Live report: Lust For Youth + Huge Molasses Tank Explodes @ Ligera, Milano, 16/11/2013

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lust for youth

di Daniele Ferriero

Delude le attese, Lust For Youth, bruciando buone intenzioni e clamore con mosceria e un poco di mestiere. Un pezzo alla volta chiude le saracinesche in faccia alle speranze rimaste aperte, in virtù di quanto di buono era stato presentato su disco.

Con ordine: l’ottimo Ligera, frequentato per l’occasione da un pugno di affezionati, qualche curioso, una manica di nerovestiti balzati in attesa tra i presenti, prepara gli animi con il live più coinvolgente della serata. A stimolare ghiandole sudoripare e sorrisi sono i Huge Molasses Tank Explodes, trio rinnovato dalle rinnovate musiche. La loro nuova proposta spara in faccia agli (ahimè pochi) astanti bordate di rock’n’roll sotto forma di schegge psichedeliche, guizzanti suoni metallici ed effettistica da manuale sciamanico. Il rapido set è una tavola imbandita su leccornie che rimandano tanto a oscuri ed esoterici gruppuscoli garage quanto a misconosciuti progetti presi in mezzo alla voglia di far caciara e di costruirci sopra un suono che viva di stimoli e affondi diversi: cadenze motorik e rimandi krautrock, post-punk, sixties beat, garage e rock’n’roll, Loop e Circle e Cave. Musiche dirette al ballo e alla giugulare, con voglia di colore, ipnosi, trip e strada da percorrere. Che ognuno ci senta dentro il diavolo che vuole. Da parte mia, con un’obiettività prossima allo zero – sia chiaro – non vedo l’ora che quaglino nuovi pezzi, date e dischi.

Lust For Youth, invece, presenti in formazione a due (Hannes Norrvide supportato dalla voce di Loke Rahbek), mancano di mordente e voglia di fare. La loro wave gotica e pseudo-industriale, pur ben costruita, arrangiata e sapientemente modellata sui crismi e i cliché del genere, non acchiappa. Il duo dà l’idea di saper mestierare a dovere musiche e situazioni, ma il set è breve, poco focalizzato e seppur disturbato dal chiacchiericcio del pubblico nel frattempo sopraggiunto, dà l’impressione di farsi dimenticare nell’istante stesso in cui viene suonato. Qualche battito technoide ogni tanto pare voler venire a galla, pur mancando la voglia o la vitalità necessarie. L’insieme, costruito sui synth minimali e l’aria romanticona del gotico di facciata, rimane però fortemente calligrafico e troppo poco carico dal punto di vista emotivo, per chi non è affezionato al genere. Peccato, perché le capacità ci sono e a mancare è solo la spinta per andare  oltre il professionismo e arrivare dalle parti del fuoco sacro. Il resto è nient’altro che polvere scura che vola velocemente da qualche parte sopra le nostre teste.

Qui sotto potete ascoltare Behind Curtains.

Redazione Rumore
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