che sia passato così tanto tempo. Siamo riusciti a fare un paio di concerti con i Mayhem, in Norvegia, a due piccoli festival, ed è stato molto strano, quasi come ricominciare da capo. Ora sono molto eccitato che le cose si stiano smuovendo ma sono preoccupato degli spostamenti perché negli ultimi tempi è diventato un incubo. Mi annoia proprio la situazione, ma per suonare live ne vale comunque la pena. Ora dovremmo avere un appuntamento importante come Mayhem perché in Norvegia abbiamo questa piccola Hall of fame che si chiama The Rockheim Hall of Fame ed è una istituzione che rende omaggio ai singoli e ai gruppi che hanno avuto un ruolo importante nello sviluppo e nella diffusione della musica. E noi ne faremo parte! Sono davvero molto eccitato e onorato al riguardo”. 

Immagino. Iniziando dai tuoi primissimi tempi, quali sono i tuoi ricordi dei Tormentor? Se non sbaglio all’epoca eri dall’altra parte del Muro. Qual era la tua vita di giovane nel mondo dell’est?

Attila Csihar: “Complicato. Ero molto giovane allora, forse era il 1986 o 87 anche se il mio primo concerto è stato nel 1985. Il metal estremo era la new thing e noi eravamo abbastanza bravi anche se non lo sapevamo (ride). Abbiamo iniziato a farci conoscere in Ungheria anche se all’inizio era un caos, nessuno ci apprezzava, anche la scena metal ci odiava perché facevamo cose estreme e anche i punk e gli skinheads e altre persone cool ci disprezzavano. Era una situazione da pazzi, non avevamo nessuna security ai concerti e la gente ci assaliva e manco uno che chiamasse la polizia o roba del genere. Con la politica non abbiamo avuto grandi problemi per i concerti in realtà, forse qui e là ma niente che ci potesse fermare. Il problema era la distribuzione della nostra musica. A causa del sistema politico i nostri album non venivano pubblicati, qualcuno è uscito anche sei anni dopo che lo avevamo fatto. E alcuni sono usciti solo dopo i Mayhem. La condizione comunque era davvero di merda. Diciamo che eravamo molto punk style. Poi siamo cresciuti e ho preso l’iniziativa di tanti altri progetti”. 

Ok. Tu sei un musicista dalle molte sfaccettature, calcolando che, a parte i Mayhem, sei stato membro di circa 30 progetti musicali diversi. Cosa guida la tua creatività?

“La voglia di provare sempre qualcosa di nuovo, di sperimentare soluzioni diverse perché penso di poter alzare sempre il livello, di poter sperimentare di più e poi amo la musica in generale, non sono soltanto un metal guy. Da ragazzino ascoltavo molto industrial, roba tipo Skinny Puppy e pure le psychobilly band come i Meteors. Voglio dire quelle cose mi sono rimaste dentro e a volte mi tornano in mente quando meno me lo aspetto: diciamo che mi piace provare. Nelle mie prime cose sento per esempio i miei ascolti dei Front Line Assembly e tutti quei tipi di dischi che ho consumato. La sperimentazione mi ha accompagnato fino ad oggi. Ho appena realizzato una colonna sonora per un film, o meglio, per una serie horror che vedrete. Le puntate sono proprio come dei mini film”. 

Parlando dei Mayhem, la tua band è considerata un po’ il padre del black metal. Da dove nasce l’urgenza di essere così estremi e aggressivi? È solo un modo di esprimersi musicalmente o nasce dai vostri caratteri e dalla necessità di esprimere i vostri sentimenti e la ribellione a tutti i livelli?

“Ricordo che coi Mayhem pensavo che in qualche modo saremmo stati uno scherzo, qualcosa di oltre. Eravamo arrabbiati perché sottovalutati e allora volevamo fare qualcosa di veramente cool e intelligente a un certo livello. Quando realizzammo Deathcrush volevamo qualcosa che ascoltandolo ti avrebbe fatto volare via. Niente di veramente così tecnico, più un approccio punk. Mi è capitato di recente di riascoltare quei demo e sono stato letteralmente spazzato via, era davvero uno stile nuovo, un approccio totalmente diverso. Fin dall’inizio mi sono lasciato coinvolgere in pieno proprio come vita ed ero superinteressato. Ero curioso di vedere le reazioni a noi da parte del pubblico”. 

Quale è stata la scintilla che ha fatto nascere il progetto Hiedelem?

“È stato come realizzare una specie di collage dopo tanto tempo con un batterista che fa anche fusion e pure un pochino jazzy. Non so in che direzione stiamo andando, sento che non sono solo io a guidare”.

Capisco. Parlando della tua educazione scientifica, ha avuto in qualche modo una influenza anche sulla tua musica?

“Ero coinvolto dall’ingegneria elettrica anche se sono stato molto deluso dal sistema educativo ma ho avuto modo di imparare matematica e fisica a un livello superiore e questo inevitabilmente si riflette nella musica anche perché la musica è matematica e anche gli studi in ingegneria ed acustica hanno ovviamente avuto una loro influenza. In ogni caso, mi piace la scienza e penso che sia una forza che ci spinge oltre i nostri limiti”.

Parlando ancora un po’ dei Mayhem hai in programma di fare live per l’ultimo album Atavistic Black Disorder/Kommando?

“Certamente, ma sai avevamo iniziato a promuovere l’album Daemon proprio quando la cosa del Covid è venuta fuori e il nuovo EP è nato un po’ come una reazione a questo stato di cose. Comunque sì, ora che torniamo on the road sarebbe sicuramente bello suonare anche qualcosa da lì. Staremo a vedere”.

Ok, proviamo ad andare su qualcosa di più personale: chi è l’uomo Attila al di fuori del mondo musicale? In che modo ti descriveresti come persona?

“Fortunatamente o sfortunatamente la musica è la mia vita vera, il mio hobby preferito quando ero un bambino era ascoltare musica, Iron Maiden, roba così. Ero affascinato dall’Hi-Fi, da quel suono che usciva e sono ancora affascinato dal mondo dei suoni. Mi piace supportare i progetti sulla qualità dell’ascolto, risponde a un mio bisogno. A parte questo mi piace portare fuori la mia famiglia, correre con la mia bicicletta. Poi ho anche una Harley, ma è un modello racer, non un chopper. Mi piace un sacco andare in giro con quella. Poi mi interesso di politica, di come viene oggi gestito il potere. Sai, questa pandemia è stata l’occasione per il potere e anche per l’economia di controllarci meglio, io penso. Grazie a Internet però la gente può scoprire cose e guardare al futuro in modo diverso. Adoro gli oggetti tecnologici e futuristici e questo lo applico alla mia musica facendo esperimenti sulle macchine e su come far suonare in altri modi la musica. Se li usi in maniera sbagliata i computer sono uno schifo ma se li usi bene sono una grande opportunità”. 

Ad oggi sono circa 35 anni che fai musica. Come esprimeresti la tua evoluzione come musicista, c’è qualcosa di cui ti sei pentito?

“Per fortuna non ho molti rimorsi, forse su come hanno suonato certi album ma non è stata colpa mia. Forse quel che rimpiango è di non aver mai avuto un vero manager (ride). Forse rimpiango i Tormentor perché eravamo così giovani e stupidi. Eravamo giovani e non avevamo un manager che ci fermasse in tempo dal combinare guai”. 

Essere parte dell’industria musicale ha mai influenzato la tua musica o ti sei sempre sentito libero di esprimerti come volevi?

“Stiamo ancora spingendo oltre quel limite, forse l’influenza maggiore è che ti senti addosso più responsabilità di quel che fai, ma il fatto di avere una produzione di livello è molto gratificante, più gente ti cerca… e insomma non vorrei mai mandare a quel paese (usa fucked up) quel che mi sono guadagnato. Ma quando suono per i fans su uno stage è esattamente la stessa cosa che se non avessi mai avuto certi benefit. E posso assicurarlo anche per tutti i miei compagni di band”. 

A Torino suonerete ad un festival che si chiama Jazz Is Dead. Il futuro del black metal è ripetere formule o aprirsi a contaminazioni?

“Ormai il metal è così diffuso che non si può capire bene dove andiamo. Quel che è certo è che non sopporto le cose sinfoniche o roba di quel genere. Posso pensare a incroci con l’industrial perché è un genere che amo da sempre. E poi ascolto le nuove band interessanti che vengono fuori perché possono essere un’ispirazione. Comunque ora che con i Mayhem entrerò nella Hall of fame norvegese sento una certa responsabilità di essere riconoscibile per il nostro pubblico”.

Grazie mille. E quando vieni a Torino non dimenticarti di visitare il Museo Egizio. Sai è il secondo al mondo dopo quello del Cairo!

Davvero? Fantastico, io adoro l’antico Egitto e tutte quelle cose! Mandami più informazioni e dov’è, eccetera.

Redazione Rumore
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