Tokyo: Koenji, il quartiere dove ogni barman ha una band

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Sakerolls live al Koenji High – Foto di Takuya Okada

Di Lavinia Siardi

Quando dall’occidente si pensa a Tokyo in termini di zone giovani e controcultura è facile imbattersi negli inflazionati nomi di luoghi come Shibuya, Harajuku, e affini. In pochi sanno che, a poche fermate dal cuore di una delle più grandi metropoli contemporanee, sorgono quartieri dove ogni giorno centinaia di musicisti prendono la metro per andare in studi di registrazione e sale prove sparsi per la città, vinyl bar e locali accendono le casse sin dal primo pomeriggio e l’uniforme del salaryman cede il posto a chiodi rattoppati, abiti vintage dalle sfumature più disparate e magliette consunte di band dai nomi impronunciabili. Koenji è uno di questi.

Soprannominato “l’India del Giappone”, è in pochi anni passato dallo status di ghetto punk a quello di cuore pulsante della cultura giovanile nipponica: basti pensare che è facile imbattersi in espressioni come “in stile Koenji” o “è un tipo da Koenji”; ad indicare come non si tratti di una mera area periferica della città, ma della culla di un vero e proprio stile di vita, fatto di amore per la musica, curiosità fuori dal comune per tutto ciò che è controcultura e sottocultura, accettazione e apertura verso lo straniero, convivialità e spirito imprenditoriale giovanile. Le grandi catene stanno cedendo man mano il passo a piccoli business di nicchia, rendendo il quartiere una costellazione di negozietti e locali ciascuno con un’identità forte e ben definita, e trasformando l’esplorazione urbana della zona in un’avventura estremamente avvincente e mai uguale a se stessa.

Poche settimane fa assistevo al Super Ball, festival di band locali presso la storica venue Koenji High, e notavo come almeno un membro di ciascuna band fosse il proprietario di un locale o di un negozio nelle vicinanze. Affascinata dalla doppia vita di molti Koenjers, ho deciso di approfondirne le dinamiche, chiacchierandone davanti a diversi drink bevuti nei piccoli locali fumosi dei rispettivi interessati.

HIBARI – BAR BAR

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Hibari al lavoro al BAR BAR – Foto di Kai

La prima volta che sono entrata al BAR BAR, mi è stata fatta notare una bici estremamente pittoresca, dalle ruote grandi come quelle di un fuoristrada, incastrata nell’antro di una scalinata al neon assolutamente non sospetta. Avrei scoperto di lì a breve che la bici apparteneva a Hibari, proprietario di una delle piccole chicche nascoste di Koenji e chitarrista in svariati gruppi locali, e che la scalinata portava al Bar Bar, locale al primo piano di un anonimo edificio che ospita palestre per la danza, negozi di capi vintage di alta moda e appunto uno dei bar più interessanti del quartiere.  Parrucchiere di giorno, cocktail house di notte, la doppia anima del locale ha origine dalla decisione della coppia Misa – Hibari di terminare i rispettivi lavori da dipendente (lei parrucchiera, lui dipendente in un ristorante della zona) e di aprire un posto tutto loro. “La decisione di combinare i due aspetti in un unico spazio”, racconta Hibari, “è nata dalla necessità di proporre qualcosa di nuovo e non convenzionale. Koenji è un posto interessante e stimolante, e volevamo dare il nostro piccolo contributo, proponendo una formula innovativa e al tempo stesso raffinata. Siamo stati sufficientemente fortunati da ottenere le licenze per entrambe le attività in contemporanea, e da lì è partito tutto.”

Ad oggi il BAR BAR ospita periodicamente workshop e eventi serali, dove è possibile veder esibirsi artisti della zona (uno degli aficionados è Kris Roche, mezzo americano mezzo giapponese, che ha di recente accompagnato la superstar Hikaru Utada durante il programma SONGS trasmesso dalla TV nazionale NHK), e il sottofondo delle chiacchiere serali è spesso costituito da qualche disco degli artisti che sono passati di lì o da una delle band di Hibari stesso. La lista è lunga: mentre conta con le dita Hibari inizia ad elencarle tutte. “Sakerolls, che fanno rock, Tequila Muchos, una band comica, The She, rockabilly, e i Supernatural Delight, con cui suoniamo electro”. Non è convintissimo di avere finito, ma non riesce a ricordarne altre, mentre fissa con aria pensosa la sua Martin, appoggiata accanto al pianoforte a muro del bar. Parlando di doppie vite, sicuramente quello dei Sakerolls è un caso piuttosto eclatante: il nome proviene dal locale del cantante della band, il batterista gestisce un negozio di strumenti musicali usati che è anche un bar e il bassista lavora in un’azienda di moda. La quintessenza di Koenji: non per niente erano gli headliner del Super Ball di quest’anno.

TAKA – EL PORTEGO

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Kota e Taka dietro al bancone de El Portego – Foto di Lavinia Siardi

A pochi metri dal Bar Bar, attraversando la strada, un cartello in metallo attira l’attenzione di qualsiasi italiano che si trovi a passeggiare nei paraggi: “El Portego”, recita. Guardando più approfonditamente, si può notare una serie di piccoli elementi che portano a chiedersi se non si è vittime di uno sfasamento spazio-temporale che, per qualche strano motivo, ha catapultato nel mezzo di un quartiere tipicamente giapponese una manciata di metri quadri in tutto e per tutto veneziani: botti di legno, calici da ombra, lavagnette scritte fitte fitte in katakana (allora forse siamo ancora in Giappone) e una lunga sfilza di cicchetti impilati lungo il bancone.

Terzo di una serie di bacari veneziani aperti da Taka e Kota negli ultimi cinque anni, El Portego raduna una clientela di musicisti, uomini d’affari, modelle, studenti, skater, artigiani, gaijin e viaggiatori, dispensando a tutti spritz fatti a regola d’arte e cicchetti dal tocco fusion, “per renderli adatti al palato dei giapponesi”, spiega Taka. “La prima volta che ho visto Venezia, me ne sono innamorato. Non solo della città, che ovviamente è meravigliosa, ma anche della comunità, della convivialità all’interno dei bacari e delle osterie, dello stile di vita. Volevo ricreare la stessa vibrazione in un locale a Tokyo, e, dopo aver aperto il primo dei tre bacari – l’Antica Locanda – a Koenji, sono rimasto completamente conquistato dal quartiere”. Quando chiedo a Taka perché ha iniziato proprio a Koenji mi racconta che era solito suonarci spesso con la sua vecchia band, i Dead Man Smoking, presso una venue chiamata Showboat, dove scoprirò più tardi aver fatto tappa anche una band italiana che ho accompagnato al bacaro nei giorni successivi: gli Zephiro. È un mondo piccolo.

Di lì a due anni ha aperto Il Doge, e l’anno scorso El Portego. “Koenji mi piace perché è un luogo dove le persone possono essere sé stesse. Non per niente molti stranieri scelgono di vivere qui: è un quartiere aperto e accogliente, dove è facile integrarsi e c’è una forte predisposizione all’incontro da parte degli autoctoni”. Quando gli chiedo come mai ha ricominciato a suonare dopo tanti anni, mi spiega che il richiamo della batteria ad un certo punto è stato impossibile da ignorare: avendo tanti clienti musicisti a un tratto non ha più resistito e ha proposto a Jay Nakayama, chitarrista diplomato al Los Angeles Musicians Institute e già membro degli Her(b)est, di formare una nuova band. Così sono nati i BTS, in cui è stato prontamente coinvolto Kota, co-proprietario dei tre bacari, alla chitarra, e Yashiki, cliente abituale del posto, al basso.

Progetti per il futuro? “Aprire un bacaro a Venezia”, mi risponde fiero. E, vista la determinazione e la qualità dello spritz, non stento a immaginarlo.

ISSEY – THE DAY FOOD LAB

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Issey in cucina a The Day Food Lab

Per finire, dal lato opposto della stazione di Koenji, ho deciso di fare quattro chiacchiere con Issey: non suona in nessuna band, ma è un vero autoctono della zona e ogni volta che entro nel suo locale mi ritrovo a canticchiare a bassa voce alcune delle mie canzoni preferite: se esistesse una playlist su Spotify di The Day Food Lab (questo il nome), la seguirei subito.

Attivo da pochi mesi, Issey mi racconta di aver aperto The Day a Koenji perché è il quartiere dove vive da ormai 14 anni con la sua famiglia: “l’ho visto trasformarsi da ghetto a quartiere giovane e in costante crescita. Sempre più ragazzi stanno aprendo i loro negozi o bar, c’è un bel drinking style e mi piace il fatto che Koenji abbia conservato negli anni la sua atmosfera estremamente locale, senza venire cannibalizzato dalla grande città.”

Anche Issey fa parte della folta schiera di giapponesi che, stufi di lavorare per conto d’altri, decidono ad un certo punto della loro vita di seguire la loro passione e aprire un posto tutto loro. Lasciato il lavoro come chef a Roppongi, Issey propone ora una raffinata cucina internazionale e un parco gin in costante crescita, ospitando saltuariamente eventi e mostre. “Mi piacerebbe che The Day potesse ospitare l’arte dei miei amici della zona, e diventare un punto d’incontro per quanto riguarda il loro modo di fare moda, pittura, fotografia…”.

È interessante notare come ciascuno di questi giovani gestori viva molto sentitamente il proprio ruolo sociale, costruendo un tessuto di supporto alla creatività del quartiere che sfocia spesso in un fitto calendario di concerti, mostre, dj set e esperimenti culinari. Tra barman si scambiano bottiglie rare, assaggini fugaci e dritte musicali, costruendo passo dopo passo un network collaborativo e affettivo che rende Koenji un piccolo paradiso di libertà solidale dal cuore sì metropolitano, ma al tempo stesso irriverente e indipendente. Non per niente il movimento punk giapponese, si sussurra, è nato proprio da qui.

Redazione Rumore
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