Live Report: Be Forest @ Covo Club, Bologna, 4/04/2014

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be forest

di Antonella Garro

I Be Forest sono un gruppo shoegaze proveniente dallo stesso milieu culturale di Altro, Camillas e Dadamatto.

Erica Terenzi in piedi alla batteria senza kick drum (Bruno Dorella ha fatto scuola), Nicola Lampredi alla chitarra e Lorenzo Badioli ai synth rappresentano il vetro di una lampada attorno alla luce di una candela, dove la fiamma è Costanza Delle Rose, cantante e bassista della band. I componenti del  gruppo di primo acchito possono risultare freschi come hipster, ma gli abiti si sa, non servono più a indicare niente.

Se chiudo gli occhi infatti quello che riesco a percepire è materiale dall’esito post-punk, che rimanda direttamente ai Catherine Wheel e ai My Bloody Valentine (ma senza metadone). A quasi tre anni di distanza dall’uscita di Cold, il quartetto marchigiano si presenta sul palco del Covo con un nuovo album prodotto dall’etichetta We Were Never Be Boring di Alessandro Paderno (Le Men Avec Le Lunettes) e con un’inedita delicatezza: ogni brano viene dilatato e arricchito con contributi elettronici che pur non alterandone significativamente la struttura lasciano intravedere piani melodici differenti e più “alti”. I Be Forest hanno classe, charme e talento nonché un pubblico cospicuo ed eterogeneo questa sera, costituito da  hippie-operai, studenti in tiro, signori di mezza età, curiosi che ne studiano e amano le mosse.

Pezzo chiave di tutto il live è il primo singolo di Earthbeat, Captured Heart, pezzo dark- wave orecchiabile e raffinato.

Gli altri brani del live sono scie chimiche di batterie galoppanti e synth afflitti, esili e sussurrati che ti lasciano un po’ attonito, li sospeso con i piedi tra le nuvole: c’è tutta la tenerezza di post-adolescenti carichi di entusiasmo e paura, ma quello che trovo stupefacente è la spontaneità con cui penetrano la barriera del linguaggio, con parole e suoni angelici, involontariamente gotici.

Nulla si oppone alla Noia?

I Be Forest si esibiscono stasera insieme agli amici Brothers In Law, in occasione di un mini tour di quattro date, il Twin Days, che li vede calcare anche i palchi di Roma, Ravenna e Padova.

Oltre a una certa affinità stilistica, sono molte le cose che hanno in comune queste due band pesaresi: condividono lo stesso chitarrista e la stessa etichetta, ed entrambe le batterie sono suonate in piedi, prive della grancassa d’ordinanza (tra l’altro la batterista dei Be Forest ha realizzato il video di Holy Weekend, traccia contenuta in Gray Days, secondo album dei BIL).

Il concerto si apre con i Brothers In Law che presentano il loro ultimo lavoro, Hard Times for Dreamers, un album ricco di spunti dark-wave che per i ghiotti di parallelismi potremmo collocare tra i Prids e gli italiani A Classic Education. Rispetto ai Be Forest i suoni dei BIL risultano più rock e con meno pulsioni verso l’elettronica, pur mantenendo una sfavillante attitudine new dandy. Si comincia con Lose Control e Ode to Love, pezzi che consentono di lanciare uno sguardo corrosivo sui New Order, poi la mia preferita Go Ahead, dark come In Between Days dei Cure ma più grezza e con le scarpe da basket.  L’esibizione si chiude con il pezzo chiave dell’ultimo album Leave Me, e con la già citata Holy Weekend, con la quale i tre di Pesaro, dotati di un nuovo bassista, danno vita a una bizzarra miscela musicale tra gli Osker e i Jesus & Mary Chain.

Mi strizzo l’occhio da sola per come ho deciso di concludere questo articolo: avete mai avuto la sensazione di esser stati fregati leggendo una buona recensione di un disco che poi avete comprato? La musica dei Be Forest e dei Brothers In Law rappresenta invece un’intera gamma di attraenti opzioni che si discosta dai cliché tipici del genere, fatta di quel qualcosa che ti prende dal cervello fino alla punte delle scarpe, una musica celeste e angelica ma che “puzza” di cordite. Le aspettative per la serata sono state quanto meno superate.

Redazione Rumore
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