Intervista: Jonathan Clancy (His Clancyness) sull’Handmade Festival

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di Arturo Compagnoni

Avviato nella tarda primavera del 2007 l’Handmade – festival il cui nome rappresenta in qualche modo già una dichiarazione di intenti e di programma – giunge quest’anno alla sua settima edizione, bucando nel percorso da allora ad oggi il solo appuntamento del 2012, stagione orribile di terremoti e alluvioni.
Scorrendo l’elenco dei partecipanti delle scorse edizioni è facile rendersi conto di come nel tempo i migliori nomi del panorama alternativo italiano siano tutti passati da queste parti:
Disco Drive, A Classic Education, Yuppie Flu, Be Forest, Giardini di Mirò, Brothers in Law, Altro, Ninos du Brasil e Gazebo Penguins, per citarne solo alcuni.
Ma ancora più l’importanza del festival risiede, a parere di chi scrive, nel suo essere rapidamente divenuto polo di aggregazione di realtà diverse che esprimono come proprio denominatore comune una determinata attitudine: un luogo dove parole come indipendenza e DIY, altrove abusate e svuotate del loro significato originario, hanno ancora un loro motivo per esistere.

Alla vigilia dell’edizione più ricca di sempre del festival scambiamo qualche chiacchiera con uno dei suoi artefici, Jonathan Clancy, cantante e chitarrista di una delle migliori band oggi in circolazione, gli His Clancyness.

his clancyness

 

foto di Aleksandar Stamatovski

Quando, come e da chi è nata l’idea dell’Handmade? 

L’Handmade nelle nostre teste è nato nel 2006: io e due cari amici (Alessio e Danilo dei Welcome Back Sailors)  volevamo da tempo fare qualcosa assieme e abbiamo appunto pensato ad un festival. Loro avevano a mano un posto incredibile, una cascina nella bassa reggiana soprannominata The Cleb. Siamo partiti in maniera abbastanza spontanea e inconscia e con l’aiuto degli amici e delle nostre band abbiamo lanciato la prima edizione.

Come sono i rapporti con l’amministrazione locale e perché è stata scelta Guastalla come location?

Siamo completamente indipendenti, senza alcun sostegno da parte degli enti pubblici. Abbiamo scelto Guastalla perché appunto 2/3 dei soci abitano lì e ci sembrava bella l’idea di fare qualcosa nella campagna lontano dalla città. Io poi ho sempre fatto fatica a fare cose in casa mia a Bologna, dove ci sono ovviamente molti altri meccanismi in movimento e valide proposte.

Come è cresciuto il festival e, dal tuo osservatorio personale (sia di organizzatore che di musicista), in questi stessi anni come è cresciuta la scena italiana?

Ora il festival come si dice in inglese è finalmente “on the map”: molte band lo conoscono ed è diventato un appuntamento rispettato ed amato. In giro ci sono tante realtà interessanti e lo testimonia il fatto che ogni anno mi capita di dover scartare decine di band che avendo tempo e spazio mi piacerebbe ospitare. Non so quanto questo sia però rappresentativo della scena italiana nel suo complesso.

Come e in che tempi avviene la scelta delle band coinvolte?

Di solito avviene nei 6-7 mesi precedenti il festival. In questo sono molto testardo e cerco sempre di avere un giusto equilibrio nel provare a mettere assieme “la scaletta perfetta”. L’unico criterio di scelta è che le band ci devono semplicemente piacere, ma piacere tantissimo! Non c’è nessuna altra regola, se non che in tutte le edizioni hanno sempre suonato le “house band”: Welcome Back Sailors, A Classic Education o His Clancyness. Siamo noi a mettere la backline e ci piace l’idea di fare in qualche modo da ciceroni, un po’ come avviene al festival Woodsist organizzato ogni anno dai Woods in California.

Quest’anno poi abbiamo avuto l’idea di collaborare con quello che è in assoluto il mio festival preferito ovvero Musica Nelle Valli. Tizio, aka Bob Corn, e Fooltribe a mio avviso sono stati i primi a creare un qualcosa che avesse veramente quello spirito libero che un festival dovrebbe avere, sono stati una grande fonte di ispirazione almeno per me. Sono contento che ci sia un terzo palco curato da loro per questa edizione.

Senza voler stilare una classifica che ovviamente sarebbe questione imbarazzante, dovessi scegliere un concerto come simbolo di questi primi sei anni di Handmade quale sceglieresti?

Non so perché ma sono legatissimo ai due concerti di Buzz Aldrin e Blake/e/e/e nella terza edizione. C’era un’atmosfera particolare, molte band erano amiche e si venne a creare un clima incredibile. I Cut un anno furono devastanti, idem i Tunas. L’anno scorso il concerto dei Babies. Ma sono sicuro che se chiedessi ad ognuno di noi organizzatori ciascuno  avrebbe una sua preferenza diversa da raccontarti.

Un gruppo che avresti voluto far suonare ma non sei ancora riuscito a portare?

Quest’anno volevo assolutamente Havah e In Zaire, ma per problemi logistici non siamo riusciti. Li volevo a tutti i costi, senza di loro il cast non mi sembrava perfetto.

Ogni anno capita che ci sia qualcuno che rincorriamo e se non riusciamo in quell’occasione siamo comunque certi che in futuro lo riusciremo a portare: dei Massimo Volume ad esempio sono due o tre edizioni che ne parliamo, gli Altro una delle mie band italiane preferite, erano diventati ormai una comica, per un motivo o per l’altro saltavano sempre e invece l’anno scorso ce l’abbiamo fatta. Idem per gli His Electro Blue Voice che prima non suonavano molto dal vivo e che noi volevamo fortemente.

Qualche anno fa c’era una vaga possibilità di avere i War On Drugs ma poi non siamo riusciti. Un vero peccato!

Il festival ha ingresso gratuito ad offerta libera: come riuscite a “starci dentro”?

Abbastanza semplice: in primo luogo siamo tutti ma proprio tutti volontari, secondo quel poco che guadagniamo l’anno prima lo reinvestiamo quello dopo, terzo il festival si è creato un certo nome per la bellissima atmosfera, le band sanno come funziona e ci aiutano venendoci incontro. Noi poi facciamo tutto cercando di crescere poco a poco, senza stravolgere l’idea del festival e facendo un piccolo passo alla volta.

Sono stato una sola volta all’Handmade (lo scorso anno) ma l’idea che mi sono fatto è che questo festival raccolga un insieme di persone e situazioni che vanno al di là del “semplice” fare musica. Se alla sigla Handmade associo la parola attitudine sbaglio?

Intanto grazie, sono contento se percepisci questo tipo di atmosfera. Penso che in parte sia proprio così, molte band sono amiche, c’è una condivisione che va aldilà della musica e poca o nessuna divisione tra pubblico e artisti. Il mio sogno era mettere in piedi un tipo di festival basato sulla musica, si sul passare una bella giornata assieme in un bel posto, ma soprattutto sulla qualità musicale e sul vedere tanti set brevi in una giornata. Il festival è anche per lo più fatto da musicisti quindi forse anche per questo si crea questa situazione particolare.

È possibile azzardare un paragone con il Miami, l’altro principale festival di musica indipendente italiana?

Non saprei, non li vedo molto vicini, sono due realtà diverse. Il Miami è un grosso festival di musica italiana, con un biglietto. Noi siamo una piccola realtà, nella campagna, ad ingresso gratuito con un taglio preciso. Non penso sia giusto paragonarli, offrono alcune cose in comune ma anche altre diverse com’è giusto che sia. Tra l’altro quest’anno ci sono molti più festival validi in Italia a mio parere e personalmente sono felicissimo. Più ce ne sono di qualità, più riusciremo a crescere.

Nelle 6 precedenti edizioni sono passati solo 2 nomi stranieri se non erro (Hot Club de Paris e The Babies) mentre quest’anno il cartellone ha un respiro senz’altro più internazionale. È possibile ipotizzare un futuro sempre più in questa direzione o l’Handmade resterà un festival improntato principalmente sulle band italiane? 

È sempre stato un nostro sogno cercare di chiamare più band da fuori ma al contempo non vogliamo perdere la nostra identità vicina alle realtà più piccole e alternative locali. Se è vero che quest’anno abbiamo più band straniere in cartellone è anche vero che abbiamo anche più concerti in generale. Siamo passati dai 14 del 2013 ai 19 del 2014.

Sei (quasi sette) anni di Handmade: più le soddisfazioni o le amarezze?

Solo soddisfazioni, è un percorso incredibile: la quantità di amicizie che sono nate nel tempo valgono tutti gli sforzi. Ogni anno fare questo festival con Danilo, Alessio, Barbara, Giulia e tutte le persone che ci aiutano è un vero piacere.

Chiudiamo con un aneddoto particolare su questi primi anni di vita del festival:

Maolo dei My Awesome Mixtape che nei primi anni sperimentava la sua futura carriera, il cuoco!

Qui sotto trovate la locandina del festival, preceduta da una playlist tutta “Handmade”.

handmade_festival

Redazione Rumore
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