Alcuni dischi da ascoltare usciti questa settimana, dal 4 al 10 marzo 2024
Cosa abbiamo ascoltato la settimana scorsa? Ecco qui.
di Luca Di Criscio
Kim Gordon – The Collective (Matador)
Il secondo album in studio dell’ex bassista dei Sonic Youth arriva a cinque anni di distanza dal debutto No Home Record e vanta ancora alla produzione Justin Raisen (Lil Yachty, John Cale, Charli XCX), coadiuvato da Anthony Paul Lopez. Un disco innovativo per l’artista americana, che abbraccia persino generi come il dub e la trap, con cui mira a realizzare un obiettivo: “esprimere l’assoluta follia che percepisco attorno a me in questo momento”.
Bleachers – Bleachers (Dirty Hit)
Noto come eccellente produttore (Taylor Swift, Lana Del Rey e Florence + The Machine per citarne alcuni) Jack Antonoff è in realtà prima di tutto un musicista dalla navigata carriera. Messa da parte l’esperienza con i Fun, gruppo icona degli anni 10, ha dato il via a questo progetto, che giunge oggi al suo quarto disco. Al suo interno tante influenze del rock anni 70, Bruce Springsteen su tutti, e partecipazioni di due delle sue principali “clienti”: Lana Del Rey e Florence Welch.
Judas Priest – Invincible Shield (Sony)
Per la leggendaria band heavy metal britannica si tratta del quinto album da quando i membri hanno deciso di tornare a lavorare insieme nel 2005 dopo una lunga pausa. A 6 anni di distanza dal precedente Firepower, il disco vuole mostrare un gruppo che, nonostante l’avanzare degli anni, è in forma e si ricorda ancora come si fa un genere come il loro: non in modo fine a sé stesso in una sorta di revival anni 70, ma con tanti pizzichi di modernità.
Norah Jones – Visions (Blue Note/Capitol)
A 3 anni di distanza da I Dream Of Christmas, la cantautrice americana realizza il suo nono album in studio. La grande voce di Don’t Know Why, che nel disco ha anche suonato pianoforte, chitarra e basso, viene qui aiutata dal produttore Leon Michels, esecutore delle parti di batteria e di sassofono baritono. Insieme hanno realizzato un disco molto spontaneo, i cui brani sono nati da delle visioni avute dall’autrice nel cuore della notte.
Moor Mother – The Great Bailout (Anti)
Il nono album in studio dell’artista americana di origini africane arriva a due anni di distanza dal precedente Jazz Codes. Il nuovo album di Camae Ayewa, vero nome di Moor Mother, è totalmente incentrato su un tema a lei molto caro: il colonialismo britannico e le sue conseguenze, con particolare attenzione al trauma dello sradicamento dalla propria terra subito dalle popolazioni locali.
Anja Huwe – Codes (Sacred Bones)
L’album solista di debutto dell’ex cantante degli Xmal Detuschland arriva a decenni di distanza dallo scioglimento del gruppo post-punk tedesco. Dopo anni trascorsi nel campo dell’arte visiva, l’artista ha sentito il richiamo della musica e, insieme all’amica e musicista Mona Mur, ha realizzato il suo primo disco, incentrato sull’esperienza umana e su cosa gli estremi possano fare all’individuo.
Bolis Pupul – Letter To Yu (DEEWEE/Because)
A 2 anni di distanza dal joint album realizzato con Charlotte Adigéry Topical Dancer, l’artista belga di origini cinesi torna con il suo secondo disco in studio. Sorretto dalla produzione dei Soulwax e dalle loro sonorità house/techno, il musicista vuole realizzare qui un sentito omaggio alla madre defunta e arrivare da lì a toccare temi universali come la famiglia, la perdita e la memoria.
Loreena McKennitt – The Road Back Home (Quinlan Road)
L’ultimo album della cantautrice canadese arriva dopo la pubblicazione di Under A Winter’s Moon, risalente ad appena un paio di anni fa, ed è stato registrato durante l’estate del 2023 nell’arco di quattro esibizioni in vari folk festival nel sud dell’Ontario. Come suggerisce il suo titolo, il disco si configura come un ritorno a casa, lì dove tutto è cominciato sia musicalmente che personalmente.
Kahil El’Zabar’s Ethnic Heritage Ensemble – Open Me, A Higher Consciousness Of Sound And Spirit (Spiritmuse)
Lo storico ensemble jazz americano è giunto al cinquantesimo anno di attività della sua lunghissima carriera e lo celebra con questo disco, al cui numero nella sua discografia è quasi impossibile risalire. Un album continuamente scisso tra passato e presente, tra cover di grandi classici di Miles Davis, McCoy Tyner e Eugene McDaniels e composizioni originali del polistrumentista leader della band.
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