Live report: Disclosure @ Alcatraz, Milano, 17/03/2014

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di Elia Alovisi – foto via Vivo Concerti/Francesco Prandoni

La sensazione che hai, uscendo dalla fermata Maciachini della gialla di Milano, è decisamente quella dell’evento. Gruppetti di gente, dalle tre alle dieci persone, scendono dal treno e si dirigono carichi verso le uscite – molte nella direzione sbagliata, in quanto stranieri. Si sentono diversi accenti tutto tranne che italiani, soprattutto americani – tanto a testimoniare la portata internazionale dei due fratelli Lawrence, che con un disco sono già arrivati ad essere presenza fissa sia nella selecta da indie club, sia (anche se in maniera minore) negli ascolti di chi l’elettronica si limita ad ascoltarla in radio e privilegia la melodia al drop. Se ascolti Alesso e non i Chainsmokers, nulla ti vieta di appassionarti a una Latch sentita da un amico, diciamo. E la cosa è incredibile, se pensiamo a quanto in realtà le radici di Settle siano nell’elettronica non-mainstream made in UK in toto – garage, house, grime, dance, tutto è parte dell’equazione, tutto è portato splendidamente al presente.

Quindi, quando si parte con la doppietta F for You (nella versione con Mary J. Blige)/When a Fire Starts to Burn, la reazione è prevedibilmente positiva e carica. Ci sono cellulari ovunque (e della cosa se ne è parlato profusamente), ma la ratio schermi:mani al cielo è, secondo me, accettabile. Si bevono molti cocktail nonostante sia lunedì sera, si fumano molte sigarette nonostante i “GRAZIE PER ADERIRE ALLA NOSTRA POLITICA ANTIFUMO” proiettati su vari schermi all’interno dell’Alcatraz (anche in inglese, giusto per star sicuri). Ma è bello testimoniare come la carica non scemi quando, dalle hit, si passa a Boiling e Tenderly, che su Settle erano solo bonus track dopo essere state pubblicate, rispettivamente, sul The Face EP e su un singolo nel 2012. E ti rendi quindi conto che adesso, nel tour del loro primo disco, i Disclosure possono permettersi di suonare quello che vogliono, e ottenere grida e mani alzate dal pubblico. Le visuals sono decisamente minimali, e a dettare la via sono semplici forme geometriche – oltre che alla loro ormai classica faccia disegnata da linee bianche, che accompagna le parole che escono dalle casse muovendo le labbra. La setlist è ben composta, e banger come You & Me o White Noise (con gli AlunaGeorge) sono bene scandite al suo interno – particolare merito va alla doppietta What’s in Your Head/Confess to Me, che anche se non hanno un video ufficiale hanno alzato decisamente la temperatura all’interno del locale.

Capita poi che, da bravi gestori del dancefloor, i fratelli Lawrence neghino un bis al pubblico – il tutto finisce infatti con la tripletta Running (di Jessie Ware, dai nostri remixata con successo)/Help Me Lose My Mind/Latch, in una ben pensata logica di salita, discesa e salita finale. Help Me Lose My Mind, con i London Grammar, è infatti uno stacco netto: i BPM si abbassano, il basso culla e non schiaffeggia, e il ritornello corale prepara alla prevedibile celebrazione finale. E Latch viene suonata dritta, senza ripetizioni, senza modifiche particolari, senza Sam Smith che se ne esce sul palco, senza trucchetti per far prendere bene il pubblico – secondo ritornello, la musica scema nel nulla, grazie, luci, tutti a casa. Senza autocelebrazioni, si torna al nero del lunedì sera, pronti a lavar via la serata sotto la doccia, o in un’ultima birra, generalmente presi bene.

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