Intervista: Shye Ben Tzur parla di Junun

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I più scettici potrebbero domandarsi cosa ne sarebbe di Shye Ben Tzur e del Rajasthan Express senza la spinta di Jonny Greenwood. Questione che rende inscindibile l’incontro e la riuscita di un disco (Junun, targato novembre 2015) completamente votato al melting pot e all’abbattimento dei confini mentali e fisici. La storia dettagliata dell’incontro tra Shye e Johnny la potete trovare proprio nell’intervista di seguito. Sodalizio nato dalla stima reciproca e cresciuto a dismisura dopo la prima esperienza assieme sul palco. Dettagli che vanno a costruire un mosaico ben più ardito e ambizioso. Proprio dalle parole di Shye si intuisce il fine ultimo di Junun e la sua visione del mondo circostante: il suo è un sogno a occhi aperti. Nessuna barriera culturale e divisione geografica. Un territorio libero, in cui la tradizione indiana e musulmana convivono in maniera del tutto naturale. Unione sancita sotto l’egida di una concezione musicale improvvisata e libera da schemi.

Al netto della sacralità e del misticismo che inevitabilmente impregna un progetto ambizioso come quello di Junun, c’è un valore terreno che si può toccare con mano. Così come è accaduto al Locus Festival di Locorotondo lo scorso 1 giugno, oppure in apertura della sortita italiana dei Radiohead. Quello della comunanza che si fa carne attraverso la tradizione musicale indiana, il qawwali e le spinte sperimentali di Greenwood, qui mai troppo invadente e al modesto servizio di tutto il collettivo. Spirito e mente a cui Johnny dona il proprio contributo, lasciandosi trascinare nel fiume percussivo e mistico senza opporre resistenza. In risposta ai più scettici, dunque, c’è la testimonianza diretta di Shye Ben Tzur che trovate qui di seguito. Vero e proprio deus ex machina di un progetto ambizioso in netto contrasto con la realtà che ci circonda. Lo abbiamo intercettato proprio in occasione della data di anteprima del Locus Festival di Locorotondo, festival che entrerà nel vivo dal prossimo nove luglio con il live di Bonobo al Mavù Club.

Innanzitutto come nasce il progetto Junun?
Il progetto Junun nasce fondamentalmente dopo la partecipazione di Jonny Greenwood ad un nostro concerto con il Rajasthan Express. L’esperienza è stata così bella e stimolante da lasciarci allibiti. Non avevamo mai suonato con lui prima di allora, ma l’esperienza è stata così speciale da lasciarci con la voglia e il bisogno di sperimentare ancora assieme per vedere cosa ne uscisse fuori. Così abbiamo deciso di registrare un disco in India, sempre con il contributo della Rajasthan Band. Junun è quindi il risultato di tutta questa esperienza assieme.

Quindi tu e Jonny come vi siete conosciuti? E qual è stato il suo ruolo nella realizzazione di questo disco?
A quel tempo mi trovavo in India. Un amico in comune mi disse che Jonny conosceva molto bene la mia musica e aveva voglia di conoscermi di persona. Ovviamente ero contentissimo, quindi ci incontrammo immediatamente. Jonny è una persona molto curiosa, oltre ad essere un grande musicista e compositore. Nel nostro primo incontro abbiamo chiacchierato esclusivamente di musica – delle parti di chitarra dei Radiohead, dei rispettivi approcci alla musica e alla composizione. Da quell’incontro siamo rimasti costantemente in contatto. Dopo qualche tempo organizzammo alcune date in Inghilterra in cui Jonny avrebbe dovuto unirsi a noi solamente per un paio di brani. Invece ci raggiunse per tutto il concerto sul palco e fu un’esperienza fulminante. Ci divertimmo molto. Scattò un feeling immediato tra me, lui e tutto il resto della Rajastan. Come se avessimo da sempre suonato assieme.

Da quel momento decidemmo, appunto, di registrare un vero e proprio disco in India. Johnny è il producer di Junun, oltre ad aver suonato la chitarra e ad averci guidati nella registrazione in ogni minimo dettaglio. È stata la nostra guida durante la realizzazione del disco. Tutti i brani sono stati creati da me in diversi periodi degli ultimi anni e sono fortemente ispirati alla musica che nasce nel nord dell’India. Da questo punto di partenza abbiamo deciso di integrare le chitarre e progressioni di accordi legate alla tradizione musicale occidentale. Jonny invece ci ha spinti a rimanere fedeli alle progressioni e armonie tipiche della musica indiana, mettendo nel calderone anche molte poliritmie ed elementi elettronici con il supporto di Nigel Godrich. .

Avete anche filmato le registrazioni di Junun con il supporto di Paul Thomas Anderson. Com’è stato lavorare anche con lui?
Jonny conosce Paul da molto tempo, ha composto molte delle sue colonne sonore. Quando Paul ci ha raggiunti durante le registrazioni l’atmosfera era molto rilassata e informale. La sua mano non è stata assolutamente invadente, anzi. Ci ha filmati senza alcun disturbo, cogliendo al meglio l’atmosfera durante le registrazioni. Quando ho visto il film mi sono emozionato. Sono riuscito a vedere Junun sotto un aspetto che, lavorando dall’interno, mi era sfuggito. Tutti i momenti di intimità nello studio e ogni minimo dettaglio assumono una forma inedita quando vengono filtrati da occhi esterni.

Cosa pensi invece delle sempre più grandi attenzioni che la musica orientale riceve anno dopo anno? Da dove credi arrivi tutto questo interesse?

Credo sia un fenomeno assolutamente positivo, cresciuto di pari passo con lo sviluppo dei mezzi di comunicazione. Il mondo moderno è sempre stato dominato dalla cultura occidentale, ma in fondo l’occidente è solo una parte magnifica del pianeta. Esistono talmente tante culture differenti, e l’oriente è ricco e sfaccettato tanto quanto l’occidente. Le persone sono curiose di conoscere culture differenti e trovano la bellezza nella differenza. Credo che questo sia uno dei tanti motivi, specialmente in ambito musicale, per cui ci sia questa attenzione crescente verso le culture orientali. È un naturale scambio di informazioni e ispirazioni tra esseri umani.

junun

Junun è un termine fortemente simbolico e dai molteplici significati. Quale senso gli hai attribuito utilizzandolo per dare il nome a questo progetto?

Tutti i testi contenuti nel disco sono legati dal filo conduttore della devozione. Che sia verso Dio o verso l’amore, non fa differenza. Tutto è mosso dalla tradizione Sufi del Chishti. La poetica di Junun è stata creata da Hazrat Nawab, un santo Sufi. Il suo senso più profondo è la pazzia, intesa come estasi dell’amore. Una forza che muove i gesti degli esseri umani, le cui vite sono caratterizzate dalla bramosia dell’amore. La stessa che ha mosso i passi della nostra musica. Per noi questa è la parola che riassume al meglio tutto lo spirito del progetto.

Probabilmente l’esotismo ha giocato un ruolo importante nel vostro successo. Invece sono curioso di sapere quale riscontro avete avuto dalle vostre parti con questo progetto.
Ciò che percepisco dalle persone che incontro nel mio paese è un supporto molto sentito. Vedono questo progetto come l’esportazione di una cultura profonda. Un biglietto da visita che portiamo in giro per il mondo da parte del popolo Indiano e non solo. Direi anche di buona parte della cultura e popolazione orientale.

Dopo la pubblicazione del disco avete intrapreso un tour in giro per tutto il mondo. Hai mai avuto un’esperienza del genere prima d’ora?
Sì è già successo in passato con altri musicisti e in contesti differenti. Questo invece è uno scenario del tutto differente e speciale per noi. Andare in tour lungo l’Europa aprendo i concerti dei Radiohead è un’esperienza del tutto nuova e stimolante. Nessuno di noi aveva avuto un’occasione del genere fino ad ora. Credo di poter rispondere meglio a questa domanda tra un mese, quando tutto sarà finito. Ci troviamo ancora in mezzo ad un turbine di emozioni che non ancora ci permettono di realizzare con lucidità cosa stia accadendo. Ed è una sensazione straniante, ma bellissima.

Avete mai avuto problemi durante gli spostamenti del vostro tour? Voglio dire, questi ultimi anni di confusione totale hanno generato una fobia incontrollabile verso qualunque cosa arrivi dall’oriente.
Abbiamo costantemente dei problemi. È triste ammetterlo, ma la situazione per i visti durante gli spostamenti ha reso la vita impossibile ad ogni persona proveniente da culture differenti da quella occidentale. Tutti i sospetti e le paure generate dalla difficile situazione politica che stiamo vivendo ha reso la vita difficile per tutti. Anche per chi, come noi, viaggia per far conoscere una cultura differente in giro per il mondo. Speriamo sempre che la pace arrivi, prima o poi. Sogniamo un mondo senza confini, ma specialmente a stretto giro, speriamo vengano presi provvedimenti per tutti gli artisti che propongono semplicemente un naturale scambio tra culture differenti.

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Junun connette spirito e mente attraverso la musica. Il vostro immaginario è ovviamente a stretto contatto con la dimensione religiosa. Sei credente? Che rapporto hai con la religione?
Le mie radici sono ebree, ma nell’età adulta sono entrato in contatto con le tradizioni indiane. Ho una moglie musulmana, quindi la nostra famiglia abbraccia più tradizioni differenti, ma per noi è tutto davvero naturale. Le nostre culture e religioni hanno molte caratteristiche in comune. Ben più di quanto si possa credere. Quando scegliamo di concentrarci sulle differenze si generano scontri e controversie. Proviamo invece a porre l’attenzione sulle uguaglianze. Scopriremo che le cose in comune sono davvero maggiori delle differenze. Questa è la vera ricchezza.

Cosa pensi del futuro? Stiamo vivendo tempi davvero bui e confusi in cui è difficile farsi un’idea precisa su cosa stia accadendo. In tutta questo caos il progetto Junun si colloca in una posizione di integrazione fra culture differenti. Non credi?
Sono positivo. Piuttosto che un sentimento, si tratta di una vera e propria presa di posizione. Voglio essere ottimista perché viviamo un presente doloroso e difficile. Dovremmo tutti prendere la decisione di avere un atteggiamento positivo nei confronti del mondo che ci circonda. I miei nonni hanno subito l’olocausto, e solamente mio nonno paterno è riuscito a sopravvivere a questo incubo. Nonostante l’esperienza terrificante, è la persona più ottimista che abbia mai conosciuto in vita mia. Rimanere positivi dopo aver visto la morte in faccia e aver perso i propri parenti è la dimostrazione di forza più grande che conosco. Pensando alla sua esperienza, sento di non avere il diritto di essere pessimista nei confronti del futuro. Rimanere positivi è l’unica risposta ai problemi che ci affliggono, piccoli o grandi che siano.

Siete in tour in questo periodo. Com’è spostarsi con una band numerosa come la vostra? E per quanto riguarda il vostro liveset come vi gestite? I vostri concerti sono una sorta di grande jam session.
Si tratta di un’esperienza magnifica. Tutti i membri della band sono tra le persone che amo di più e con cui sento un legame speciale in questo momento della mia vita. È un onore condividere il palco con tutti loro. Avere tutto questo tempo da passare assieme è fantastico. Sì, specialmente in India la musica si basa molto sull’improvvisazione e l’esecuzione dal vivo. Cerchiamo sempre di mantenere questa flessibilità, specialmente durante i concerti. Quindi ogni brano non diventa semplicemente l’esecuzione di una semplice canzone pop, ma il risultato di qualcosa che abbiamo creato e provato centinaia di volte. Facciamo tantissime prove e cerchiamo di rimanere fedeli alla linea originale dei pezzi, ma al tempo stesso durante l’esecuzione live i brani prendono pieghe e colori differenti. È proprio questo il bello.

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