Editoriale 387: Il giovane Neil

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Neil Kulkarni

L’editoriale del numero 387 di Rumore, aprile 2024, di Rossano Lo Mele

RUMORE COVER FB NATALE 2023

di Rossano Lo Mele

Sfogliando le riviste di settore di marzo 2024 ci s’imbatte nella sezione dedicata ai libri del mensile britannico “The Wire”: periodico che molti naturalmente conosceranno, la Bibbia planetaria e conclamata della musica sperimentale. Spicca la recensione di un testo dedicato al rap e al grime inglese, soprattutto quello sviluppatosi in periferia e in provincia. L’articolo è firmato da Neil Kulkarni, il che genera nella mente di chi si sofferma un curioso cortocircuito. Neil è infatti mancato a fine gennaio 2024 in seguito a un attacco cardiaco. Ma i tempi del lavoro nel mondo editoriale non collimano con quelli della vita: l’articolo sarà stato verosimilmente consegnato appena qualche giorno prima del decesso dell’autore, poi impaginato, stampato e diffuso. Un senso di straniamento – amplificato oggi dai social media, dove anche i defunti rimangono presenti in eterno o quasi – che ha però il carezzevole sapore della persistenza. Della memoria. Della firma di Kulkarni. Delle moltitudini che quest’uomo, da noi praticamente sconosciuto, ha saputo includere in una sola persona, lungo i suoi appena 51 anni di vita.

La storia di questa vita è appassionante quanto un romanzo: un giornalista musicale, scrittore, DJ, docente, podcaster e via dicendo che ha vissuto suppergiù come una rockstar. Non che la cosa gli interessasse, ma per dire del suo lascito e delle sue (spesso estreme) modalità di scrittura. Il cognome suggerisce origini indiane, le stesse che hanno fatto della generazione dei vari Hanif Kureishi delle figure pivotali nella cultura della moderna Inghilterra. Padre ricercatore chimico, traferitosi più di 60 anni fa in Inghilterra dall’area di Maharashtra. Si sposa a fine anni 60 e nel ’72 nasce Neil: da bambino si appassiona alla 2Tone e alla figura del rude boy. La famiglia si radica a Coventry, anche per questo Neil si entusiasma per gli Specials, star locali. Il senso di appartenenza a una comunità, quella della cosiddetta Cov, è stato centrale per tutta la vita di Kulkarni. Viene un po’ in mente la telefonata di un giovanissimo Cameron Crowe (regista e aspirante critico musicale) a Philip Seymour Hoffman che interpreta Lester Bangs nel film Almost Famous: quest’ultimo intima al ragazzo di non frequentare il modo del rock, i suoi vizi, abusi, benefici e lustrini, altrimenti finirà col diventare uno qualunque. Grosso modo Kulkarni la vedeva così. Nonostante abbia lavorato per anni come colonna del “Melody Maker” (celebre settimanale londinese oggi scomparso), ha scelto di non abbandonare mai Coventry. Il senso d’indipendenza garantito dalla perifericità della sua esistenza gli ha sempre offerto libertà di pensiero. Un abito difficile da indossare, probabilmente fondamentalista, ma forse inevitabile per non essere omologato al resto dei polli d’allevamento dietro un desktop. Basti pensare all’Italia di oggi, dove nel nostro mondo gran parte dell’industria editoriale ruota attorno a due/tre bar di Porta Venezia all’orario dell’aperitivo (metro rossa, attillati al centro di Milano, vicino corso Buenos Aires, per gli agnostici). Se vuoi essere o diventare il te stesso che immagini o ti sei ripromesso, rinforzarti, allenare il pensiero e la penna, quell’isolamento è necessario. 

Difficile ovviamente che da un carattere del genere potesse emergere una deontologia morbida. Kulkarni è stato peraltro duramente messo alla prova dalla vita stessa, avendo perso la moglie sei anni fa, rimanendo padre di due figli suoi e un altro paio di figli della nuova compagna. Non ha mai cercato scorciatoie, il suo motto era quello di non mentire per nessuna ragione. E lui non lo ha fatto di certo in 30 anni abbondanti di professione. Creandosi molti guai che la maggior parte dei colleghi evita a priori. Dalla band (identità sconosciuta) che gli ha promesso di spezzargli le gambe alle baruffe con il management degli Enemy, distrutti in una recensione sul sito “The Quietus”. Dalle scaramucce Britpop con i Supergrass e i Bluetones – colpevoli a suo dire di produrre musica orrenda e per questo invitati a non entrare nella VIP Area del Festival di Glastonbury nei tardi ’90 – a quella che rappresenta una delle sue testimonianze più lucide e crudeli. Ossia la lista dei dieci capolavori più sopravvalutati della storia. Dentro ci trovate il debutto degli Oasis e la discografia intera di Frank Zappa, gli esordi di DJ Shadow e The Stone Roses così come Sgt. Pepper’s dei Beatles, il rock sixties di Who e Cream tanto quanto i bestseller hip hop di Eminem e Fugees. Attenzione, però: il suo essere provocatorio non era il cuore della professione. In un’epoca caratterizzata da temibili sciabolate e allusioni di tre righe su Facebook, Neil era un temerario autore di long form che negli anni hanno respirato su qualsiasi giornale musicale. Qualsiasi, da “Uncut” a “Kerrang!”, visto che le sue passioni andavano dall’hip hop (soprattutto) al metal estremo. Non un grande amico del mercato, del mainstream, dell’identità opaca. Chissà quanta altra roba urticante avrebbe ancora scritto, immaginato, articolato, sparso su varie piattaforme di pensiero e parole. Nel ricordarlo, il collega e amico David Stubbs (da noi intervistato solo pochi mesi fa, novembre 2023) ha ricordato la sua guida scritta per il sito “Drowned In Sound”: i dieci punti chiave per diventare un buon critico musicale. Nel salutare Neil – e con lui il povero Ernesto Assante e il “nostro” Teo Segale, scomparso in queste settimane – riportiamo qui quello più rilevante:

“Accetta il fatto che tutto ciò che dici verrà dimenticato e ignorato, ma scrivi come se le tue parole fossero immortali. Non limitarti a descrivere ma giustifica, assicurati che il lettore capisca perché il disco esiste, che le ragioni siano giuste o sbagliate. E ricorda sempre che non sei lì per fornire consigli per gli acquisti o riempire i vuoti delle persone. Tu sei lì per incendiare la testa di chi legge”.

Redazione Rumore
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Rumore è da oltre 30 anni il mensile di riferimento per la cultura alternativa italiana. Musica (rock, alternative, metal, indie, elettronica, avanguardia, hip hop), soprattutto, ma anche libri, cinema, fumetti, tecnologia e arte. Per chi non si accontenta del “rumore” di sottofondo della quotidianità offerto dagli altri magazine.

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