Intervista: Celebration

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Celebration_Group_Final_large by bmcnutt

di Mavi Mazzolini

Lo dico subito, senza neanche provare a nasconderlo o ad essere imparziale: Katrina Ford è una delle persone più dolci che abbia mai conosciuto, e le volevo già bene dopo cinque minuti. Non una gentilezza di circostanza o falsa, di quelle da relazioni pubbliche forzate o opportuniste: genuina. Entro al Tunnel, il locale in cui si esibiranno, ed è a lato del palco ad ascoltare il sound check dei Future Islands, la band che li succederà sul palco. Per qualche problema tecnico la intervisterò con una ventina di minuti di ritardo rispetto all’orario stabilito, e ci tiene a scusarsi moltissimo: dopo avermi offerto una bottiglietta d’acqua “o una qualsiasi altra cosa” mi presenta al marito e mi fa accomodare sul divanetto. Ed è così tanto con me quanto con il tecnico del locale che le regola i volumi durante le prove, a cui non evita di siglare ogni richiesta con un grazie o un complimento. Che sia perché sono fra la trentina e la quarantina, che sia perché suonano insieme da anni, nel loro modo di fare c’è una sorta di liberazione normcore: naturali, tranquilli, e forse anche stufi di sforzarsi di essere qualcosa che non sono pur di distinguersi – ed è per questo che, alla fine, spiccano.

 

L’11 Settembre ha avuto un impatto notevole per te. Per descrivere la tua vita prima di quel giorno, hai detto che eri in “uno stato d’animo felice,  ma egocentrico”.

L’11 Settembre è stata una doccia fredda, come se mi avessero suonato al campanello per mostrarmi cos’è la guerra, e come se avessi realizzato per la prima volta che quei morti di cui parla il TG sono effettivamente persone. Diciamo che prima di allora non mi ero mai fatta domande riguardanti il mio governo ed il Mondo, da lì in poi invece ho iniziato a seguire gli avvenimenti in politica. Ho iniziato a capire che forse il resto del Mondo non ci ama, perché non tutto il Mondo è America. La guerra che è nata dopo quell’avvenimento non mi è piaciuta. Pensavo di vivere in tempi di pace ma mi sbagliavo, ed era solo perché non ce n’era una di fronte alla mia porta: con il 2001 ho iniziato a realizzare come ci siano moltissime guerre in giro per il Mondo, e mi ha spezzato il cuore. Sono una pacifista, e non mi piace nulla di quello che sta succedendo; non mi fido di chi ha il potere, e non capisco perché non possiamo cercare di andare tutti d’accordo. Alla fine siamo stati messi sulla terra, che dobbiamo condividere e rispettare, perché distruggerci fra noi e distruggere il pianeta?  Voglio dire, siamo tutti uguali! Anche se a livello legislativo abbiamo cercato di creare delle differenze, alla fine dei conti siamo tutti uguali e tutti sullo stesso pianeta: come puoi pensare che quello che farai non affliggerà anche te? Oltre al fatto che già è bruto di per sé pensare di affliggere solo gli altri: è ovvio che, dall’inquinamento a uno sgarbo, poi innesti una catena di eventi. È tutto un subire vicendevolmente le conseguenze di quegli attacchi… Odio tutto quello che riguarda la guerra.

Infatti War non è l’unica canzone impegnata sul tema della guerra.

Sì, in realtà ne ho scritte diverse… è perché purtroppo non sono nata scienziata. Una cosa che ho realizzato attraverso la meditazione e le pratiche spirituali è che ognuno di noi deve prendere la responsabilità per la propria fetta di torta, pensare a quello che possiamo fare e non solo a quello che non siamo in grado di controllare, cercando di bilanciarci sempre.  Quello che so fare io è scrivere canzoni, cercare di emozionare, rincuorare o sensibilizzare, ed è quello a cui voglio arrivare, sperando che sempre più persone magari ne rimangano colpite e decidano di affrontare quelle problematiche, e magari con capacità scientifiche. È un po’ come Waylon Jennings,  Mama’s don’t let your babies grow up to be cowboys: proprio lui, un cowboy, che incoraggia gli altri a non esserlo… (ride).

Hai un lato fortissimamente sensibile, che però convive con una certa leggerezza – l’ossimoro si ritrova totalmente nella tua musica .

(ride) Esattamente: da giovane ho dovuto prendermi cura della mia famiglia, quindi la mia adolescenza è un po’ questa – me la sto prendendo con calma, giro il mondo, suono, faccio quello che mi piace, e quando torno a casa come lavoro mi prendo cura di altre persone più anziane. Non ho figli e non credo che io e Sean ne avremo mai, quindi in un certo senso faccio da mamma sia agli anziani di cui mi occupo sia al mio pubblico: per questo sensibilizzare per me è così ricorrente ed importante.

D’altro canto, come dicevamo prima, alle volte anche l’insensibilità è una benedizione, e la sensibilità può essere difficile.

Se sei sensibile questo mondo è più difficile di quanto non lo sia mai stato. Quella da cui veniamo è la cultura del divorzio, una cultura in cui le persone fanno in fretta a dimenticare, lasciare andare, arrendersi e mollare quando le cose non vanno. Io sono ancora fra quelli che pensano che se una cosa ne vale la pena, se ci lavori sopra ce la puoi fare. Dove c’è impegno c’è pressione; girare per casa in mutande mentre mangi cereali e fumi erba sarebbe più facile, ma la tua vita varrebbe zero.  Sento che è anche parte del mio compito sensibilizzare gli altri se non sono sensibili di per sé. Quando ascoltavo musica da adolescente mi aiutava molto, perché mi faceva sentire come se non fossi sola – lo so, è stupido, alla fine è solo rock ‘n’ roll, ma è l’espressione umana.  Quando poi stai male non ti metti a vedere un film o un telefilm, perché amplificano troppo le tue emozioni; ti metti su le cuffie e ascolti la musica, perché…accompagna. ti siedi, ti rilassi, e la musica c’è sempre – è enorme, e il linguaggio più universale che ci sia sul pianeta. Parli di una cosa specifica, di un sentimento… che però è sentito da tutti. Insomma… l’idea mi fa venire i brividi. Se tutti fossimo più sensibili, la sensibilità stessa sarebbe meno una condanna.

Nella vostra bio, voi stessi avete definito il vostro album come “riguardante il disastro e il trionfo”

Quando compongo musica mi sento a mio agio negli archetipi, e il sentimento più sincero è quello del trionfo che succede al disastro. Suoniamo insieme da moltissimo tempo, e abbiamo vissuto tanti cambiamenti e situazioni – non solo in quanto band, ma anche a livello personale. David ha avuto un figlio, io e Sean ci siamo sposati, dei membri se ne sono andati… Tutti questi cambiamenti, anche se positivi, hanno ovviamente portato dei momenti di difficoltà – e anche se stai facendo quello che ami, una difficoltà è sempre una difficoltà, e pesa molto.  Più volte abbiamo pensato di gettare la spugna. Le due sensazioni all’opposto, sia l’abbondono del sogno che la conquista dopo la ripresa, sono le cose che abbiamo provato maggiormente. Ed essere sempre riusciti a risolvere i problemi, dai più piccoli ai più grandi, quello è il vero trionfo: più che altro ti accorgi che nessuno ti dà una medaglia d’oro quando ci riesci, e neanche una pacca sulla spalla. Per quanto sia stato difficile, è la vita, è così, non puoi far altro se non affrontare i problemi e superarli. Per questo disastro e trionfo: sono dei termini vasti ma in cui si ritrova anche il particolare. Che è un po’ il motivo in cui l’album si chiama Albumin: siamo tornati dentro, nel nostro guscio…

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