Il nuovo album del compositore italiano di stanza a New York Luigi Porto è ispirato agli abitanti del quartiere di Washington Heights
Un diario personale e un disco corale, frutto di una riflessione individuale e collettiva tra Italia e New York: è Tell Uric, quinto album di Luigi Porto, compositore italiano di stanza a New York, la cui ricca produzione varia dalla classica contemporanea all’alt rock, dall’elettronica alla musica per film, installazioni e sound design cinematografico. Nel 2020 ha fondato la propria etichetta Respirano Records, con cui ha pubblicato Tell Uric, in uscita il 7 maggio (distribuito in Italia da Audioglobe per La Lumaca Dischi). “Volevo prendermi una pausa di distanza dalla musica cosiddetta ‘classica’ e dall’elettronica a cui mi sono dedicato pure parecchio negli ultimi anni”, spiega, “Per quanto sia un lavoro ambizioso e dalla lunga gestazione, volevo che Tell Uric fosse un disco prettamente elettrico, da suonare con una band, senza né troppi cavi e bottoni né partiture”. L’album è arricchito dalla partecipazione di numerosi musicisti italiani e stranieri, fra cui Nefer Alexandra Linde, Mirko Onofrio, James Waldo, Al The Coordinator, Ray Lustig, Carmine Cipolla, Meredith Moore, e ha ricevuto l’apprezzamento di Angelo Badalamenti: “Con lui ho lavorato qualche volta nel suo studio per diversi progetti”, racconta Porto, “Il disco gli è piaciuto molto, sono atmosfere che gli vanno a genio, ne fu colpito. Mi ha detto: ‘Man, oh man! I’ve never heard anything like that before. You’re doing your thing! It’s abstract, hypnotizing, totally unique!’. Il che per me, cresciuto con la cassetta di Twin Peaks nel walkman, è stata una grande soddisfazione”.
Il disco è ispirato all’umanità di Washington Heights, il quartiere di Upper Manhattan dove vive: “New York, come l’America intera, è fondata sulla schiavitù. Quando facemmo le manifestazioni per Black Lives Matter, ci davamo il pugno con tutti i camionisti, postini, spazzini, trasportatori, delivery, nessuno di loro era bianco, e tutti lavoravano per i bianchi. Quando ebbi modo di scoprire che alcuni pensatori “tradizionalisti” usavano il termine tellurico per civiltà considerate inferiori, pensai che era proprio questa l’umanità che mi interessava, quella dei numeri dopo la virgola, fatta da chi per quanto si sforzi non tocca mai il cielo. Vivo a Washington Heights, che insieme a East Harlem è l’unica parte ancora pienamente working class dell’isola di Manhattan: vivo nei luoghi della classe lavoratrice composta da afroamericani e ispanici. Il loro stile di vita è ormai una bolla, contro la quale preme giornalmente da ogni lato lo spettro della gentrificazione. Così è nata una raccolta di storie, pensieri e frammenti che per me rappresentano la sovrapposizione del concetto di casta e classe, una sorta di inevitabilità, predestinazione sia a livello sociale che – tra parecchie virgolette – spirituale”.
Qui sotto potete vedere in anteprima il video di Family, girato proprio in quei luoghi: